Ci vediamo su Von Mises Italia!

Ho due notizie, una cattiva ed una buona.

La cattiva è che questo blog verrà congelato (rimarranno quindi tutti i post ed i commenti ma non sarà possibile aggiungerne di nuovi) e non sarà più aggiornato.

La buona è invece che mi sono trasferito qui dove, oltre a tutti i post contenuti in questo blog, troverete anche la seconda parte della critica di Keynes e tanto altro materiale per chi vorrà darci una mano in questo ambizioso progetto.


Ci vediamo di là!

Per qualche giorno lascio i commenti attivi, in caso ci siano problemi sull'altro sito.

Keynes e la crisi - prima parte: il modello keynesiano


È normale chiedere cosa si possa fare per uscire al più presto da una crisi economica: è una domanda legittima. Per rispondere correttamente, però dobbiamo prima capire che cosa non si deve assolutamente fare. Sembra scontato che il governo debba fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di accelerare la ripresa ma non è affatto così: gli interventi possono infatti essere controproducenti e far precipitare l’economia in uno stato di depressione prolungata.

Nell’autunno del 2008 è sembrato quasi normale che i governi intervenissero per sia salvare il sistema bancario che le grandi aziende in difficoltà (si pensi alle aziende automobilistiche americane) e stimolare la domanda aggregata. In tanti  hanno iniziato ad invocare il nome di un economista inglese che negli anni ’30 aveva proposto una ricetta per uscire dalla Grande Depressione, ricetta che prevedeva il massiccio intervento dello Stato nell’economia, a suon di opere pubbliche e spesa in deficit. Ancora oggi, dopo tre anni e mezzo di fallimentari politiche di stimolo economico, c’è chi invoca a gran voce i suoi insegnamenti come unica e vera soluzione alla crisi. Se fino ad oggi non hanno funzionato è perchè sono stati timidi, limitati, non sufficienti.

E allora diamo uno sguardo a questa ricetta e riflettiamo se dobbiamo davvero dar retta a Keynes,  smettere di preoccuparci del debito pubblico e costruire la ripresa economica a suon di spesa a deficit, oppure no.

Keynes e la “teoria generale”

Quando nel 1936 uscì la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, la scienza economica andò incontro ad una vera e propria rivoluzione. Fu però una rivoluzione di tipo politico. L’economista inglese, infatti, pur presentando la sua teoria come generale, in realtà non aveva nessuna intenzione di rivoluzionare la scienza economica. Voleva invece giustificare e promuovere quei provvedimenti di intervento pubblico che riteneva indispensabili per far uscire le nazioni occidentali dalla Grande Depressione. Avendo fornito una giustificazione teorica per le politiche che i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna avevano già intrapreso da qualche anno, non ci deve stupire il fatto che il libro ottenne presto un enorme successo. Diventare keynesiano significava essere ben visto dalla politica ed ottenere cattedre universitarie. È quindi perfettamente normale che quasi tutti i giovani economisti di allora divennero keynesiani: era un modo rapido e sicuro per fare carriera! 

Ma in cosa consiste questa teoria e in che modo viene giustificato e anzi ritenuto necessario l’intervento statale?

Il modello

La teoria keynesiana semplifica il mondo reale ed astrae la realtà, condensando le complesse e molteplici attività individuali in pochi e grandi aggregati che ritroviamo ogni qual volta si parli economia in televisione o sui giornali. 

Il più importante di questi è il cosiddetto reddito nazionale o PIL che assomma tutti gli scambi monetari di merci e servizi avvenuti durante l’anno. E’ importante sottolineare come nel modello economico keynesiano si possa percepire un reddito soltanto se qualcun altro ha speso una somma uguale. Quando andiamo dal macellaio e spendiamo 10 euro per comprare della carne aumentiamo il reddito del macellaio di 10 euro, mentre il nostro reddito, se siamo ad esempio lavoratori dipendenti, è il risultato della spesa dell’impresa per cui lavoriamo. In ogni caso, i consumi e soltanto i consumi, possono generare un reddito in denaro.

Se questo modello è vero allora possiamo affermare che il reddito nazionale è anche uguale alla spesa complessiva di famiglie e imprese. Le spese possono essere di due tipi: finalizzate all’acquisto di merci e servizi finali (consumi) oppure all’acquisto dei mezzi di produzione di queste merci (investimenti). La teoria keynesiana ci dice che  i consumi sono una parte abbastanza stabile dell’economia e dipendono dal reddito (le famiglie consumano una certa percentuale del reddito percepito), mentre il livello degli investimenti è una parte instabile dell’economia e dipende da quelli che Keynes chiamava animal spirits (spiriti animali) ovvero gli umori ed i sentori di imprenditori ed investitori in un particolare momento. In realtà c’è un terzo tipo di spesa, ovvero la spesa pubblica, che anch’essa è indipendente dal reddito nazionale(1).

