Un omaggio all'originale, di Frederic Bastiat
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Dunque i nostri amici “maiali”, perdonateci il linguaggio ma è così che li chiama la stampa, han preso in prestito miliardi e miliardi, spendendoli per creare occupazione, stabilità economica, prosperità ed ora si vedono traditi da quei biechi strozzini ed usurai che ieri li cercavano per offrir loro un prestito ed oggi fan finta di non sentire. In rovina li vogliono vedere e con essi i loro cittadini!
Sul perchè tassare il contante sia regressivo e colpisca i
meno abbienti, rimando a questo post su Noisefromamerika.
Beh.. vi sbagliavate. Sì perchè l'ingegno umano è sempre dieci passi avanti a quello dei regolatori e se volete effettuare transazioni solo digitali e senza usare contante, beh, c'è già qualcuno che ha pensato un metodo per aiutarvi a farlo.
Questo post, in inglese, vi spiega tutti gli accorgimenti per usare i bitcoin rendendo tutte le transazioni non rintracciabili (o quantomeno rendendo il tutto molto, molto difficile).
Allora siete ancora pronti a sacrificare la vostra libertà individuale.... per nulla? Ripensateci.
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Sul tema precedente:
Sviluppo economico vs sostenibilità ambientale?
Bene, ora leggiamo l’articolo di Stefano Corradino per il Fatto Quotidiano
Innanzitutto non è vero che la moneta viene “inventata” nel 620 a.c. In quella data nella Lidia (odierna Turchia) circolavano, secondo Erodoto, le prime monete in lega d’oro e argento, ma la “moneta”, intesa come comune mezzo di scambio, esisteva già molto prima.
- Nessun governo o sovrano ha inventato nulla, la moneta è stata prodotta del mercato. Hayek diceva che queste istituzioni (moneta, linguaggio, etc.) sono il prodotto dell’azione umana ma non della pianificazione umana.
- Se decidiamo di eliminare la moneta corrente ma lasciamo la gente libera di scambiare, il processo di evoluzione spontanea porterà all’origine di un altro bene con la funzione di moneta
- La moneta risolve problemi, non li crea. I problemi iniziano quando gli Stati reclamano per sé il diritto di decidere cosa è moneta e cosa no.
In cambio di un soggiorno di uno o due notti gli ospiti canteranno, daranno qualche lezione di pianoforte, doneranno il loro olio e vino o un vecchio computer impolverato ma ancora funzionante. Nessun pagamento, nessun prelievo al bancomat nè anticipo contanti. Lo scambio è in natura.
Queste iniziative sono sempre possibili anche in una economia monetaria e non è certo la presenza del denaro in sé ad ostacolarle. In realtà, a voler essere precisi, un ostacolo c’è, lo Stato.
La risposta alla crisi economica galoppante, e che sta contagiando una a una le principali potenze, è il baratto? Ovviamente no, almeno per adesso… Ma queste iniziative (sono in forte aumento) non sono solo la spia del progressivo impoverimento o della corsa al risparmio ma anche di un rifiuto etico del consumismo e del principio che debba essere l’economia a regolare le nostre relazioni umane.
“E’ la crescita che produce il debito!” ha affermato di recente in un’intervista ad Articolo21 Paolo Cacciari, giornalista e membro dell “Associazione per la Decrescita”: “Se invece dicessimo: produciamo solo quello che di cui c’è davvero bisogno mirando a fare economia (in senso stretto!) e non business (la fortuna di pochi), vedremo che staremo tutti meglio”.
Questa affermazione contiene due errori concettuali:
- Il fatto che la crescita della domanda in questi ultimi anni sia avvenuta a debito non significa che la crescita economica produca debito. Oggi posso consumare di più perchè ho contratto dei debiti o perchè ieri ho consumato meno ed ho risparmiato.
- Per produrre solo quello “di cui c’è davvero bisogno” dobbiamo lasciar lavorare il mercato ed osservare prezzi relativi, profitti e perdite. Se poi la Fiat non vende automobili bisogna lasciare che riduca la produzione e non chiedere sussidi. Il metodo alternativo, ovvero la pianificazione centrale della produzione, non funziona ed al massimo produce quello che Paolo Cacciari ritiene “il necessario”.
Ed ecco che dal baratto siamo arrivati alla redistribuzione globale, che ovviamente deve essere fatta a spese dei “ricchi”.
