A proposito di citazioni

Tratto da NoisefromAmerika

"non è solo una manovra per stabilizzare i nostri conti. È qualcosa di più, la correzione di una tendenza storica: meno spesa pubblica; meno enti inutili; meno spese inutili; meno abuso dei soldi pubblici; meno evasione fiscale". [...] Per la ricerca e per l'università, se configurate come reale investimento sul futuro, può essere fatta una politica diversa. [...]" "Questa volta - dice il ministro - non ci saranno altri a pagare per noi, saremo noi a dover pagare per noi e con gli interessi. Per decenni, in Europa, in Italia, drogati dal debito pubblico si è pensato che la politica fosse indipendente dai numeri, che la politica venisse prima dei numeri. E questi poi - i numeri - più o meno taroccati, ma ora è l'opposto: i numeri vengono prima della politica ed è la politica che deve adattarsi ai numeri"


Giulio Tremonti, estate 2010 dopo l'approvazione di un'altra manovra correttiva che doveva stabilizzare i conti....

Indovina chi l'ha detto...

Segnalato da usemlab

“Il fatto che oggi siamo qui a dibattere se aumentare il tetto del debito degli Stati Uniti è il segno del fallimento della nostra leadership [..] è il segno che il governo degli Stati Uniti non può pagare le proprie bollette. E’ il segno che ora dobbiamo dipendere dall’assistenza finanziaria che i paesi stranieri ci daranno per finanziare le spregiudicate politiche fiscali del nostro governo. ... Leadership significa che “lo scaricabarile finisce qui”. Invece Washington sta trasferendo il carico delle sue cattive scelte di oggi sulle spalle dei nostri figli e nipoti. L’America ha un debito ed una mancanza di leadership. Gli Americani meritano di meglio. Per questi motivi intendo oppormi alla proposta di alzare il tetto del debito degli Stati Uniti"

Barack Obama - Marzo 2006


Lo stipendio dei parlamentari: una proposta

In questi giorni di approvazione della manovra finanziaria si è parlato spesso di tagliare “lo stipendio” ai parlamentari per adeguarlo, durante la prossima legislatura, alla media europea. Nei fatti poi questo non è avvenuto perchè all’ultimo momento sono stati inseriti degli emendamenti che hanno modificato il decreto e lo hanno, in un certo senso, neutralizzato.

Ma se ci chiedessimo qual è il “giusto” stipendio per un parlamentare quale potrebbe essere una risposta valida? Nel mercato libero, ci ricorda Mises, «il valore del salario di ciascuna attività si determina a quel livello tale per cui tutti gli imprenditori disposti a pagare un determinato salario riescono a trovare tutti i dipendenti di cui necessitano, e tale per cui tutte le persone in cerca di lavoro trovano occupazione a quel determinato salario».

In pratica vi è uno stretto legame tra produttività del lavoro ed il salario pagato dagli imprenditori. Nella politica però non c’è domanda ed offerta e sono gli stessi politici a scegliere il loro stipendio, come fare dunque, attraverso la regolamentazione, a simulare in qualche modo il mercato?

È abbastanza ragionevole pensare, ad esempio, che lo scopo dei nostri politici debba essere quello di aumentare il reddito degli italiani: una “buon” governo dovrebbe fare in modo che il paese cresca e che a fine legislatura “si stia meglio” che all’inizio, no?

Questa tabella, elaborata dall’Istat, mostra la distribuzione dei redditi in Italia per gli anni 2005 e 2006 e possiamo utilizzarla come base per calcolare un possibile livello degli stipendi dei parlamentari che li incentivi a perseguire questo scopo.

Nella seconda riga leggiamo che al percentile n.10 corrisponde un reddito nel 2005 di 8340€ e nel 2006 di 8636€. Cosa significa? Che nel 2005 il 10% degli italiani percepiva un reddito netto inferiore a 8340€ mentre nel 2006 questa soglia si era alzata a 8636€.

Possiamo leggere la tabella in maniera opposta e dire che se al percentile 90 leggiamo per il 2006 un valore di 53280€ allora significa che il 10% della popolazione ha ricevuto un reddito superiore a quella cifra.

Se sommiamo i valori dei percentili 10 e 90 per il 2006 otteniamo 61916€, circa 5160€ al mese, un valore leggermente inferiore alla media europea (5339€/mese) ma che potrebbe rappresentare uno stipendio ragionevole per un parlamentare. Dopotutto sono anni che il nostro paese cresce meno del resto dell’Europa e quindi non si capisce perchè i nostri deputati e senatori debbano guadagnare più della media europea.

Se utilizzassimo questa regola per fissa lo stipendio dei nostri parlamentari non solo sarebbero incentivati promuovere riforme che rilanciano la crescita economica e che quindi fanno aumentare i redditi di tutte le fasce della popolazione, ma anche a farlo il più presto possibile, per poterne godere più a lungo.

Volete guadagnare di più? Fate queste benedette riforme e permettete al paese di crescere.


Se non ora... quando?

