Bankestein revisited - Breve storia della moneta

Avevo scritto questa miniserie di articoli qualche tempo fa, e l'avevo chiamata "Bankestein revisited" in contrapposizione alla omonima storia che circola in rete e che fornisce una versione distorta di quella che è stata la nascita e l'evoluzione della moneta.

Buona lettura ed un grazie a chi l'ha resa disponibile su Scribd :-)

Bankenstein Revisited Bankenstein Revisited Gaia-NOM Un esaustivo articolo di Marco Bollettino sulla storia della moneta e delle banche, indispensabile per capire l'attuale sistema economico.


déjà vu

Segnalato da AlessioR sul forum di Usemlab, ecco un breve video direttamente dalla Grande Depressione. E' il 1933 ed il neoeletto presidente Franklin Delano Roosevelt ha la ricetta "giusta" per far uscire in fretta gli Stati Uniti dalla crisi: l'inflazione!

Ora siamo nel 2009 e la storia si ripete....

Non potevamo sapere. Non potevamo prevedere! (parte seconda)

Veniamo ora alla seconda critica mossa “agli economisti” e che Perotti vuole smontare.

2) «Non hanno saputo prevedere né capire, perché la metodologia economica prevalente si basa su modelli troppo astratti e matematici»

Questa critica è frutto dell'ignoranza sugli sviluppi della scienza economica. Per molti qualsiasi differenza dall'approccio discorsivo e informale della "General Theory" di Keynes viene interpretato come il frutto di una forma mentis che costringerebbe la realtà ad accordarsi con modelli astratti. Chi fa questa critica ignora o non capisce l'enorme letteratura prodotta da eccellenti economisti che hanno allo stesso tempo una preparazione formale e una profonda conoscenza dell'economia reale. Spesso ignora e non capisce l'enorme letteratura empirica di economisti seri e assolutamente interessati a comprendere come funziona il mondo in pratica, dediti a testare le teorie economiche con dati macro e micro”.

Quest’ultima frase rappresenta proprio il cuore del problema.

Come ha spiegato Mises, “non dobbiamo rifiutare il metodo matematico soltanto per la sua aridità. E’ un metodo completamente falso, che si basa su false assunzioni e porta ad inferenze fallaci. I suoi sillogismi non sono solo sterili ma dirottano le mente dallo studio dei problemi reali e distorcono le relazioni tra i vari fenomeni”.

Chi ha studiato fisica ha sicuramente prima o poi incontrato la teoria cinetica dei gas, che viene utilizzata per mettere in relazione le caratteristiche microscopiche di un gas (numero di molecole, velocità di ogni singola molecola, quantità di moto ed energia cinetica) con quelle macroscopiche (temperatura, pressione, volume)

In quella teoria si fanno diverse assunzioni che semplificano i calcoli e che hanno perfettamente senso all’interno del modello. Si suppone ad esempio che le molecole siano un numero così elevato da essere statisticamente significativo (*) e che si muovano in maniera completamente casuale nello spazio, obbedendo alle leggi di Newton. Queste due ipotesi permettono al fisico di affermare che non si commettono gravi errori se si assume che un terzo delle molecole si muova lungo ognuna delle tre direzioni dello spazio.

Il ragionamento è logicamente coerente ed il suo risultato, ovvero l’equazione di stato dei gas ideali approssima in modo soddisfacente il comportamento dei gas reali.

Quando però ci spostiamo nell’ambito di una scienza sociale come l’economia non abbiamo a che fare con molecole che si muovono casualmente, ma con uomini che agiscono individualmente per soddisfare dei fini ben precisi.

Aggregando i dati e facendo semplificazioni c’è il rischio di perdere di vista il rapporto causale tra le variabili, di individuare correlazioni laddove non ce ne sono, di stabilire che a livello macroeconomico esistono leggi, come. il cosiddetto paradosso del risparmio, che contraddicono quelle microeconomiche.