Milanovic fa anche delle interessanti comparazioni internazionali. La tipica persona nel top 5% della popolazione indiana, per esempio, guadagna lo stesso o meno della tipica persona appartenente al 5% inferiore della popolazione americana. Proprio così: gli americani più poveri sono, in media, più ricchi degli indiani più ricchi.
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Siete stanchi delle magiche ricette italiane per risolvere la crisi del debito sovrano? Eccovene che arriva direttamente dagli Stati Uniti d’America. Non temete! Lo chef non è un Krugman qualsiasi ma addirittura uno dei più stimati libertarian del paese a stelle e strisce. Il suo nome è Tyler Cowen e wikipedia ce lo presenta così:
economista statunitense, esponente della scuola austriaca (sic!) , è docente di economia alla George Mason University, dirige un blog molto popolare sulla rivoluzione marginalista. È editorialista economico per il New York Times
Ne parla anche Phastidio.net. Ok ho il sospetto che allora non sarà come leggere un pezzo di Mises o Hayek. Nel suo blog scrive:
Italy has a lot of debt, but also lots of wealth. There is, however, no need to sell off the Pieta. More than half of Italian government bonds are held domestically. Apply a wealth tax and use it to pay off all of the domestically held bonds; in essence the government takes the wealth with one hand and mails it back with the other. The debt/gdp ratio is more than cut in half and the announcement to do so comes immediately. The Italian citizenry is not poorer, although they are required to recognize losses which already have been incurred. The Italian government also can do some fraction of this, and retire part of the domestically held debt, rather than all of it.
Traduzione
L’Italia ha un sacco di debito, ma anche grandi ricchezze. Non c’è necessità, tuttavia, di vendere la Pietà. Più di metà del debito pubblico italiano è in mano agli Italiani. Si metta una patrimoniale e la si usi per pagare tutto il debito interno; in soldoni il governo prende la ricchezza con una mano e la restituisce con l’altra. Il rapporto debito/PIL viene più che dimezzato e l’annuncio di questo provedimento è subito esecutivo. La cittadinanza italiana non è più povera anche se le viene richiesto di mettere in conto perdite che sono già avvenute. Il governo italiano può anche attuare questo programma a piccole dosi e ritirare solo parte del debito interno, invece della sua totalità.
Vediamo perchè questa proposta, nonostante qualcuno la definisca una soluzione al problema del debito, non solo sarebbe impopolare ma tutt’altro che indolore.
Lo dobbiamo a noi stessi?
Abba Lerner scriveva che il debito pubblico interno non è importante perché lo dobbiamo a noi stessi (“We owe it to ourselves”). Tyler Cowen utilizza lo stesso ragionamento per unirsi alla folta schiera di apprendisti stregoni e proporre la sua personale versione del “silver bullet” che risolverà la crisi del debito pubblico in maniera rapida ed indolore: tassare gli italiani con una bella patrimoniale ed usare quei soldi per ripagare il debito interno, togliere con una mano e dare con un’altra. In pratica, una mega partita di giro, oppure no?
La risposta è no perchè non esiste un’entità aggregata “Italia” che può semplicemente spostare del denaro da un posto all’altro senza alcuna ripercussione. Come notava Rothbard, c’è una gran bella differenza tra i “we”, ovvero i contribuenti, e gli “ourselves”, cioè coloro che si guadagnano da vivere tramite la tassazione.
Ma giochiamo tutti insieme all’apprendista stregone con Tyler Cowen e immaginiamo di implementare il suo programma. Immaginiamoci quindi Mario Monti che va in tv e come prima mossa del suo esecutivo dichiara: “a partire dall’anno prossimo, verrà implementata una “patrimoniale di scopo” per ripagare tutti i titoli di debito in scadenza ed in portafoglio a famiglie, banche ed assicurazioni con sede in Italia”.
Lo Stato italiano, oggi, tiene aste periodiche di bot e btp in modo da avere in cassa il denaro per ripagare i titoli in scadenza. Con la proposta di Cowen il governo dovrebbe ricavare quei soldi con la tassazione e procedere in questo modo sino all’estinzione del debito interno.
A prima vista sembra una proposta quasi “più onesta” rispetto alla continua estensione temporale del debito pubblico: chi presta soldi ad un’azienda si aspetta di essere ripagato con gli utili che questa riuscirà a fare sul mercato, chi invece presta soldi allo Stato sa che verrà ripagato dalle tasse dei contribuenti ed il rolling over del debito serve a rimandare il giorno del redde rationem, quando lo Stato dovrà trovare il modo di ripagare i debiti o fare bancarotta.