In questi giorni di “attacco” all’Italia, da più parti si è lanciato l’appello per un governo di unità nazionale o alternativamente per un governo tecnico, che si faccia carico di riforme impopolari, riduca la spesa pubblica e tranquillizzi i mercati prima che la “speculazione” ci colpisca ancora più duramente. L’idea è che un governo politico “normale” non potrebbe mai approvare questi provvedimenti perchè correrebbe il rischio, assai concreto, di trovarsi poi punito in una consultazione elettorale successiva.
Ora, che un governo “di responsabilità nazionale”, formato dagli stessi personaggi che negli ultimi anni hanno sfruttato i bassi tassi di interesse sul debito concessi dall’ingresso nell’euro non per risanare i conti pubblici ma per dilatare ulteriormente la spesa, riesca ora a fare le tanto agognate “riforme”, mi sembra tanto un wishful thinking degno di quello dei liberali che si ostinano ad appoggiare il Pdl e sognare una “rivoluzione liberale” nonostante 17 anni di delusioni e prese in giro.
Questi politicanti, che tanto bene hanno saputo “vivere alle spalle di tutti gli altri”, parafrasando Bastiat, non solo non hanno la volontà ma nemmeno le competenze per salvare questo paese dal baratro in cui l’hanno cacciato.
La soluzione è un governo tecnico quindi? Magari nominato dal Presidente della Repubblica ed appoggiato esternamente da tutte le forze politiche?
L’idea di un governo degli ottimati o di un dittatore illuminato che, come Cincinnato, lasci il suo orticello per salvare la Patria e poi se ne torni a casa finito il lavoro è tanto romantica quanto ingenua. Nessun governo sarà mai solo “tecnico” - nel decidere la direzione verso la quale indirizzare le riforme, si compie necessariamente una scelta politica - ed è bene che gli elettori siano consapevoli di quali idee politiche siano promotori. Vi fidereste poi voi di “tecnici” che fino a qualche anno fa dicevano di non preoccuparsi del debito pubblico perchè non ve ne era motivo? Oppure che dichiaravano che l’Italia avrebbe “sofferto meno” degli altri e ne sarebbe uscita prima? Io no! Senza contare i “tecnici” che arrivano direttamente dai Consigli di Amministrazione delle grandi banche d’affari, faranno gli interessi degli Italiani o dei loro ex datori di lavoro?
Perchè le riforme funzionino bisogna che a decidere di farle siano, in primo luogo, gli italiani. Serve quindi che siano raccolte ed organizzate in un programma chiaro, preciso, ben articolato ed in un certo senso rivoluzionario.
Una norma della Costituzione afferma che i rappresentanti eletti non hanno vincolo di mandato. Questa volta abbiamo invece bisogno di persone che siano vincolate (volontariamente) al programma che sono tenuti a realizzare per poi mettersi da parte. Perché? Per evitare le tentazioni di cui è stata vittima la Lega ad esempio, che da formazione politica di rottura e rivoluzionaria si è trasformata in un poltronificio: Roma sarà anche ladrona ma è tanto comoda la poltrona!
Un programma preciso quindi, ma quale? E soprattutto perchè la gente dovrebbe votare per un movimento politico che vuole attuare riforme che tutti giudicano impopolari?
Ritengo che un messaggio di libertà possa essere ancora oggi politicamente vincente, ma solo se a due condizioni:
  • Liberarsi da tutti (e intendo proprio tutti) quei personaggi che negli ultimi 17 anni hanno sventolato in pubblico la bandiera della libertà per poi servire interessi corporativi. Piazza pulita delle vecchie facce, solo gente nuova
  • Il processo di liberalizzazione deve essere generale e colpire tutte le corporazioni: è più facile accettare di perdere dei privilegi se anche tutti gli altri li perdono.
Allo stesso modo una riduzione sostanziale delle spesa pubblica può essere non solo accettata ma anche accolta con favore se:
  • I primi a subire i tagli sono i politici. Diminuire il numero di deputati e senatori, eliminare pensioni e vitalizi vecchi e nuovi, i rimborsi elettorale e legare gli stipendi di parlamentari, consiglieri regionali, etc. al reddito procapite: se l’Italia cresce anche il parlamentare prende di più, in caso contrario gli si riduce lo stipendio. E i cosiddetti diritti acquisiti? Se si toccano i diritti acquisiti di milioni di pensionati non vedo perché quelli dei parlamentari debbano essere considerati sacri ed inviolabili.
  • Vengono eliminati tutti quegli enti inutili che servono soltanto a garantire un cadreghino agli “amici degli amici” come le province, le comunità montane, quelle collinari, etc. Vengono accorpati, perlomeno per quanto riguarda l’amministrazione, i comuni al di sotto dei 5000 abitanti.
  • Si evitano, per quanto possibile, i tagli a tutte quei servizi forniti dallo Stato che sono considerati “essenziali”, in primis sanità ed istruzione. Piuttosto facciamo prima rientrare tutti i nostri soldati impegnati in “missioni di pace” in giro per il mondo.
  • Si riducono le tasse, specialmente quelle che gravano su imprese e lavoratori
Le cose da fare certamente molte non possono essere riassunte in poche righe (ne ho sicuramente dimenticate molte). Deve però essere chiaro lo spirito che le deve animare, lo spirito che permea le opere di Locke, Bastiat, Spencer ed Hayek: meno Stato, più libertà.