Si rischia appunto di credere che la realtà si comporti come un modello, di vivere nella presunzione della conoscenza, e giudicare anomalia tutto ciò che non vi si conforma. I modelli vanno bene ma usiamoli con cautela perché, come scrisse Henry Hazlitt: “se un’equazione matematica non è precisa è peggio che inutile: è una truffa. Ci dà risultati che hanno una falsa precisione. Ci dà l’illusione di conoscenza al posto della candida confessione di ignoranza, vaghezza ed incertezza che poi è l’inizio della saggezza”.

La terza critica segue logicamente dalla seconda

3) «Guardano la realtà con la lente perversa di ipotesi assurde come le aspettative razionali, l'informazione completa, i mercati efficienti»

“Una tipica variante di questa accusa prende la seguente forma: «Loro non lo sanno, ma noi che viviamo nel mondo e non nelle nuvole o nella turris eburnea dell'università sappiamo che i mercati non sono efficienti, che ci sono asimmetrie informative, che i prezzi degli asset possono deviare per lungo tempo dai fondamentali...»

Anche questa critica è frutto di una profonda ignoranza degli sviluppi dell'economia degli ultimi 30 anni, che si è dedicata in gran parte proprio allo studio di miriadi di deviazioni dall'ipotesi d'efficienza e d'informazione perfetta. Solo per fare un esempio, un'enorme ricerca studia teoricamente ed empiricamente come e perché vi possano essere bolle nei prezzi degli asset; e una enorme letteratura studia gli incentivi dei manager in presenza di asimmetrie informative.”

Ho cercato su google un po’ di letteratura a riguardo ed in nessuno dei casi esaminati vi era il minimo riferimento all’espansione artificiale del credito bancario come causa scatenante della bolla (in uno si parla di overconfidence degli operatori ed il secondo è un concentrato di matematica di alto livello in cui le bolle speculative sono causate, se ho capito bene, da shock esogeni). Eppure tutte le bolle speculative si sono sviluppate proprio in questo modo!

Vi è poi questo studio della Federal Reserve (del 2005!!) che ha esaminato tutta una serie di studi che si proponevano di individuare, tramite lo studio delle serie storiche dei prezzi degli asset, l’insorgere delle bolle speculative e che è molto interessante per le sue conclusioni:

“Le bolle speculative sul prezzo degli asset possono essere individuate? Uno studio dei test econometrici usati per individuare le bolle speculative mostra che, nonostante i recenti avanzamenti, non si può individuare con un soddisfacente grado di sicurezza una bolla speculativa con studi econometrici. Per ogni studio che trova evidenze di una bolla ce n’è un altro che rientra bene nei dati ma non permette lo sviluppo di una bolla speculativa”.

Questo perché, come scriveva Mises, “Tutti i prezzi che conosciamo sono prezzi del passato. Sono fatti che appartengono alla storia economica. Quando parliamo dei prezzi attuali ipotizziamo che i prezzi dell’immediato futuro non saranno molto differenti da quelli dell’immediato passato. Tuttavia tutto quello che viene detto riguardo i prezzi futuri è meramente una conseguenza della comprensione degli eventi futuri.”

Quindi se studiamo modelli econometrici ed introduciamo la serie storica dei prezzi passati riusciremo a prevedere bene i prezzi futuri soltanto fino a quando le condizioni economiche rimangono stabili. Non appena queste cambiano il nostro modello diventerà completamente inaffidabile.

Per fare un esempio è come se fossimo al casinò ed osservassimo per sette volte di fila uscire il rosso alla roulette. Analizzando i risultati passati ci convinciamo che, a dispetto della logica, continuerà sempre ad uscire rosso. All’ottava giocata puntiamo ed esce nuovamente un numero rosso. Convinti ora di avere ragione ripuntiamo tutto sul rosso e vinciamo nuovamente. Alla decima giocata, però, esce nero e perdiamo tutto.

Veniamo infine all’ultima critica mossa agli economisti, secondo Perotti.

4) «Molti non economisti hanno previsto la crisi».