Veniamo ora al secondo grande aggregato della teoria macroeconomica che è il livello di occupazione (e per differenza il tasso di disoccupazione). I keynesiani ci dicono che ad un certo reddito nazionale corrisponde un certo livello di occupazione: se aumenta il reddito nazionale (e quindi la domanda aggregata(2)) anche il tasso di occupazione aumenta (la disoccupazione diminuisce) e viceversa. Esiste però un certo valore per il reddito nazionale, chiamato PIL potenziale, oltre il quale ogni incremento ulteriore di reddito si traduce soltanto nell’aumento dei prezzi e dei salari (l’occupazione non aumenta più). 

Che cosa intendeva dire Keynes?

Immaginiamo di avere un’azienda che produce automobili e che possiede uno stabilimento in cui può far lavorare 1000 operai a pieno regime. Al momento la spesa per le automobili è tale per cui stanno lavorando soltanto 700 operai. Che cosa succede se facciamo aumentare la spesa per automobili? Piano piano la nostra azienda assumerà altri operai in modo da sfruttare l’aumento della domanda ma quando arriverà a 1000 si dovrà fermare perché avrà raggiunto la piena capacità produttiva: ogni ulteriore incremento della domanda di automobili si tradurrà soltanto in un aumento dei salari degli operai e del prezzo delle vetture(3).

Passiamo ora al terzo aggregato che è il livello medio dei salari. Gli economisti classici avevano teorizzato che durante una crisi, man mano che i prezzi dei beni calavano, bisognava lasciare che anche i salari monetari diminuissero in modo da ristabilire il livello di piena occupazione. Badate bene: se i prezzi stanno scendendo contemporaneamente al salario allora il vostro potere d’acquisto, quello che viene chiamato salario reale, resterà immutato(4). 

Keynes, abituato alla situazione inglese in cui i sindacati avevano un grande potere contrattuale, aveva seri dubbi riguardo al fatto che a livello politico sarebbe stato permesso agli industriali di abbassare i salari monetari. Aveva però pronta la soluzione: se la montagna non va da Maometto sarà quest’ultimo ad andare alla montagna e se politicamente non si vuole far sì che i salari monetari scendano allora interverrà l’autorità monetaria, stampando denaro per impedire anche agli altri prezzi di scendere.
Vediamo ora a come si determina, nella teoria keynesiana, il reddito nazionale. Abbiamo detto che le famiglie consumano una certa percentuale del loro reddito che nel breve periodo possiamo considerare fissa (ad esempio il 90% del reddito) mentre il resto è costituito dagli investimenti privati e dalla spesa pubblica, spese che abbiamo chiamato indipendenti. 

Quindi, reddito = spese indipendenti (investimenti privati + spesa del governo) + spese di consumo. Usando la nostra funzione del consumo, reddito = spese indipendenti + 90 per cento del reddito. Ora, facendo due calcoli, il reddito risulta uguale a dieci volte le spese indipendenti. Per ogni aumento in questa voce, ci sarà un aumento di dieci volte del reddito. Allo stesso modo, una diminuzione nelle spese indipendenti condurrà ad un calo di dieci volte del reddito. Questo effetto moltiplicatore sul reddito verrà realizzato da qualunque tipo di spesa, sia pubblica che privata. Quindi, nel modello keynesiano, queste spese hanno lo stesso effetto economico(5).


Prima avevamo detto che ad un certo reddito aggregato corrispondeva un determinato livello di occupazione; secondo Keynes, ed è un punto di rottura rispetto alla teoria classica, non c’è nessun motivo valido per affermare che il livello di reddito costituito nel libero mercato coinciderà con quello necessario a garantire la piena occupazione. Potrebbe anzi essere inferiore e determinare un equilibrio di sottoccupazione (6) oppure superiore e portare all’inflazione dei prezzi.

Lo Stato deve guidare l'economia

Il ruolo dello Stato deve essere quindi quello di un pilota che guida l’economia lungo una stretta strada ai cui lati ci sono il precipizio della disoccupazione di massa e l’inflazione dei prezzi. Se gli investimenti privati crollano e l’economia sterza verso la disoccupazione lo Stato deve impegnarsi a spendere in deficit per “colmare” il buco di spesa che si è creato mentre contemporaneamente l’autorità monetaria deve aprire i rubinetti del credito in modo da evitare la deflazione dei prezzi.


Se invece si raggiunge il livello di piena occupazione lo Stato deve intervenire e condurre un bilancio in surplus in modo da ridurre il debito pubblico ed allo stesso tempo evitare che ulteriori aumenti del reddito nazionale si traducano in inflazione dei prezzi. 

Stupendo, fantastico ma… completamente sbagliato, nel prossimo pezzo, vedremo il perchè.