La procedura suggerita agirebbe proprio in modo da anticipare ad oggi la resa dei conti, invece di “comprare tempo” come si propone di fare Tyler Cowen sul suo blog. Ma vediamo un po’ di numeri.
In un post su Noisefromamerika si analizzava l’impatto del rialzo degli spread sul debito pubblico italiano ed in una tabella era pubblicato l’ammontare dei titoli in scadenza nei prossimi tre anni: rispettivamente 331,4 miliardi di euro per il 2012, 303,5 per il 2013 e 291,5 per il 2014.
Se, per semplicità, ipotizziamo che il 56% di quella cifra sia in mano ad investitori italiani, allora, per ripagare il debito, il governo dovrebbe ricavare maggiori entrate per circa 185 miliardi nel 2012, 170 miliardi nel 2013 e 163 nel 2014. Per farvi un’idea sull’entità di queste cifre, sappiate che nel 2010 il gettito fiscale dell’IRPEF è stato di circa 169 miliardi di euro. In pratica bisognerebbe raddoppiarla!
Ma attenzione! E’ solo una partita di giro, no? Quei soldi ritornano alle famiglie italiane che quindi non ci perdono niente, vero? La risposta è ovviamente negativa. Utilizziamo un esempio.
Immaginiamo di avere messo da parte 100000€. Li abbiamo investiti in un titolo di stato da 40000€ che scade tra un anno e tenere il resto sul conto corrente in banca. Per semplicità trascuriamo il tasso di interesse ed immaginiamo di essere l’unico cittadino di questo fantomatico Stato.
A fine anno, poco prima della scadenza, crediamo di avere un patrimonio di 100000€ di cui 40000€ sono in titoli di debito pubblico. Ecco però che Mario Monti sale al governo ed assume Tyler Cowen come consigliere economico. Viene implementata la sua proposta di patrimoniale.
La notte prima della scadenza del bot si applica una patrimoniale di 40000€ dal mio conto corrente (sono l’unico contribuente) e poi viene ripagato il titolo di stato. Risultato: a fine giornata ho 60000€ sul conto. In questo caso molto semplice, in cui contribuente e possessore del bond sono la stessa persona, il risultato è quello di un prelievo netto di ricchezza. É da notare che in questo particolare caso si poteva ottenere un risultato equivalente con un default.
Altro che prendere con una mano e restituire con l’altra!
Dove sono finiti i 40000€ che avevo prestato all’inizio? Sono stai usati per pagare tutti quelli che si guadagnano da vivere lavorando per lo Stato.
Normalmente, però, la situazione è più complicata e contribuenti e possessori dei titoli di stato sono persone diverse. In gran parte i bond italiani sono detenuti da banche, assicurazioni e fondi di investimento mentre solo il 25% di quel debito (ovvero il 14% del totale) è in mano alle famiglie italiane.
In questo caso è molto probabile che chi ha i propri risparmi investiti nei titoli di stato sia in qualche modo “esentato” dall’imposta patrimoniale, che invece tenderebbe a colpire chi detiene denaro liquido oppure ha investito in immobili o altri investimenti finanziari.
Quindi la ricetta di Cowen sarebbe in realtà una durissima bastonata al contribuente italiano seguita da un avvertimento in stile mafioso: “Oggi ti prelevo un sacco di soldi e stai attento a come investirai i tuoi risparmi, se ce ne saranno, in futuro. Niente investimenti produttivi, quelli non sfuggiranno alla tassazione, devi comprare solo titoli di stato!”.
E tanti saluti alla crescita.
Noi il debito non lo paghiamo
C’è poi il piano B
A riskier version of the same idea — not recommended but an instructive point of comparison — is to simply default on all domestic debt and be credible on foreign-held debt to the hilt, maybe sending the foreign debt holders Perugia chocolates in the mail.
Traduzione
Una versione più rischiosa della stessa idea – non raccomandata ma un paragone istruttivo – è semplicemente fare default su tutto il debito interno e cercare di essere credibili su quello estero, magari mandando per posta un Bacio Perugina agli investitori esteri.
Questa, se vogliamo, è la versione “indignados” del piano dove i “we” e gli “ourselves” si scambiano il ruolo di utilizzatori finali del cuneo statale.