Questo è falso. Dire per anni «la globalizzazione ha effetti perversi», «la nostra economia è eccessivamente finanziarizzata», oppure «l'economia finanziaria ha preso il sopravvento sull'economia reale» o ancora «il liberismo sfrenato comporta problemi sociali che solo gli economisti possono ignorare», non significa avere previsto la crisi. Accuse, tutte queste, a mio avviso infondate o strumentali.”

Qui non posso che essere d’accordo con Perotti ed aggiungerei solo che molti economisti che ora sono balzati alla ribalta per “aver previsto la crisi” in realtà rientravano in quelle schiere.

Conclusione

Perotti fa bene a difendere gli economisti dalle accuse che sono state rivolte loro. Sbaglia però a voler difendere il paradigma economico mainstream che è insegnato acriticamente in tutte le università ed è giustamente messo sotto accusa

Non tutti gli economisti sono stati ciechi di fronte alla crisi ed anzi in molti hanno saputo spiegarla e prevederla con dovizia di particolari. Tutti questi economisti aderiscono ad un paradigma economico alternativo, quello austriaco, accademicamente e politicamente emarginato.

Una vera difesa della categoria degli economisti dovrebbe passare attraverso il riconoscimento dell’inadeguatezza del paradigma esistente e sottolineando invece la bontà delle intuizioni teoriche di quegli economisti che la crisi l’avevano prevista.


Link alla prima parte


(*) Per comprendere il concetto di “statisticamente significativo” si pensi al lancio di una monetina. Se la lancio per 10 volte può benissimo capitare di ottenere un 70% di risultati “testa” (7 su 10). Se la lancio un milione di volte, invece, non otterrò dei risultati che si discostano molto, in termini relativi, dal 50% di teste.


Non potevamo sapere. Non potevamo prevedere! (parte prima)

In un recente articolo sul Sole 24 Ore, l’economista italiano Roberto Perotti tenta di difendere la categoria degli economisti dalle accuse che sono state mosse loro negli ultimi mesi. Ovviamente gli economisti sotto accusa e che Perotti vuole difendere sono quel 99% che fino all’anno scorso non vedevano problemi nell’economia e che oggi vogliono sapientemente traghettarci fuori dalla crisi a suon di spesa pubblica.

Queste sono le accuse che vengono principalmente mosse verso di loro:

1) «Gli economisti non hanno previsto la crisi».

“Su questo punto c'è molta confusione. È importante distinguere fra shock e propagazione degli shock. I primi sono, per definizione, non prevedibili. Dai sismologi non pretendiamo che prevedano i terremoti, ma che ci diano indicazioni di cosa succederà in certe zone se dovesse accadere un terremoto di una certa intensità. Per questo una critica più seria è che gli economisti non hanno saputo prevedere le conseguenze degli shock, una volta che questi si sono realizzati

Qui Perotti sta dicendo che la crisi è stata la conseguenza della propagazione di alcuni “shock” i quali, come i terremoti, non sono prevedibili. Chi critica gli economisti non dovrebbe quindi farlo non perché non hanno previsto gli shock ma piuttosto perché non hanno saputo capirne le conseguenze.

In pratica nel 2006 è scoppiata la bolla immobiliare negli Stati Uniti (lo shock imprevedibile) e gli economisti non sono stati in grado di comprendere che i disastri nel settore immobiliare avrebbero causato l’implosione dei titoli cartolarizzati (i CDO), dei credit default swaps e di tutto il settore creditizo.

A sostegno di questa tesi Perotti afferma che “Il 99% degli economisti italiani, ancora nell'estate del 2007, era all'oscuro di questi sviluppi [, o al massimo ne aveva un'idea molto confusa” e che “Ancora nell'estate del 2008 è lecito affermare che la stragrande maggioranza degli economisti non si resero conto che il sistema finanziario aveva misspriced il rischio in un modo abissale consentendo alle banche di investire percentuali gigantesche del proprio attivo in catastrophe bonds, e l'irrilevanza (anzi la pericolosità) macroeconomica delle assicurazioni fornite dal mercato

Ma è vero che lo scoppio della bolla immobiliare è stato uno shock imprevedibile e che gli economisti non hanno saputo intuirne le conseguenze?

