Calcola la tua inflazione dei prezzi (Novembre 2011)


Avvertenza: giocare con javascript e la piattaforma blogger non è così automatico come speravo. Ora come ora ha dei problemi.
Per questo fine 2011 ho voluto provare a realizzare una paginetta in javascript in modo che ciascuno possa calcolare, in maniera personalizzata, come è variato il potere d'acquisto del suo stipendio.

Come fare? Innanzitutto dobbiamo stabilire, per ciascun capitolo di spesa, un "peso" in modo da costruire un paniere personalizzato: il modo più semplice è introdurre, per ciascuna voce, quanto abbiamo speso durante un intervallo di tempo prefissato (es. una settimana) ed il programma lo costruirà per voi. Se non sapete in quale voce introdurre una certa spesa, potete utilizzare le categorie"più generali".

Basta poi un click ed il gioco è fatto.



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La lezione del '37

È opinione comune che “far quadrare” i conti di uno Stato sia normalmente una pratica costosa per l’economia mentre nei periodi di crisi economica il prezzo da pagare per avere il pareggio di bilancio sarebbe così alto da far diventare un austerico criminale chi ha anche solo l’ardire di proporre una simile misura.

La lezione della storia, ci viene detto, è chiarissima e va imparata una volta per tutte. Quando nel 1937 Roosevelt tentò di pareggiare il bilancio, fece ripiombare gli Stati Uniti in recessione proprio mentre il New Deal stava avendo un clamoroso successo.

Scrive Christina Romer:

«La ripresa dalla Grande Depressione viene spesso descritta come lenta perchè l’America non tornò alla piena occupazione se non dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Ma la verità è che la ripresa nei quattro anni dopo che Franklin Roosevelt entrò in carica nel 1993 fur incredibilmente rapida. La crescita del GDP reale fu in media del 9%. Il tasso di disoccupazione calò dal 25% al 14%. Se escludiamo la Seconda Guerra Mondiale (1), gli Stati Uniti non hanno mai visto una così sostenuta e rapida crescita. Tuttavia, essa venne fermata da una seconda grave recessione nel 1937-38, quando il tasso di disoccupazione risalì al 19%. La causa fondamentale di questa seconda recessione fu uno sfortunato e in larga parte dovuto a distrazione, cambio di politica fiscale e monetaria in senso restrittivo»
 

Inoltre, continua la Romer:

«Nel 1936 la Federal Reserve iniziò a preoccuparsi di indivudare una “exit strategy”. Dopo diversi anni di politica monetaria relativamente espansiva, le banche americane avevano in portafoglio grandi quantità di riserve in eccesso rispetto ai requisiti legali (2). [..] La Fed allora raddoppiò i requisiti di riserva in una serie di provvedimenti. Sfortunatamente saltò fuori che quelle banche, ancora nervoso dopo i panichi finanziari dei primi anni ’30, volevano detenere riserve in eccesso come una sorta di cuscinetto. Quando quell’eccesso fu tolto via con un colpo di penna, corserò a rimpiazzarlo riducendo i prestiti. Secondo uno studio molto famoso sulla Grande Depressione di Milton Friedman e Anna Schwartz, la risultata contrazione monetaria fu la causa centrale della recessione del 1937-1938»

La lezione della storia che i nostri amici di sempre traggono è quindi che far quadrare il bilancio dello Stato mentre la Banca Centrale sta attuando una politica monetaria restrittiva sia un suicidio.

Partiamo dalla seconda affermazione.  La definizione di politica monetaria restrittiva è alquanto variabile, tanto che ultimamente per alcuni la definizione è diventata più o meno questa:
 «La politica monetaria della banca centrale è restrittiva se gli aggregati monetari, al netto dell’inflazione, non crescono»
 Diventa dura capire quando possa essere espansiva! 