Le famiglie italiane che avevano deciso di investire in bot e btp, perchè “sono sicuri”, si ritrovano, d’incanto, con circa 220 miliardi di euro di “risparmi” in fumo (alla faccia dei tango bond), senza contare quelli che invece li avevano in fondi pensione ed assicurativi che avevano investito in titoli di stato.
E le banche? Beh, qui potete farvi un idea. Inserite un hair cut per il debito italiano del 100% e divertitevi a vedere di quanti soldi necessiterebbero le banche italiane per ricapitalizzarsi.
In conclusione
Le scorciatoie e le vie facili ed indolori non esistono. L’enorme debito pubblico italiano è frutto di decenni di spesa pubblica fuori controllo, in cui una buona fetta della popolazione italiana è riuscita a vivere sulle spalle di tutti gli altri.
Se il debito va ripagato allora non bisogna ricorrere a trucchi (monetizzazione) ne affidarsi alla ricette magiche di apprendisti stregoni che offrono la formula della pietra filosofale. L’unica via è quella lunga e difficile, che passa attraverso il taglio della spesa, l’espulsione delle clientele parassitarie ed il ridimensionamento del ruolo dello Stato.Il resto funziona solo ad Hogwarts.
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Milena Gabanelli, conduttrice della trasmissione Report su Raitre, propone, dalle pagine del Corriere della Sera, la sua ricetta per risanare i conti dello Stato. Pur apprezzando spesso le inchieste del suo programma, devo dire che in questo articolo la giornalista cade vittima di tutta una serie di fallacie economiche che purtroppo hanno messo radici nel pensiero main stream. A partire da queste considerazioni sviluppa poi una soluzione che a prima vista pare la panacea a tutti i mali del paese mentre in realtà la “cura” è di gran lunga peggiore del “male”. Leggiamo insieme.
Non sono un economista, non sono un’esperta di finanza, ma una giornalista generica che ogni tanto prova a capire temi complessi, per poi spiegarli agli utenti. Oggi, come tutti, mi pongo questa domanda: “Come se ne esce?” Il debito italiano conta 1.843 miliardi, il PIL 1.548. I mercati non si fidano del fatto che l'Italia possa ripagare i propri debiti.
Perchè non si fidano?
Perché gli investitori pensano che tale avanzo (avanzo primario) sparirà in presenza di una recessione (italiana, europea, mondiale). Il nodo è il rapporto debito/PIL, che per l’Italia è troppo elevato. Tant’è vero che la Gran Bretagna, con un deficit più che doppio rispetto al nostro, riesce a farsi prestare soldi ad un tasso di interesse che è meno di un terzo di quello che paghiamo noi, proprio perché la Gran Bretagna ha un rapporto debito/PIL che è circa la metà del nostro
In realtà la questione è un po’ più complicata ma in sostanza è vero: abbiamo il terzo debito pubblico al mondo.
La “complicazione aggiuntiva” è che la Gran Bretagna emette debito in una valuta, la sterlina, che viene “stampata” dalla Bank of England, così come gli Stati Uniti con il dollaro. L’Italia invece emette debiti in euro e quindi lo Stato non può seguire la via “facile” della monetizzazione del debito e della svalutazione per tirarsi fuori dai guai. Le tesi per cui sia “tutta colpa dell’euro che non possiamo stampare”, proposte della nostra classe dirigente nascono proprio da questa idea.
In pratica non possiamo “barare” sul debito, quindi cosa possiamo fare?
Siamo dentro un circolo vizioso: più è alto il rapporto debito/PIL, più è necessario tagliare la spesa pubblica, più diventa più difficile evitare una recessione. In presenza di forti tagli alla spesa pubblica la crescita può derivare solo dal settore privato, in altre parole: o da maggiori investimenti, o da maggiori consumi dei cittadini, o da maggiori esportazioni.
Non è detto, se non forse nel brevissimo termine. L’esperienza di molti paesi dimostra che un taglio della spesa pubblica può anzi essere un motore per la crescita economica mentre le dimensioni dell’apparato statale ne sono sicuramente un freno. In sostanza i paesi con una spesa pubblica che eccede il 40% del PIL fanno fatica a crescere. L’Italia è intorno al 50%. Il problema è semmai capire dove tagliare la spesa pubblica e come rendere l’Italia un ambiente più favorevole alla crescita del settore privato.