Ludwig Von Mises sosteneva che è impossibile per un economista determinare la data precisa in cui il boom si tramuta in recessione ma tuttavia riteneva possibile fare previsioni di tipo qualitativo. Così come il sismologo ti dice che se costruisci la tua casa in una zona altamente sismica allora corri il rischio di vederla crollare entro breve, così l'economista avverte che se si abbassa artificialmente il tasso di interesse e si spinge per il credito facile nel settore dei mutui allora si creerà un boom insostenibile nel settore immobliare che prima o poi scoppierà dando avvio ad una terribile recessione.

Non a caso, mentre il 99% degli economisti italiani non si era accorto di nulla (e come sostiene Perotti “si interrogava sui bassi tassi di interesse”) Francesco Carbone, di Usemlab, metteva per iscritto i suoi timori sullo svilupparsi di una bolla immobiliare e sulle inevitabili conseguenze del suo scoppio (Prevedibile e Inevitabile, pp. 51-55)

I rischi che si stanno correndo, facendo leva sulla situazione finanziaria del settore privato e in special modo sulla frenetica attività del mercato immobiliare sono molto più alti di quelli, a nostro avviso, percepiti dagli investitori. La bolla tecnologica ha avuto come risultato la più inefficiente allocazione di risorse e di capitali della storia americana. La bolla immobiliare sta producendo gli stessi effetti e, ne momento in cui le condizioni dovessero mutare (per effetto del rialzo dei tassi a breve e/o ancora dei tassi di lungo periodo) qualcuno ne soffrirà inevitabilmente le solite pesanti conseguenze. Non c’è dubbio che la parte maggiore del conto toccherà ancora una volta ai vari Paul e John piuttosto che ai veri responsabili, quei Paul e John che nel loro insieme oggi si stanno facendo carico di ben 6 trilioni di debiti per l’acquisto della loro casa.”

Era il Febbraio, 2002.

Dall’altra parte dell’oceano, il 10 Settembre 2003 , Ron Paul denunciava all’House Financial Services Committee gli effetti nefasti dei “mutui facili” offerti da Fannie Mae e Freddie Mac e sponsorizzati dal governo.

Ironicamente, trasferendo il rischio di un default diffuso dei mutui, il governo incrementa le possibilità di un doloroso crash nel mercato immobiliare. Questo perché gli speciali privilegi grantiti a Fannie e Freddie hanno distorto il mercato immobiliare consentendo loro di attrarre capitale di cui non avrebbero potuto disporre sotto le pure condizioni di mercato. Come risultato il capitale è dirottato dai suoi usi più produttivi agli immobili. Questo riduce l’efficacia dell’intero mercato e quindi le standard di vita di tutti gli Americani.

Nonostante il danno a lungo termine inflitto dall’interferenza governativa nel mercato immobiliare, le politiche del governo di dirottare il capitale ad altri usi crea nel breve periodo una bolla speculativa negli immobili. Come tutte la bolle create artificialmente, il boom nei prezzi delle case non resterà per sempre. Quando i prezzi delle case scenderanno, i proprietari avranno delle problemi man mano che i loro guadagni verranno spazzati via. Inoltre anche i proprietari dei mutui subiranno perdite. Queste perdite saranno più grandi di quello che sarebbero state se le politiche del governo non avessero incentivato un eccessivo investimento nel mercato degli immobili.”

Non erano i soli.

Su Youtube ha spopolato il video con le numerose apparizioni televisive di Peter Schiff, in cui prevedeva la crisi e veniva ridicolizzato da tutti gli altri economisti presenti, nel web sono leggibili gli articoli del Mises Institute e così via.

Cosa accomuna tutti questi economisti che evidentemente erano al corrente della bolla speculativa in corso e delle sue gravi ripercussioni sull’economia reale? Seguono tutti le teorie economiche della Scuola Austriaca di Mises ed Hayek.