Note
(1) In realtà se consideriamo una economia aperta al commercio dovremmo tener conto di esportazioni ed importazioni. Infatti anche la bilancia commerciale dei pagamenti entra nell’equazione. Per semplicità consideriamo una economia chiusa.
(2) La domanda aggregata è la somma di tutte le spese e quindi, nel modello keynesiano, è anche uguale ai redditi.
(3) Una conseguenza di questa affermazione è che se siamo già al livello di pieno potenziale è inutile cercare di aumentare la domanda. Keynes infatti suggeriva ai governi di utilizzare i periodi di vacche grasse per ridurre la spesa pubblica, condurre bilanci in attivo e ripianare i debiti contratti durante le crisi.
(4) Ovviamente questo avviene se prezzi e salari calano con lo stesso ritmo. Se i prezzi calano del 5% ed i salari del 3% il potere d’acquisto dei salari potrebbe addirittura aumentare.
(5) Spendere milioni di euro per un aereo militare è identico a costruire appartamenti per famiglie a basso reddito oppure ad aprire una nuova impresa commerciale.
(6) Avremo quindi aziende con impianti non utilizzati al 100%.

Bastiat Contrario - Più ricchi di Rockefeller?



 Con questo pezzo, pubblicato sul blog Ora Libera(le), lancio una piccola provocazione: è proprio vero che "si stava meglio quando si stava peggio" ed il sistema capitalistico ha portato a fatto diventare i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri? Cosa succede se paragoniamo il nostro stile di vita a quello dell'uomo più ricco di sempre, John D. Rockefeller?

Più ricchi di Rockefeller?

Uno delle più grandi leggende metropolitane sull’economia di mercato è che con il passare del tempo i ricchi diventano sempre più ricchi mentre i poveri diventano sempre più poveri. Si amplia la forbice della ricchezza, la disuguaglianza dei redditi regna sovrana, etc. etc.
Quante volte abbiamo sentito questa storia? Magari ci crediamo pure! Beh, per metà è sicuramente vera: i ricchi diventano sempre più ricchi. E i poveri? Diventano più ricchi pure loro….
Sento già mugugni di disapprovazione… adesso arriva qualche grafico incomprensibile, due o tre formule matematiche ma la situazione reale è ben diversa, per Dio!

Continua sul blog Ora Libera(le)


In difesa dell'usura


Antefatto. Qualche giorno fa, su luogocomune.net è stato pubblicato il pezzo dal titolo “la spirale del debito pubblico”. Apriti cielo! Se leggete i commenti, oltre a farvi delle ricche risate per le molte teorie strampalate, è arrivata, dal curatore del sito, la classica obiezione che potete leggere su un qualsiasi sito signoraggista: “i debiti non possono essere ripagati perchè non è stata creata la moneta addizionale per pagare gli interessi”. Per rispondere a quell’affermazione, ho scritto il post precedente, a cui potete aggiungere il follow up nei commenti scritto da Weierstrass.
Ci siete ancora? Bene. Stamattina leggo una replica di Mazzucco dove salta fuori che adesso il problema è direttamente il prestito ad interesse. Tutte le altre discussioni sono triviali e gli esempi fuorvianti, l’unica cosa che conta è che prestare denaro ad interesse è criminale. Nel thread precedente Mazzucco arrivava ad affermare che: «Se avessi la garanzia che me li restituisce, li presterei anche a uno sconosciuto. Ma sempre a tasso zero»

Ho riportato sul sito la risposta, come commento, ma siccome contiene alcuni spunti interessanti ed affronta alcune tematiche che spesso sono oggetto di dibattito su internet, può essere utile riproporla anche qui.

Nell’articolo vengono evidenziati tre problemi, di cui il primo è considerato fondamentale:
 
1) Il meccanismo del prestito ad interesse
2) La moneta fiat
3) La riserva frazionaria