In una situazione di incertezza economica mondiale è difficile pensare che senza particolari incentivi un imprenditore possa decidere di investire;
Gli incentivi sono “utili” soltanto a dirigere la produzione in particolari direzioni che il mercato altrimenti non seguirebbe. Creano, tra l’altro, effetti imprevisti ed indesiderati che poi rischiano di peggiorare la situazione. Abbiamo visto cosa è successo per gli incentivi alla rottamazione delle automobili.
Piuttosto lo Stato deve creare un ambiente non ostile agli investimenti e agli imprenditori, in modo che possano sviluppare la propria attività produttiva. La storiella che raccontava le gesta di Stefano Lavori, ovvero cosa sarebbe successo se Steve Jobs fosse nato in Italia, è purtroppo verosimile e gli ostacoli che i nostri imprenditori incontrano sono in gran parte dovuti all’interventismo pubblico, non alla sua assenza.
è più probabile che decida di rendere più efficiente la propria azienda facendo dei tagli. E allora, di fronte alla mancanza di sicurezza del proprio posto di lavoro, le famiglie sono portate a ridurre le spese, piuttosto che incrementare i consumi.
Se ridimensionare l’azienda la rende più efficiente e profittevole allora sarebbe sbagliato impedirglielo. Vogliamo che le risorse scarse siano impiegate per produrre beni e servizi utili e richiesti oppure solo mettere gente al lavoro e dar loro uno stipendio? Le risorse non più utilizzate dall’azienda A per produrre X, potranno essere utilizzate dall’azienda B per produrre Y, l’importante è appunto non ostacolare la dinamica del cambiamento in atto ma favorirne il corso.
In parole povere, se una azienda ha una capacità produttiva di 100 e riesce a vendere solo 60 è inutile e dannoso accanirsi e spendere denaro pubblico per costringere la gente a comprare 100. Ciò che si vede, della politica dei sussidi, è che l’azienda che fa profitti e dà lavoro ai suoi operai ma ciò che non si vede è ben più importante. Non si vede il costo sopportato dal contribuente, che si accolla il peso degli incentivi con le tasse che paga, non si vedono le risorse produttive che sono allocate alla produzione del bene favorito dai sussidi e quindi non possono essere impiegate nella produzione di altri beni più richiesti, non si vede infine il costo ambientale di certe scelte politiche: rottamare auto con pochi anni e km di servizio per costruirne di nuove non fa certo bene all’ambiente!
Inoltre l’idea per cui l’economia va bene quando si consuma perchè così il denaro circola e fa aumentare la produzione va poi decisamente riconsiderata. Purtroppo è una fallacia economica che oramai ha messo radici nel pensiero contemporaneo.
Vediamo ora le opzioni che la Gabanelli propone per ridurre il debito pubblico di 350 miliardi e portare il rapporto debito/PIL al 100%.
AUMENTARE IL GETTITO IRPEF NON DAREBBE MOLTO - Gli italiani sono 60 milioni (di cui solo il 38% lavora). Ogni italiano dovrebbe pagare 162 euro al mese per tre anni. Difficile pensare che sia possibile. Anche aumentare le tasse sui redditi servirebbe a poco. Coloro che dichiarano oltre 100.000 euro, sono lo 0,9% del totale, e sopra i 70.000 euro arriva appena il 2% degli italiani.
Fin qui ci siamo, aumentare le tasse in un paese che ne paga già tante (dopo la recente manovra arriveremo al 45% del PIL) non è la soluzione ai problemi di eccessivo indebitamento di un paese. Lo mostra anche lo studio di Alesina e Ardagna che ho citato prima.
CI SAREBBE LA STRADA DELLA PATRIMONIALE - Secondo i dati della Banca d’Italia, la ricchezza in edifici e terreni degli italiani (al netto di passività/relativi debiti) è pari a 8.600 miliardi. Una patrimoniale del 4% del valore produrrebbe quindi un’entrata di cassa straordinaria pari a 344 miliardi.
Una patrimoniale di 400 miliardi l’aveva proposta anche Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredt, ex prima scelta di Enrico Letta come canditato premier del Pd e .... indagato per frode fiscale (da che pulpito!).
In ogni caso, lo scrive anche la stessa Gabanelli, una patrimoniale così punitiva sarebbe inattuabile e dalle conseguenze tragiche, come ben spiegato da Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano.
Veniamo ora a quella che la giornalista di Report considera l’unica soluzione attuabile.
La caccia ai grandi evasori è l’obiettivo numero uno, che deve però fare i conti con l’esistenza degli stati canaglia, i tempi lunghi delle procure e delle rogatorie, mentre noi di tempo ne abbiamo poco. Invece si sa che almeno il 20% del PIL è sommerso. Una legge che lo facesse emergere genererebbe entrate allo Stato e farebbe diminuire il nostro debito molto velocemente.