L’argomento di Perotti, quindi, non regge.

Non c’è stato nessuno shock imprevedibile e se il 99% degli studiosi non è riuscito a spiegare e prevedere l’insorgere e lo scoppio della bolla immobiliare, e quindi deve ricorrere a termini come “shock imprevedibile”, ciò significa che forse la sua teoria economica ha dei gravi errori e che forse quell’1% di studiosi che segue l’altro paradigma non aveva tutti i torti


La crisi economica e la teoria austriaca del ciclo economico

Nel gennaio 2006 Milton Friedman consacrava in questa maniera la carriera di Alan Greenspan come banchiere centrale:

«Nel corso della nostra lunga amicizia, Alan Greenspan ed io ci siamo generalmente trovati d’accordo sulla teoria e sulla politica monetaria tranne che per una grande eccezione. Io ho per lungo tempo favorito l’uso di strette regole per controllare il quantitativo di moneta creata. Alan sostiene che mi sbagli e sia preferibile, anzi essenziale, agire in modo discrezionale. Ora che dopo 18 anni il suo turno come chairman della Fed è finito, devo confessare che la sua performance mi ha persuaso che aveva ragione lui.

La sua performance è stata davvero straordinaria. Non c’è stato nessun altro periodo di tempo di lunghezza comparabile in cui la Federal Reserve ha funzionato così bene. »

E’ un peccato che Milton Friedman non abbia vissuto abbastanza per ricredersi nuovamente.

La manipolazione del tasso di interesse e la teoria austriaca del ciclo economico

Per sostenere che la causa della bolla immobiliare, e dei cicli economici in generale, sia da ricercare nei processi di espansione e di contrazione dell’offerta di moneta attuati dalle banche centrali è necessario avere alle spalle una solida teoria economica che spieghi il processo causale tra i due fenomeni. Questa teoria è precisamente l’Autrian Theory of Business cycle, sviluppata dagli economisti Ludwig Von Mises e Friedrich Von Hayek durante la prima metà del secolo scorso.

Teoria Austriaca del ciclo economico: una teoria del capitale

Quando nei corsi universitari si studia che cosa sia il “capitale”, spesso e volentieri la trattazione viene fatta in modo molto semplificato ed approssimativo. In tutti i vari modelli economici il Capitale, che pure è variegato ed ha una struttura ben definita, viene semplicemente definito con una variabile K, condensando in un numero, una sorta di blob informe ed onnicomprensivo, una struttura complessa e carica di informazioni economiche.

Se però consideriamo la storia del pensiero economico vediamo che già alla fine dell’800 Eugene Bohm Bawerk aveva mostrato come bisognasse considerare il Capitale nella sua struttura temporale, non come una variabile statica, e definire una relazione tra questa struttura ed il tasso di interesse.

Tra gli anni venti e gli anni trenta del Novecento erano poi stati Ludwig Von Mises e Friedrich Von Hayek a definire in modo ancora più preciso la teoria e spiegare le ripercussioni di una variazione del tasso di interesse sulla struttura del capitale

La teoria esamina due situazioni: la prima in cui il tasso di interesse scende a fronte di un aumento dei risparmi reali e la seconda in cui questa diminuzione avviene a causa di un’espansione monetaria indotta dal sistema bancario.

Crescita economica indotta da un aumento dei risparmi reali

A volte può essere utile utilizzare dei diagrammi grafici riassuntivi per spiegare una teoria economica. Non facciamoci ingannare però: il grafico mostra una realtà semplificata ed è solo utile per comprendere i meccanismi che sono alla base delle leggi economiche e non per effettuare previsioni quantitative.

Nel nostro caso utilizzeremo la teoria del mercato dei fondi mutuabili (loanable funds) per determinare il tasso di interesse all’interno del sistema economico ed osservare poi quali sono le ripercussioni di una sua variazione nell’economia.

Fig. 1(a) Domanda ed Offerta di fondi mutuabili (aumento dei risparmi reali)

Il tasso di interesse è il punto di incontro tra la domanda e l’offerta di credito e quindi è un vero e proprio “prezzo”.