Il secondo ed il terzo sono problemi veri e non a caso sono state proposte soluzioni, come la moneta merce (oro ed argento) e la riserva al 100% sui depositi per le banche. Bisogna anche dire che fiat money e riserva frazionaria sono problemi anche in assenza di “prestiti” perchè il fatto che qualcuno crei dal nulla la moneta e ne imponga l’uso, significa che quel qualcuno potrà trasferire verso di sé la ricchezza reale.
Immaginate una partita a monopoli in cui uno dei giocatori, ad ogni turno, può ritirare 20 euro dalla banca. Difficilmente questo giocatore potrà perdere la partita, no?
Veniamo ora al primo “problema” che Mazzucco vede come portante e fondamentale: il meccanismo del prestito ad interesse. Nell’altro thread scriveva che prestare ad interesse era da criminali, l’unico tasso ammissibile era lo zero, mentre chiedere lo 0,1%, il 10% o il 50% non faceva differenza di principio ma solo di grado di criminalità. Sempre di usura si trattava, che fosse micro o macro, e quindi di crimine.
Aggiungerei che anche la scadenza non fa differenza, perchè se è criminale prestare all’1% ad un anno, allora lo è anche prestare all’1% a 30 anni, giusto? Quindi ogni prestito con qualsiasi scadenza (anche 30 anni), per non essere criminale, avrebbe dovuto essere fatto con tasso zero.
A quel punto ho lanciato una provocazione: “chi mi presta denaro a 30 anni a tasso zero?”. Ovviamente nessuno si è offerto di farlo. N e s s u n o. Ed è normalissimo.
Prestare un qualcosa comporta, per chi presta, una rinuncia. Se ti presto la macchina non posso usarla io, se ti presto 1000 euro per un anno, per tutto quel periodo dovrò farne a meno io. Perchè allora prestiamo le cose/i soldi? Perchè agendo in quel modo otteniamo un qualche beneficio psicologico/materiale ed a volte questo comporta anche non chiedere interessi. Ad es. ti presto la macchina per farti un favore, ti presto 1000 euro perchè so che ne hai bisogno e voglio aiutarti (magari non ti chiedo nemmeno indietro 1000 euro ma 900 oppure 800.. oppure te li do direttamente a fondo perduto).
In ogni caso ciascuna di queste transazione è volontaria: ti presto i soldi/la macchina a quelle condizioni perchè decido liberamente di farlo.

Ma Mazzucco parlava ancora di altri prestiti. Infatti diceva che il tasso zero era dovuto anche a prestiti “a sconosciuti, a patto di sapere che me li restituiranno”. Vediamo allora perbene quali sono le componenti che vanno a formare il tasso di interesse di mercato:

1) tasso di preferenza temporale o interesse originario (ne parliamo dopo)
2) rischio (me li restituirai o no? Devo cautelarmi)
3) aspettative inflazionistiche (i 100 euro che mi darai tra un anno compreranno le stesse cose dei 100 euro che ti presto ora?)
Lasciamo perdere le ultime due componenti, Mazzucco dice che se il rischio è zero il tasso deve essere zero e non ha neppure considerato l’inflazione dei prezzi, quindi facciamo finta che sia nulla anch’essa.
Rimane la prima componente: la preferenza temporale. Che cosa sarà mai? E’ un qualcosa di criminale insito nella natura umana?
Questa “preferenza temporale” ci dice che, a parità di condizioni, preferiamo i beni presenti ai beni futuri, non sappiamo giudicare se sia meglio l’uovo oggi o la gallina domani, ma sicuramente, a parità di altre condizioni, preferiamo avere l’uovo oggi ad avere un uovo identico domani. Per assurdo, se la preferenza temporale non fosse vera, preferiremmo posticipare il consumo dei beni (preferisco mangiare il piatto di pasta domani invece di oggi) all’infinito (preferirò mangiare il piatto di pasta dopodomani rispetto a domani, etc.). Una ricca morte di fame e sete attende l’uomo con preferenza temporale negativa!
Torniamo quindi al prestito ad interesse e consideriamo il punto di vista del creditore. Ha 1000 (euro, dollari, monete d’oro, d’argento, qualsiasi cosa) ed è disposto a prestarli ma, se lo fa, rinuncerà a qualcosa che ha oggi in portafoglio per tutta la durata del prestito (abbiam detto che il rischio è nullo ed i soldi saranno restituiti).
Non servono formule matematiche o complicate teorie, è solo questione di buon senso se tra le alternative....

A) mi tengo 1000 nel portafoglio
B) Ti do i 1000 e poi tra un anno mi restituirai 1000

....Il potenziale creditore sceglierà sempre A e non presterà mai quei soldi! 

Bene, diranno alcuni, si elimina il ricorso all’usura che condanna alla schiavitù i popoli e le nazioni! Ma se qualcuno stava chiedendo 1000 in prestito, evidentemente, era perchè intendeva usarli per qualcosa. Ad esempio, invece di mettere per 30 anni da parte i risparmi per comprare casa, preferiva chiedere in prestito tutti i soldi subito, acquistare l’immobile, e poi restituirli pian piano. Oppure un neo “Steve Jobs” aveva un’idea imprenditoriale e cercava un capitale per avviare l’attività, etc.
In ogni caso quando io mi accordo con qualcun altro per prestargli 1000, per un anno, al tasso di interesse del 4% annuo, siamo in due a dire di sì. Lo scambio è volontario, nessuno ci costringe ad accettare quel denaro a quel tasso di interesse. In conclusione:

Non c’è nulla di malvagio né sbagliato nel prestito ad interesse!