Inizio noiosa parentesi pseudo-accademica
Sì so benissimo che nel modello IS-LM si utilizza proprio l’aggregato monetario in termini reali, però il fondamento logico alla base del modello (e della teoria keynesiana) è proprio che i salari ed i prezzi siano “vischiosi” (sticky) nel breve periodo e che quindi si possano ignorare gli effetti che un aumento della quantità di moneta ha sui prezzi.
Fine noiosa parentesi pseudo-accademica

 In ogni caso affermare che la BCE stia portando avanti una politica monetaria restrittiva quando ha appena effettuato una enorme iniezione di liquidità nel sistema bancario europeo, è .. come dire... originale.

Felici di sapere che per le banche e tutto a posto e nessun consulente portafogli esterni di MPS perderà il lavoro, concentriamoci invece sulla politica fiscale.

Pareggiare il bilancio, ma come?

La storia del 1937, come quella del 1932, ci racconta ciò che succede quando un governo cerca di far quadrare i conti, aumentando le tasse. Ma deve sempre andare in questa maniera?

Analizziamo questo grafico sull’andamento di tasse e spese federali negli Stati Uniti durante la Grande Depressione:


La linea rossa, (AFRECPT/GDPA) mostra l’andamento, in rapporto al PIL, delle entrate fiscali mentre la linea blu (AFEXPND/GDPA) quello delle spese federali. Ora andiamo a controllare alcuni “passaggi delicati” che spesso vengono citati come la “smoking gun” che pareggiare il bilancio sia recessivo.

1932-33: Krugman sul NY Times: “Nessun moderno Presidente americano potrebbe ripetere l’errore di politica fiscale di Hoover del 1932, quando il Governo federale tentò di far quadrare il bilancio seppure in mezzo ad una severa recessione
In realtà il tentativ di “far quadrare il bilancio” si riferisce ad un aumento di spesa federale accompagnato da un aumento massiccio delle tasse (in termini relativi la tassazione quasi raddoppiò in un anno).

1937: Questo è l’episodio citato da Christina Romer. Anche qui il pareggio di bilancio venne raggiunto accompagnando un taglio della spesa (in gran parte dovuto al taglio dei sussidi ai veterani della Prima Guerra Mondiale) ad un aumento delle tasse (quell’anno vennero per la prima volta vennero riscosse le tasse sulla social security). Non è poi da dimenticare il già citato intervento della Federal Reserve sui requisiti di riserva. 

1946-47:  Durante la guerra mondiale gli Stati Uniti mantennero un livello di spesa in deficit molto elevato per finanziare lo sforzo bellico nel Pacifico ed in Europa. Terminato il conflitto, però, l’Amministrazione decise di “far quadrare i conti” tagliando in fretta ed in modo sostanziale la spesa pubblica e contemporaneamente riducendo l’imposizione fiscale.

Gli economisti keynesiani preannunciavano la catastrofe economica:

«Quando questa guerra giungerà alla fine, più di metà dei lavoratori dipenderà direttamente o indirettamente da ordini  militari. Avremo una decina di milioni di uomini in servizio da ricollocare nel mercato del lavoro. Dovremo affrontare un difficile periodo di riconversione durante il quale alcuni beni non saranno più prodotti e ci potrebbero essere molti licenziamenti. Non è neanche detto che la necessità tecnica di riconversione debba necessariamente generare un flusso di investimenti sufficiente nel periodo che stiamo considerando. La conclusione finale che possiamo trarre dall’esperienza della guerra precedente è inevitabile – dovesse la guerra finire improvvisamente nei prossimi sei mesi, dovessimo progettare di esaurire i programmi di guerra con la massima fretta, smobilitare le forze armate, eliminare il controllo sui prezzi, passare da deficit astronomici anche solo agli elevati deficit degli anni ’30, allora questo verrebbe accompagnato dal più grande periodo di disoccupazione e dislocazione industriale che l’economia ha mai affrontato».

La smobilitazione di dieci milioni di soldati americani, accompagnata da una drastica riduzione della spesa pubblica, la rimozione del controllo dei prezzi  ed una rapida riconversione dell’apparato bellico a scopi civili portarono ad un tasso di disoccupazione massimo, nel 1947, del.... 3,6%.