Nel nostro caso supponiamo inizialmente che l’offerta di credito sia determinata interamente dal risparmio delle famiglie e che si trovi nella configurazone S. Il tasso di interesse che si determina sul mercato è quindi i ed il livello di investimenti (e dei risparmi) viene individuato dal segmento OA. Ovviamente, poiché il reddito delle famiglie viene diviso tra consumi e risparmio, ad un livello OA di risparmio corrisponderà un preciso livello C di consumi.

Che cosa succede quando le famiglie decidono di risparmiare di più? La curva dell’offerta di credito si sposta verso destra nella configurazione S’. Il tasso di interesse determinato dal mercato sarà quindi più basso, al livello i’ ed il livello di investimenti (e di risparmi) verrà individuato dal segmento OB > OA. Le famiglie, avendo deciso di risparmiare di più, consumeranno quindi di meno, ad un livello C’.

L’economia è ora pronta per crescere in modo sostenibile. Le famiglie hanno segnalato agli imprenditori di voler diminuire i consumi attuali per aumentare quelli futuri ed il risparmio reale che si è creato è proprio ciò che alimenterà gli investimenti necessari per modificare la struttura del capitale ed aumentare la produzione.

Crescita economica indotta da un’espansione monetaria

Vediamo ora che cosa succede quando lo spostamento della curva dell’offerta di credito, dalla configurazione S a quella S’, non è il frutto dell’aumento del risparmio delle famiglie ma di un’espansione monetaria ΔM.

Figura 1(b) Domanda ed offerta di fondi mutuabili (espansione monetaria)

Anche in questo caso il livello degli investimenti si sposta dal livello OA a quello OB ed il tasso di interesse scende a i’. Le famiglie però continuano ad allocare le proprie risorse tra risparmio e consumi lungo la curva S per cui i risparmi caleranno al livello OC proprio mentre gli investimenti sono aumentati al livello OB.

Che cosa succede all’economia?

Da una parte abbiamo le famiglie che, a fronte di un tasso di interesse minore, hanno deciso di diminuire i risparmi ed aumentare i consumi presenti. Se il tasso di interesse è molto basso l’incentivazione diventa ancora più perversa ed è possibile che le famiglie aumentino i loro consumi ricorrendo anch’esse allo strumento del credito ed annullando di fatto i loro risparmi. Questo è proprio ciò che è successo negli Stati Uniti negli ultimi anni..

Dall’altra parte abbiamo invece gli imprenditori che interpretano il calo del tasso di interesse come il segnale che le famiglie stanno ora risparmiando e saranno quindi pronte ad aumentare i consumi nel prossimo futuro. Il tasso di interesse molto basso fa sì che numerosi progetti di investimento che erano stati inizialmente giudicati fallimentari ora siano visti come profittevoli. Non solo aumentano gli investimenti oltre la capacità di risparmio (overinvestment) ma questi vengono indirizzati verso progetti che sono destinati a fallire (malinvestment).

La struttura del Capitale viene quindi “tirata” in due direzioni: nella sua parte terminale, per far fronte ad un aumento dei consumi ed in quella iniziale, per far fronte all’aumento degli investimenti. Chiaramente questo tipo di crescita non è sostenibile e la situazione è destinata a tradursi in un boom che, dopo un certo periodo, si tramuta in recessione.

Ludwig Von Mises ha descritto questo processo con una metafora.

«L’intera classe imprenditoriale si trova nella posizione di un capomastro che deve costruire un edificio avendo a disposizione una scorta limitata di materiali da costruzione. Se quest’uomo sovrastima la quantità delle scorte allora preparerà un progetto che non può essere completato con le risorse che ha a disposizione. Sovradimensionerà le fondazioni e solo più tardi, durante la prosecuzione dei lavori, scoprirà che non dispone dei materiali che sono necessari per il completamento della struttura».

La crisi del 2008/2009 è spiegabile tramite l’Austrian Theory of Business Cycle?