Sostenere che l’usura, in quanto tale, sia sempre un crimine è sbagliato e l’unico risultato concreto dell’obbligare la gente a prestare a tasso zero, sarebbe quello di eliminare totalmente il credito: nessuno presta più nulla e si tiene i soldi in portafoglio. Opinione mia? No, legge della domanda e dell’offerta applicata al controllo dei prezzi: se fissi il prezzo di un bene ad un livello troppo basso, tutti vorranno comprarlo e nessuno vorrà produrlo. Lo stesso vale per il credito: qui avremo tante persone che vogliono indebitarsi a tasso zero e nessuno che presta denaro.
Abbiamo forse reso la vita più facile per chi aveva bisogno di ricorrere al credito, fissando il tasso di interesse per legge a zero? NO, gli abbiamo impedito di ottenere credito.
Non siete d’accordo con me? Secondo voi prestare a tasso zero è un dovere? Un tasso di interesse positivo è criminale?

Bene, io son sempre qua, pronto a farmi prestare soldi da voi a tasso zero, per uno, due, cinque, dieci anni, vi prometto di restituirveli tutti, non uno di meno, ma nemmeno uno di più!

Sono sicuro che farete la fila per darmi i vostri soldi.

Voglio tutto il mondo più il 5%!


Update. Ho apportato una piccola modifica alla storiella che però non ne cambia il senso.

È un post un po’ strano ed è in risposta alla pubblicazione di un mio pezzo precedente su questo sito e specialmente a questa affermazione. Quelle sull’Ashoka “amico di Monti” meritano invece soltanto questa.

«A casa mia se le fiches in circolazione sono 100 non puoi restituirne 105, punto e basta. Devi per forza crearne 5 false»

Basta creare la situazione limite come quella per dimostrare che tutti i debiti non sono pagabili?
Immaginiamo una situazione totalmente irrealistica ma che serve soltanto per sfatare questo mito degli interessi non rimborsabili.
Una banca crea moneta per 1000 fantaeuro che tiene in cassa. Nella comunità non ci sono altre monete e per ora gli scambi avvengono tutti tramite baratto.
Un imprenditore, Sandro, va in banca a chiedere un prestito esattamente di 1000 fantaeuro (*). La banca concede il prestito a 10 anni ad un tasso di interesse de 5%. Utilizzando un semplice calcolatore della rata di un mutuo possiamo stabilire che ogni anno Sandro dovrà restituire 129,5 fantaeuro, per un totale, dopo dieci anni, di 1295 fantaeuro.
Ecco! Sento tuonare i benpensanti, visto che non può restituire il prestito dal momento che ci sono soltanto 1000 fantaeuro in circolazione? La banca avrebbe dovuto creare anche i 295 fantaeuro degli interessi!
Questo è vero soltanto se Sandro si siede suoi suoi 1000 fantaeuro e non ci fa nulla. Ma allora perchè li ha chiesti in prestito? Oppure spende 100 fantaeuro l’anno in beni di consumo, ma in questo caso Sandro andrebbe in bancarotta con qualsiasi tasso di interesse e indipendentemente dal quantitativo di moneta in circolazione.
Vediamo invece un caso più interessante e che si reputa impossibile. Sandro investe 800 fantaeuro, comprando un campo, dei semi ed un aratro (**). A fine anno, prima di pagare gli interessi, ha pronto un bel carico di mele da portare al mercato. Gli sono rimasti 200 fantaeuro che usa in parte per pagare gli interessi ed in parte mette nel salvadanaio.
Più tardi al mercato vende le sue mele ed incassa 300 fantaeuro. Non tutti hanno voluto utilizzare subito le banconote in cambio delle  mele ma hanno preferito risparmiarne una parte per il futuro. Non solo. Infatti gli altri commercianti hanno iniziato a scambiarsi i pezzi di carta sapendo che potranno darli a Sandro in cambio delle mele.
Che fine hanno fatto i 129,5 fantaeuro di interessi pagati alla banca? A meno di considerare quest’ultima come qualcosa di astratto che non ha bisogno di nulla e che si diverte ad accumulare pezzi di carta, possiamo ipotizzare ragionevolmenteche il grasso banchiere spenda questi soldi, diciamo tutti in banchetti e bunga bunga. (Nella realtà le banche hanno delle spese e redistribuiscono gli utili agli azionisti). Si potrebbe obiettare: ma in questo modo dopo i dieci anni il prestito è estinto correttamente ma la banca non ha più i 1000 fantaeuro di capitale iniziale in cassa. Vero, ma dopotutto lo scopo del banchiere era vivere alle spalle della comunità e così facendo ha potuto spendere 129,5 fantaeuro l'anno anziché 100, ingrassando ancora di più.
Notate bene! Questi 129,5 fantaeuro spesi dal banchiere sono soldi che sono immessi in circolazione e non sono gravati da nessun debito! Grazie alla spesa del banchiere, Sandro riesce ancora a vendere delle mele e guadagnare 50 fantaeuro.
Inizia un nuovo anno e questa volta, il nostro protagonista, deve spendere soltanto 200 fantaeuro in pezzi di ricambio e sementi per mantenere l’attività. Al mercato stessa situazione. Ripaga i 129,5 fantaeuro di interessi ed incassa 350 fantaeuro. Alla fine della giornata fa i conti e vede che quest’anno ha un utile di 20,5 fantaeuro. Allo stesso modo lo schema va avanti negli anni successivi.
Al decimo anno, Sandro versa l’ultima rata ed estingue in suo debito. In circolazione rimangono sempre i 1000 fantaeuro di partenza e nessun debito da saldare.