Conclusioni

L’espressione “far quadrare i conti” può voler dire molte cose. Può significare che il governo decida di realizzare il pareggio di bilancio aumentando le tasse oppure può agire in senso opposto, tagliando innanzitutto la spesa , anche ridimensionando in modo significativo il peso dello Stato, ed accompagnando queste misure con un alleggerimento fiscale.
In entrambi i casi i keynesiani parleranno di politica fiscale restrittiva (alcuni semplicemente di “stretta fiscale” facendo una confusione di termini) e cercheranno di convincere tutti dell’ineluttabilità di una recessione in seguito al tentativo dei governi europei di mettere a posto i loro conti.
Se questo nel 2012 sarà seguito da un aggravamento della situazione macroeconomica, però, la responsabilità dei governi non sarà data dal fatto di aver ricercato un pareggio di bilancio (dato aggregato) ma di aver tentato di raggiungerlo aumentando le tasse ed evitando di tagliare le spese in maniera significativa e strutturale.

Questa è la vera lezione del ’32 e del ‘37







(1) La favoletta della Seconda Guerra Mondiale come periodo più prospero della storia americana è così assurda che solo chi ritiene che la realtà stia nei numeri delle statistiche governative può crederci. Prosperità significa quindi mandare più di dieci milioni di uomini in età lavorativa a combattere e morire nelle isole del Pacifico e in Europa? Destinare il sistema industriale alla produzione di navi, aerei e carri armati? Far lavorare in patria gli anziani e sottoporre il paese ad uno stretto regime di controllo dei prezzi e di razionamento? Questa è la “prosperità” che vissero gli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale.

(2) Vi ricorda qualcosa? Cosa farà Elicottero Ben quando la situazione economica migliorerà e le banche americane decideranno che le loro “riserve in eccesso” non saranno più necessarie?

Ricetta keynesiana alla crisi



«La tesi secondo cui la crisi economica può essere favorita da una forte sperequazione dei redditi è stata in effetti sostenuta nel tempo da svariati economisti. Nel campo dei teorici “critici” ricordo Paolo Sylos Labini, che forniva un’interpretazione della grande crisi degli anni Trenta che attribuiva notevole rilievo al problema della divaricazione dei redditi. Ma ve ne sono anche nell’ambito del mainstream: ad esempio, il premio Nobel Joseph Stiglitz ha recentemente aderito a questa tesi. In genere questa chiave di lettura si basa sul fatto che la propensione al consumo dei salari è maggiore rispetto alla propensione al consumo di profitti e rendite. Ossia, se diamo 100 Euro a un operaio, questi evidentemente spenderà una quota significativa di quella somma e tenderà a risparmiarne una quota molto piccola; se invece trasferiamo questi 100 euro a un titolare di capitali o di rendite finanziarie o immobiliari, questi molto probabilmente non si accorgerà nemmeno di averli e tenderà a risparmiarli. Si tratta di un’evidenza ben documentata dai dati empirici. Da questa constatazione si giunge quindi all‘idea che quanto più si sposta il reddito dai lavoratori ai proprietari del capitale tanto più la spesa complessiva, cioè la domanda di merci, tende a deprimersi»


«Siamo insomma di fronte alla drammatica realtà di un sistema economico mondiale senza una fonte primaria di domanda, senza una “spugna” in grado di assorbire la produzione. »

La logica Soluzione

Michele Pisacane - Deputato PiD

«Lo stipendio è troppo basso, è poco. Io guadagno 4412 euro, è scritto nella busta paga di novembre. Per ascoltare gli elettori si hanno delle spese, bisogna avere segreterie politiche, segretari, accendere la luce, usare il telefono. Se tornassi a fare il mio mestiere di medico guadagnerei di più. Certo, con le indennità si arriva a circa 12mila euro al mese ma con uno stipendio così, se devi sottrarre i soldi che dai ai tuoi figli, i contributi per la mia professione e le spese per la politica, alla fine ne rimangono solo la metà, seimila euro. Mi sento penalizzato. Prendo poco, io lavoro veramente [..] Sì, io e mia moglie (consigliere regionale in Campania, ndr) insieme prendiamo circa 30 mila euro di stipendio netti al mese - dice ancora Pisacane - ma non vedo qual è il problema»