L’UNICA VIA È LA TRACCIABILITÀ DEI PAGAMENTI - Ad oggi solo pagamenti superiori a 2.500 euro devono essere fatti mediante assegno, bonifico, carta di credito, o bancomat. Ben al di sopra della tipica fattura che un privato riceve da un professionista, un commerciante o un artigiano.
Si va a parare sempre lì, sull’evasione fiscale colpa di tutti i mali dell’Italia e che va eliminata con ogni mezzo, anche invocando misure orwelliane. Come ha ben spiegato Ricolfi qualche settimana fa sulla Stampa, ci sono due tipi di evasione fiscale: quella odiosa di chi “chi potrebbe benissimo pagare le tasse, e non lo fa semplicemente perché vuole guadagnare di più” e quella invece di quanti “se facessero interamente il loro dovere fiscale, andrebbero in perdita o dovrebbero lavorare a condizioni così poco remunerative da rendere preferibile chiudere l’attività”.
Dal momento che vogliamo che si puniscano i primi e si permetta ai secondi di portare avanti la loro attività in modo legale, continua Ricolfi, dobbiamo combatterla sì con più controlli ma anche con aliquote ragionevoli. Io aggiungerei anche con un fisco più semplice perchè essere costretti a rivolgersi (e pagare) ad uno specialista per sapere quante tasse devi pagare è folle
La Gabanelli va diretta e propone il controllo supremo, quello che renderebbe impossibile l’evasione fiscale, ovvero l’abolizione il contante. In realtà parla di una tassazione che ne renda sconveniente l’uso ma la finalità è quella lì, niente contante uguale niente evasione.
La giornalista di Report si chiede:
Quali categorie hanno assolutamente bisogno di contante? Lo spacciatore, il tangentista, il riciclatore. Tutte le attività criminali esistono solo grazie all’uso del contante, e non contribuiscono alla ricchezza dello Stato, ma generano un costo in termini sociali, di polizia, di burocrazia, ecc.
Ce ne sono anche altri.
Ad esempio i i bambini che vendono la limonata per tirar sù qualche euro, i ragazzi che tagliano l’erba del vicino, i babysitter, gli studenti che danno ripetizioni. Tutti “evasori fiscali” che però giustamente sono tollerati.
Che dire poi dei venditori ambulanti che magari potrebbero avere qualche difficoltà ad acquistare la strumentazione adatta per permettere pagamenti con carta di credito o bancomat? E vogliamo dimenticare le persone anziane o con poca dimestichezza con la tecnologia? Per non parlare dei problemi tecnici e di sicurezza che si accompagnano all’uso di uno strumento elettronico.
Quello che però ritengo il problema più grande è però il seguente: se tutte le mie transazioni sono registrate allora un database centrale può facilmente raccoglierle e catalogarle, un analista governativo può scrutinarle ed individuare non solo i miei redditi ma anche, ad esempio, le mie preferenze politiche, la mia fede religiosa, la mia appartenza a certi gruppi. Se ciò che l’analista scopre non è gradito al governo, quest’ultimo può semplicemente decidere di far pressione sulle banche perchè mi “spengano” le carte e congelino i conti. E con un click io sono rovinato.
Improbabile distopia orwelliana? Prima di buttare alle ortiche la nostra libertà individuale per combattere l’evasione fiscale, ricordiamoci che la logica del “chi non ha nulla da nascondere non ha niente da temere” è stata fedele compagna di tutti i totalitarismi e anche nella democratica Italia contemporanea gli esempi di chi usa il fisco per rovinare le persone ed appropriarsi del suo patrimonio purtroppo esistono.
In conclusione il debito pubblico va ridotto e per farlo è meglio che per una volta lasciamo perdere il lato delle entrate ed il facile bersaglio degli “evasori” e ci concentriamo su quello della spesa.
La Gabanelli sa benissimo che lo Stato spreca denaro in continuazione e Report è stato in prima linea nel portare alla luce e svelare al grande pubblico gli sprechi e gli scandali delle nostre amministrazioni pubbliche. Per questi motivi spero che concordi sul fatto che si può mettere in sicurezza il debito pubblico tagliando la spesa in modo deciso ma circostanziato ed al contempo riformare il fisco in modo da renderlo più semplice e meno oppressivo.