Morale della favola

A) Il grasso banchiere ha guadagnato da questa storia?
Certamente! Il fatto che potesse creare dal nulla il denaro ha fatto in modo che potesse vivere a sbafo per dieci anni organizzando festini. Questo vale per lui come per qualsiasi entità che possa creare/stampare denaro dal nulla ed imporne l’uso ad una comunità.

B) La comunità poteva organizzarsi in altra maniera?
Ovvio! Il sistema di scambio diretto di beni che chiamiamo baratto è altamente inefficiente: chi ha il pane e vuole le mele deve trovare qualcuno con bisogni coincidenti ma opposti. Qualcuno allora inizia ad effettuare scambi indiretti, ovvero dar via il pane in cambio non delle mele ma di qualcosa che potrà utilizzare in uno scambio successivo per ottenere le mele. Man mano che questa strategia si diffonde nella comunità, alcuni beni saranno più ricercati di altri e si affermeranno come “mezzo di scambio”. È in questa maniera che oro ed argento sono diventati moneta. Similmente nella comunità avrebbe potuto originarsi spontaneamente un’economia monetaria senza l’intervento esterno del banchiere.

C) Perchè Sandro è riuscito a restituire il prestito?
Perchè il suo era un buon investimento! Infatti ad ogni periodo il totale delle spese (329,5 fantaeuro), tenuto conto degli interessi sul debito, era inferiore al totale delle entrate (350 fantaeuro). Se avesse incassato soltanto 190 fantaeuro allora non sarebbe stato in grado di ripagare il prestito, nemmeno se questo fosse stato fatto con tasso zero. Quindi il problema non è il tasso di interesse positivo ma la qualità dell'investimento.

D) Creando quei mille fantaeuro, il banchiere ha creato del risparmio?
No. Il risparmio esisteva già ed era stato creato da quei cittadini che avevano prodotto l’aratro, le sementi, etc. invece di darli in cambio di beni di consumo. Il banchiere, quindi, non ha creato il risparmio ma si è appropriato dei frutti del risparmio a spese di chi lo aveva creato.

E) Perchè esiste un tasso di interesse positivo?
Perchè esiste il tempo: il prestito avviene oggi ma la restituzione sarà effettuato soltanto nel futuro (tra un anno, due anni, cinque anni, etc.). Esiste una legge economica che si chiama “preferenza temporale” e sostanzialmente dice che preferiamo i beni presenti ai beni futuri. Quindi se possiedo 100 monete d’oro oggi e te le presto per dieci anni, mi aspetto che tu me ne restituisca un numero maggiore, altrimenti le 100 monete me le tengo.

In conclusione tutti coloro che si lamentano dell’usurocrazia globale che costringerebbe gli Stati e le persone ad indebitarsi  farebbero meglio a chiedersi se stanno criticando quelle che sono le vere magagne del sistema monetario e bancario internazionale oppure stanno soltanto cercando di autoassolversi per essersi indebitati senza avere la reale possibilità di ripagare il prestito (es. i mutui subprime)




(*) ho già detto che è una situazione totalmente irrealistica :)
(**) ha promesso che accetterà quei pezzi di carta in cambio delle mele che produrrà

Due pesi e due misure

 

«I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita, del resto, diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita. È più bello cambiare, avere delle sfide, purché siano in condizioni accettabili e questo vuol dire che bisogna tutelare un po’ meno chi oggi è iper-tutelato e tutelare un po’ di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci»

Così parlò Monti a Matrix e non posso che condividere le considerazioni di Alberto Bisin su Noisefromamerika: estendere la protezione a tutti significa ridurre ulteriormente il numero degli occupati, specialmente giovani e donne.

Lasciamo stare le urla indignate di chi ha trasformato quel discorso che ho riportato nella sua interezza, nello slogan “Il posto fisso è monotono” (che vuol dire ben altra cosa!), lasciano il tempo che trovano.