Mario Pepe – Deputato ex PdL ex Popolo e Territorio

«Ho fatto 3 legislature, tra 10 giorni maturo il diritto a prendere il vitalizio parlamentare, credo 3 mila, 3 mila e qualche cosa al mese... io so di parlamentari che con il vitalizio riescono sì e no a sopravvivere. Senza il vitalizio io sarei in difficoltà, perché ero medico, ma da 12 anni faccio solo il parlamentare, senza vitalizio prenderei una pensione di 1.200 euro al mese. [..] Il parlamentare deve avere la serenità economica, deve sentirsi garantito. Ma lo sa io quanti testimoni di nozze ho fatto quest'anno, ma lo sa quanti regali ho fatto? Ho fatto il testimone di nozze a 21 matrimoni! Come che c'entra? Io sono un deputato all'antica, di quelli che prendevano le preferenze, devo ascoltare i bisogni, le esigenze della gente, ci sono delle spese.. »

Raffaele Lombardo – Presidente della regione Sicilia

«Se dobbiamo rapportare il mio stipendio al lavoro che faccio, minimo dovrebbero triplicarlo. Siccome quello che faccio non lo faccio per denaro, non so quanto guadagno e quanto mi rimane in tasca [..]Non faccio una vita di lussi non bevo, non fumo, non prendo caffé e non ho distrazioni. Ho solo le tasche bucate»

Gabriella Carlucci – Deputata Udc, Ex Pdl

«No, lo stipendio troppo alto no! Io ho una segreteria a Roma che pago io, due segreterie in Puglia che pago io… Sa cosa vuol dire mantenere una segreteria? Affitto, telefono, luce…  [..]Allora adesso io ti mando l’elenco delle mie spese. Perché io ho il rimborso aereo, ma quando vado a Trani o a Bari dormo e mangio in albergo. Ti faccio l’elenco delle mie spese e poi vediamo se il mio stipendio è alto. Il mio stipendio è il minimo! Perché tutte le spese che ho le sostengo con i miei soldi. Spese che giustamente servono a mantenere il rapporto con l’elettorato. »

Avevamo la “spugna” in casa e non ce ne siamo manco accorti, anzi, l’abbiamo chiamata con disprezzo “la Casta”. Li critichiamo, diciamo che guadagnano troppo ma sono proprio loro, i politici, che grazie alla loro propensione al consumo altissima, possono risollevarci dalla crisi! Più soldi alla Casta! Non agli operai che anzi evitano di spendere perchè hanno debiti da pagare (link, pagina 12 e 13).

Come dire, certi miti sono duri a morire...

Sulla domanda di moneta


L’implacabile lotta di Phastidio.net contro gli AAA (e non mi riferisco ai giudizi delle agenzie di rating ma agli Austerici Austriacanti Austriaci), continua senza sosta, oggi tocca a Stefan Karlsson.

Di fronte alla persistente assenza di iperinflazione (o anche solo di inflazione, a dirla tutta), Stefan Karlsson, economista svedese di scuola Austriaca, giunge ad una puntualizzazione assai preziosa per tutti quelli che proprio non riescono a capire la differenza tra base monetaria ed offerta di moneta, come abbiamo potuto sperimentare tempo addietro davanti alle sdegnate email dei fedeli austriacanti che vedono inflazione dietro ogni angolo di strada.

Ricordiamo che i fedeli austriacanti vedono l’inflazione dietro l’angolo se la BCE deciderà di monetizzare i debiti dei paesi periferici dell’area Euro che sono in difficoltà nel piazzare i propri titoli e/o rischiano il default.
Che ci sia certa gente a cui non va giù che la BCE stampi qualche trilione di euro per comprare i bond dei paesi PIGS e contemporaneamente ripulisca i bilanci delle banche che li hanno in portafoglio, è intollerabile per Phastidio! Casualmente, ma vi assicuro è solo un caso, chi tanto si inphastidisce se non si salvano le banche, poi lavora in una di quelle messe peggio riguardo il debito italiano, ma, ripeto, è solo un caso. O forse no, dopotutto Phastidio augurava a tutti gli altri di perdere il lavoro, quindi...
Ma torniamo a noi. Il blogger di MPS si “stupisce” che un economista austriaco come Stefan Karlsson conosca la differenza tra base monetaria e offerta di moneta. Il problema di Karlsson è spiegare a Krugman che, secondo la teoria austriaca, l’iperinflazione (dei prezzi) non è una diretta ed automatica conseguenza  di un aumento della base monetaria.

Scrive dunque Karlsson:
«L’analisi monetaria Austriaca non solo non dice ma, per quanto ne so io, non ha mai detto che aumenti nella base monetaria creano direttamente inflazione da prezzi. E’ solo indirettamente, nella misura in cui essa [la base monetaria, ndPh.] aumenta l’offerta di moneta, che ciò avrà un qualche effetto. E mentre l’offerta di moneta è aumentata negli ultimi anni, l’aumento è stato molto inferiore a quello della base monetaria»
«E anche se alcuni Austriaci talvolta si esprimono come se una maggiore offerta di moneta determinerà necessariamente l’aumento dei prezzi, ciò non è necessariamente vero, se anche la domanda di moneta si innalza»

Il caro Phastidio non si capacita di leggere “domanda” ed “offerta” di moneta, ha un sussulto... ma come?

Incredibile, non trovate? Un Austriaco che conosce la distinzione tra base monetaria ed offerta di moneta. Ma non finisce qui: un Austriaco pienamente consapevole del fatto che il prezzo di un bene, di qualsiasi bene, si forma all’intersezione tra domanda ed offerta:
Aspetta un attimo: “aumento della domanda di moneta”, hai detto? Ma la domanda di moneta non si innalza in modo massimo, giungendo all’accaparramento (hoarding) durante le situazioni di trappola della liquidità, uno dei capisaldi del keynesismo? No, è impossibile che un Austriaco usi un concetto keynesiano per puntellare una propria dissonanza cognitiva. O no?

La risposta, caro Phastidio, è no, non si usa un concetto keynesiano e mi verrebbe da dire che certi consigli, che si danno agli altri, sarebbe utile seguirli in prima persona.
In un precedente post ho spiegato come mai gli austriaci non seguono la teoria quantitativa della moneta e non considerano la moneta neutrale nemmeno sul lungo periodo.
Scrive Mises

«[La teoria quantitativa della moneta] è un’applicazione della teoria generale della domanda e dell’offerta riferite al caso speciale della moneta. Il suo merito consisente nel tentativo di spiegare come viene determinato il potere d’acquisto della moneta utilizzando lo stesso ragionamento impiegato per spiegare tutti gli altri rapporti di scambio. Il suo difetto è invece quello di essere una interpretazione olistica. Guarda al totale dell’offerta di moneta di una comunità e non alle azioni degli individui e delle imprese. Una conseguenza di questo punto di vista erroneo è l’idea che prevalga una proporzionalità tra le variazioni della quantità totale di moneta ed i prezzi monetari dei beni. Ma i suoi critici non riuscirono a tirar fuori gli errori inerenti nella teoria quantitativa e sostituirla con una più soddisfacente. Non cercarono di combattere quello che era sbagliato nella teoria ma attaccarono, al contrario, il suo nucleo di verità. Il loro intento era di negare che ci fosse una relazione causale tra i movimenti della quantità di moneta e quelli dei prezzi. Questo loro rifiuto li imprigionò in un labirinto di errori, contraddizione e nonsenso»

e conclude

«La teoria monetaria moderna prende il testimone lasciato dalla tradizionale teoria quantitative, partendo da dove riconosce che i cambiamenti nel potere d’acquisto della moneta devono essere trattati secondo i principi applicati a tutti gli altri fenomeni di mercato e che esiste una connessione tra le variazioni nella domanda e nell’offerta di moneta da una parte ed il potere d’acquisto di quest’ultima dall’altra»

La teoria austriaca della moneta viene elaborata da Mises nel 1912 con la sua prima opera: La Teoria della Moneta e del Credito ( Theorie des Geldes und der Umlaufsmittel ), che Rothbard descrive così:

«La visione meccanicistica di Fisher delle relazioni automatiche tra la quantità di moneta e il livello dei prezzi, delle “velocità di circolazione” e dei “rapporti di scambio”   fu definitivamente demolita da Mises a favore di una applicazione della teoria marginale di utilità integrata alla domanda e offerta di denaro stesso.
Nel caso di specie, Mises mostrò chiaramente che, così come il prezzo di ciascun bene era determinato dalla quantità disponibile e dalla intensità della domanda del consumatore per quel bene medesimo (basata sulla sua utilità marginale) così anche il “prezzo” o potere d’acquisto dell’unità di moneta veniva determinato dal mercato seguendo le stesse modalità. La domanda di moneta è una domanda per detenere contante (nel proprio portafoglio piuttosto che in banca, da poter spendere, prima o poi, in beni utili e servizi). L’utilità marginale dell’unità di moneta (il dollaro, il franco o l’oncia d’oro) determina l’intensità della domanda di denaro contante; l’interazione tra la quantità di moneta disponibile e la domanda della stessa determina invece il “prezzo” del dollaro (cioè la quantità di beni che il dollaro può comprare). Mises condivise la “teoria quantitativa” classica: un aumento nell’offerta di dollaro o di once d’oro porta alla diminuzione del suo valore o “prezzo” (porta cioè a un rialzo nei prezzi di altri beni e servizi); tuttavia, egli riformulò in modo considerevole questa primordiale teoria e la inserì nel contesto delle generali analisi economiche. Mises dimostrò che questa relazione è appena proporzionale: un aumento nell’offerta di denaro tenderà ad abbassarne il valore, tuttavia in quale percentuale ciò si verifichi, nel caso si verifichi realmente, dipende tuttavia da cosa succede all’utilità marginale di denaro, quindi dalla domanda di contante. Inoltre Mises dimostrò che la “quantità di moneta” non aumenta di colpo: il flusso di moneta viene iniettato in un dato momento nel sistema economico e i prezzi aumentano solo quando la nuova moneta si diffonde capillarmente in ogni settore dell’economia. Se il governo stampa nuova moneta e la spende diciamo in graffette, non avremo solo un semplice aumento del “livello di prezzo” come asseriscono gli economisti non Austriaci, ma avremo un aumento prima del reddito dei produttori di graffette e dei prezzi delle graffette quindi in seguito dei prezzi dei fornitori dell’industria delle graffette e così via. In tal modo un aumento dell’offerta di moneta porta a una variazione dei prezzi perlomeno temporanea e può anche portare a una variazione permanente dei redditi.»

Vediamo invece cosa scriveva Keynes nel 1936, con la sua teoria monetaria della preferenza per la liquidità.

Scrive Keynes:

«La preferenza temporale di un individuo richiede due set di decisioni distinte per essere portata a termine. La prima concerne quell’aspetto della preferenza temporale che ho chiamato la propensità al consumo, che, operando sotto l’influenza di vari motivi che ho descritto nel Libro III, determina per ogni individuo quanta parte del suo reddito vorrà consumare e quanta parte vorrà riserva sotto forma di “comando su consumi futuri”

Quindi, quando gli individui ricevono un reddito, per prima cosa decidono quanto allocare ai consumi e quanto “non spendere”. Successivamente sono messi di fronte ad un’altra decisione:

«In quale forma vuole detenere questo “comando” sui consumi futuri che ha messo da parte, dal suo reddito o da risparmi precedent. Vuole detenerlo nella forma di immediato, liquido comando (moneta o suo equivalente)? Oppure è preparato a rinunciare all’immediata possibilità di utilizzarlo per un periodo di tempo determinato o meno, lasciando alle future condizioni di mercato la possibilità di determinare in quali termini potrà, se necessario, convertire questo “comando differito” in “comando immediato” sui beni in generale? »

In pratica gli individui devono poi decidere cosa detenere sotto forma di moneta e depositi e cosa sotto forma di titoli. A questo punto Keynes definisce tre motivi per detenere moneta liquida:

a) domanda di moneta per il motivo delle transazioni: è la domanda che gli individui pongono al sistema emittente moneta per essere in grado di effettuare le proprie transazioni giornaliere (acquisti e pagamenti);
b) domanda di moneta per motivi precauzionali: è la richiesta di una certa riserva di liquidità da detenere per affrontare eventuali spese imprevista ed incidentali;
c) domanda di moneta per il motivo speculativo: viene rivolta al sistema emittente per consentire un rapido movimento di transizione da un mix di attività finanziarie all'altro, tipicamente può essere individuata come il denaro che un individuo detiene nell'attesa di un determinato andamento del mercato finanziario

E cosa viene determinato dalla domanda di moneta?