Vorrei piuttosto concentrarmi su ciò che l’economista keynesiano Gustavo Piga propone come soluzione per risolvere il problema:

«Benissimo. Rovescerei il messaggio: che monotonia stare a casa disoccupati. I giovani si abituino a cambiare.
2 milioni circa di giovani disoccupati. Uno spreco incredibile per il nostro Paese.
Immaginiamo di metterli tutti al lavoro. Fine della monotonia. Contratto a 3 anni, 1000 euro al mese, non rinnovabile, non tassati. In totale, 12.000 euro l’anno, 25 miliardi di euro, poco più di 1% di PIL»

L’idea è quella di mettere per tre anni al lavoro questi disoccupati, ad un salario di 1000 euro al mese, che, badate bene, qui è uguale al costo del lavoro, «nei Ministeri, presso i Musei, nelle università, nei cantieri, nel supporto agli anziani». Chissà quante cose imparerebbero, suggerisce il docente, quanti incontri utili, come aiuterebbero la ricostruzione del paese!

Il richiamo è al servizio militare obbligatorio oppure, come viene fatto notare nei commenti, al servizio civile e ai lavori socialmente utili. 

Ci siete fin qui? La trovate una proposta bellissima che darà ai giovani disoccupati incredibili opportunità per fare nuove conoscenze ed accumulare esperienza lavorativa? Bene.

Controproposta.

Immaginiamo di dire al settore privato: se assumi un disoccupato con un contratto triennale, non rinnovabile, lo paghi 1000 euro al mese, zero tasse, zero contributi, zero assicurazione sugli infortuni, zero ferie pagate. Costo per gli imprenditori? 12000 euro l’anno. Costo per la collettività: zero. Pensate a quante opportunità per le nostre aziende in crisi per dare lavoro, creare ricchezza e rilanciare la crescita del PIL. Scommettiamo che gran parte dei due milioni di disoccupati troverebbe presto occupazione?

Ma soprattutto, scommettiamo che tutte le associazioni sindacali dei lavoratori, gran parte dei politici e dei ben pensanti paladini dei lavoratori sbraiterebbero subito che così si legalizza la schiavitù e si ledono i diritti dei lavoratori? «Ma come, strillerebbero, a questi imprenditori privati viene permesso di non pagare i contributi pensionistici, le assicurazioni sugli infortuni, le ferie? E cosa succede a chi si infortuna sul lavoro? Pagano per tutti Mario Monti e la Fornero?».

Ed ecco che magicamente, quella che viene giudicata una splendida idea, se attuata dallo Stato, diventa malvagia e diabolica se permessa al settore privato. Non vogliamo mica permettere ad un imprenditore privato di assumere un lavoratore senza pagargli i contributi, l’assicurazione  sugli infortuni e le tasse? 

Oggi se un datore di lavoro vuole offrire a un disoccupato uno stipendio netto di 1000 euro al mese ne deve pagare quasi 1900. Forse, erodendo questi 900 euro trattenuti a vario titolo dallo Stato, si potrebbe fare in modo che sia lo stesso settore privato a riassorbire la disoccupazione, senza dover scomodare ricette keynesiane di assunzioni pubbliche temporanee, che spesso poi si traducono in posti di lavoro fittizi di stampo clientelare.

E allora rileggiamo Monti e Bisin senza pregiudizi ideologici e vedremo che su questo punto hanno perfettamente ragione.

La soluzione "finale" di Krugman


In una recente intervista a Le Monde, il mio economista preferito illustra la sua ricetta per scongiurare la crisi europea. Indovinate un po’, la soluzione è stampare denaro! L’avreste mai detto?
Ecco uno stralcio dell’intervista, riportato da Ticino live

«L’Europa ha bisogno di una politica monetaria più aggressiva di quella americana, è l’unica maniera per portare i correttivi necessari. La BCE dovrebbe acquistare un numero maggiore di debiti sovrani e favorire maggiormente l’espansione monetaria.
Se qualcuno mi dice che questo rischia di far scivolare i prezzi, io rispondo che l’inflazione non è il problema, ma è la soluzione.
Per restaurare la competitività in Europa è necessario, ad esempio, che per i prossimi cinque anni nei paesi europei meno competitivi i salari diminuiscano. Con un poco di inflazione, questo aggiustamento è più facile da realizzare, ossia lasciar crescere i prezzi senza aumentare i salari».

Ricordatevi queste parole di Krugman la prossima volta che si ergerà a paladino dei più deboli, contro gli squali affamati di Wall Street. Per chi fosse stato poco attento, il premio Nobel per l’economia nel 2008, sta dicendo che per i prossimi cinque anni, in paesi come Italia e Grecia, i salari, tutti i salari, devono diminuire. Come fare? Secondo Krugman il metodo più facile, e che provoca il minimo numero di manifestazioni di piazza, è quello di provocare una crescita dei prezzi a parità di salari.

Parafrasando un giudizio di Mises su Keynes, Paul Krugman sta proponendo, scusate il francesismo, di fottere i lavoratori.

Perchè dico così? Ora ve lo spiego.

Non è un segreto che in Italia, così come in altri paesi europei, vi sia un divario enorme tra quanto un lavoratore costa all’azienda, il cosiddetto “costo del lavoro”, e quanto effettivamente prende in portafoglio, il suo stipendio netto. 

«Per ogni 100 euro di retribuzione lorda erogati a un dipendente, un’azienda italiana versa 32 euro di contributi; il lavoratore, dal canto suo, subisce trattenute - sotto forma di tasse e contributi - per altri 30 euro, e alla fine se ne trova solo 70 in busta paga».

Usando numeri più familiari, se vi arrivano 1200 euro netti mensili, in busta paga potrete leggere uno stipendio lordo di circa 1714 euro ma all’azienda, in realtà, siete costati 2263 euro.

Quando un’impresa deve decidere se assumere un lavoratore, questo è il numero che le interessa maggiormente (*), perchè quelli sono i soldi che effettivamente si troverà a sborsare. Al lavoratore invece interessa lo stipendio netto è contratta su quello, nemmeno troppo consapevole che su 1200 euro che ottiene lui, lo Stato ne pretende 1063. Si veda a questo proposito la sacrosanta battaglia di Giorgio Fidenato contro il sostituto d’imposta.

Torniamo ora all’affermazione di Krugman per cui in Italia e negli altri paesi meno competitivi dell’area euro debbano diminuire i salari, cioè il costo del lavoro. Una misura semplice per ottenere questo risultato senza intaccare lo stipendio netto dei lavoratori sarebbe quella di andare a tagliare la parte di salario di cui si appropria lo Stato, sotto forma di tasse e contributi. Se nell’esempio precedente si riducesse di 200 euro il prelievo contributivo, distribuendo equamente i benefici tra lavoratore e imprenditore, quest’ultimo si ritroverebbe a pagare 100 euro in meno ed il primo, invece, otterrebbe 100 euro netti in più.

Questa manovra, la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, avrebbe come beneficio quello di diminuire il costo del lavoro e contemporaneamente aumentare il monte salari. Il costo, invece, è quello di minore entrate fiscali, almeno nel breve termine (**), da bilanciare con un corrispettivo taglio della spesa pubblica. 

Per Krugman, però, questa non è la soluzione ma anzi un modo per aggravare ulteriormente la crisi; per il premio Nobel la soluzione è invece stampare denaro e fregare i lavoratori.

«Una politica monetaria meno severa e un’inflazione più alta, attorno al 4%, offrirebbero alla Zona euro una parte di quella flessibilità che le manca».

Quattro o cinque anni di inflazione al 4%, con stipendi fermi. Meno male che lui è il paladino dei poveri e degli oppressi! 

Ma come generare questa inflazione?

«La BCE dovrebbe acquistare un numero maggiore di debiti sovrani e favorire maggiormente l’espansione monetaria».

Tanti soldi alle banche (non a caso Krugman elogia Mario Draghi) e monetizzazione del debito pubblico, in modo che lo Stato possa spendere e spandere senza problemi, la moneta entri in circolazione (e non rimanga nelle banche zombie a ripianare le perdite), ed i prezzi di beni e servizi salgano alle stelle.

E così, mentre negozianti ed autonomi possono aumentare prezzi e tariffe, mentre tutto diventa più caro, gli stipendi dei lavoratori dipendenti (quelli netti!) rimangono fermi, perdendo progressivamente potere d’acquisto: chi faticava ad arrivare a fine mese ora si ritroverà direttamente in mutande, senza nemmeno capire troppo il perché. Per l’uomo della strada la colpa sarà dei negozianti ladri che speculano sulla povera gente ed aumentano i prezzi!

Dal momento che il gioco monetario è sostanzialmente a somma zero, ciò che perdono i salariati viene trasferito a qualcun altro ovvero i primi che ricevono la moneta nuova. Devo ricordarvi chi sono?

Inoltre l’idea di poter promettere cinque anni di inflazione dei prezzi costante al 4% è semplicemente folle. Il meccanismo inflazionistico non si controlla facilmente ed è molto facile che una volta aperto il vaso di Pandora poi non lo si riesca a richiudere tanto facilmente.

Ma lo sapete, vero, perchè Krugman vuole l’inflazione? Perchè i lavoratori dipendenti non sono gli unici a prendersi la fregatura, sono in buona compagnia. L’inflazione dei prezzi, infatti, favorisce i debitori a scapito dei creditori e lo sappiamo tutti chi è il più grosso debitore del paese, no?


(*) C’è poi tutto il contesto giuridico che va a regolare il contratto di lavoro e che in Italia ha sicuramente un gran peso nel determinare la disoccupazione giovanile, ma di questo Krugman non parla (probabilmente perchè non conosce la situazione europea)
(**) Nel medio termine le aziende assumeranno di più, aumentando quindi la base imponibile, e quindi non è detto che alla fine lo Stato incasserà meno tasse. Inoltre bisogna tener conto della riduzione automatica di spesa negli ammortizzatori sociali dovuta alle nuove assunzioni. Si tratta esattamente di quella austerity espansiva di cui parlavo in questo post.