«Quindi il tasso di interesse è sempre, essendo il premio per aver rinunciato alla liquidità, la misura della riluttanza di quelli che hanno moneta a separarsi da essa.»

Questo excursus su Keynes ci serve per due motivi:
In primo luogo il framework keynesiano usa domanda ed offerta di moneta con riferimento alla determinazione del tasso di interesse, non del livello dei prezzi. Inflazione dei prezzi ci sarebbe invece soltanto quando la domanda globale supera le capacità produttive del sistema, cioè in condizioni di piena occupazione delle risorse disponibili, (demand pull inflazion) quando per un aumento del costo degli input le imprese tendono a traslare la maggiore spesa sul prezzo finale dei beni di vendita e dei servizi (cost push inflation), oppure quando la persistenza di una delle altre due cause fa sì che vi sia aspettativa di inflazione anche per il futuro, che si tramuterebbero in una spirale di crescita tra prezzi e salari (built in inflation).
Non che condivida questa teoria, ma quello pensano i keynesiani. Quindi Karlsonn non aveva in mente Keynes quando parlava di “domanda di moneta” ma Mises.
In secondo luogo la teoria della preferenza per la liquidità serve per capire questa successiva affermazione del Phastidio(so), altrimenti incomprensibile.

Quindi, cari amici Austriaci, abbiamo scherzato: la base monetaria non si è (ancora) trasformata in aumento dell’offerta di moneta, visto che il moltiplicatore della medesima è crollato. Quindi smettete di leggere l’aumento delle dimensioni del bilancio delle banche centrali come presagio funesto della Weimar prossima ventura, e concentratevi sull’aumento dell’offerta di moneta, nelle sue varie aggregazioni. Ma sull’aumento espresso in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, mi raccomando.

A che serve, infatti, guardare i movimenti dell’offerta di moneta “al netto dell’inflazione” per determinare se avremo inflazione dei prezzi? È un assurdo.
Vediamo ad esempio il grafico dell’offerta di moneta, nelle sue varie aggregazioni ed espresso in termini reali, per gli Stati Uniti dal 1970 al 1984



Al netto dell’inflazione (dei prezzi), M1 oscilla un po’ ma nel 1984 è poco sotto al livello del 1970, mentre M2 ed M3 sono aumentate. Ma cosa possiamo dire dei prezzi guardando questi grafici? Ben poco. Senza conoscere i dati a priori, avreste potuto affermare che in quel periodo il tasso di crescita dell’indice dei prezzi al consumo era, per alcuni periodi, in doppia cifra? 

Allora perchè l’inphastidito parla di offerta di moneta in termini reali?

Perchè il framework keynesiano usa gli aggregati monetari in questo modo, nel modello IS-LM, per determinare la curva LM, cioè quella influenzata dalla politica monetaria e l’intendo di Phastidio è convincere tutti che ci troviamo con una politica monetaria restrittiva in cui la deflazione ci attende dietro l’angolo.

Perché l’illusione monetaria è una gran brutta malattia. Ma soprattutto cercate di studiare di più: avevate il Giappone come benchmark, e lo avete bellamente ignorato. Ora avete di fronte tutto il mondo occidentale, nelle stesse condizioni da sboom di credito e deleveraging: non fatevi scappare anche questa occasione.

Invitiamo umilmente anche il phastidioso a seguire i suoi stessi consigli prima di sparare ad alzata zero sugli AAA,  ma temiamo che da buon padawan riconvertito al lato oscuro, avrà ben altro da studiare.

Sempre due essi sono, un allievo ed un maestro.