Se osserviamo la storia economica degli ultimi anni la risposta non può che essere un sì. Dopo l’11 Settembre 2001 e ad appena un anno di distanza dallo scoppio della bolla azionaria della New Economy, il Chairman della Federal Reserve Alan Greenspan decise di avviare una politica monetaria espansiva per far “ripartire l’economia”. Il “Maestro” decise così di tagliare il tasso di interesse sino all’1% e tenerlo a quel livello per un anno intero, dal giugno 2003 al giugno 2004.

Fig. 2 Tasso di sconto della Federal Reserve

Il risultato fu una massiccia espansione monetaria che non aveva avuto precedenti nella storia degli Stati Uniti d’America.

Come abbiamo visto la teoria economica austriaca postula che una massiccia iniezione di liquidità nel sistema creditizio provochi da una parte un calo del risparmio delle famiglie e dall’altro un boom insostenibile di investimenti a lungo termine che ora sembrano produttivi a causa del calo dei tassi di interesse.

Se poi consideriamo i tassi di interesse reali, aggiustati per l’inflazione (o meglio ciò che oggi viene chiamato inflazione), l’immagine risulta ancora più chiara. Questi tassi di interesse, infatti, risultavano essere addirittura negativi!

Fig 3. Tasso di interesse reale

Nel frattempo le famiglie americane decidevano di non risparmiare praticamente nulla del loro reddito ed anzi fare largo uso dello strumento del credito per aumentare a dismisura i propri consumi proprio durante gli anni del boom.

Fig. 4. Tasso di risparmio delle famiglie americane


Il malinvestment: la bolla immobiliare ed il mercato dei mortgage backed securities

Come si è visto la teoria austriaca del ciclo economico prevede che una politica monetaria espansiva si traduce in un boom insostenibile nei primi stadi della catena produttiva. Se esaminiamo il periodo 2002-2006, possiamo notare come la bolla si sia sviluppata nel settore immobiliare e nel settore finanziario dei derivati che vi facevano riferimento.

Come mai il malinvestment si è concentrato in quel mercato e non in un altro? Le cause sono molteplici.

Innanzitutto bisogna notare come negli anni del boom il tasso di interesse richiesto per i mutui a 30 anni, ovvero quelli utilizzati per acquistare le case, hanno raggiunto il livello più basso di sempre.

Fig. 5. Tasso di interesse dei mutui a 30 anni


Inoltre per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, i prezzi delle case hanno continuato a salire anche durante lo scoppio della bolla dot com, tanto che si inizio a sentir dire che “i prezzi delle case aumentano sempre”, “Il mattone è un investimento sicuro” e così via.

Fig. 6. Confronto tra il tasso di sconto della Fed e l’indice dei prezzi delle case americane


Tutto questo, unito alle raccomandazioni di Greenspan nel suo discorso del 23 febbraio 2004,

«Delle recenti ricerche fatte all’interno della Federal Reserve suggeriscono che molti proprietari di case avrebbero potuto risparmiare decine di migliaia di dollari se avessero sottoscritto un mutuo a tasso variabile invece che un mutuo a tasso fisso durante gli ultimi dieci anni»

ha fatto sì che il malinvestment si concentrasse proprio nel settore immobiliare e che i nuovi acquirenti di case decidessero di ricorrere ai mutui a tasso variabile per finanziare il proprio acquisto.

Come ha fatto notare Thomas Woods, sebbene i media abbiano puntato il dito contro i mutui subprime, in realtà sono stati proprio i mutui a tasso variabile, che fossero prime o subprime, a subire il tracollo maggiore quando la bolla è scoppiata

In conclusione le responsabilità della Federal Reserve sono innegabili e danno una chiara illustrazione di come si sviluppa il ciclo economico secondo la teoria economica di Mises ed Hayek


Ok il prezzo è giusto

L’idea che si possa fissare un prezzo “giusto” per beni e servizi è vecchia come il mondo e, come tutte le fallacie economiche che sono care ai politici, ha sempre provocato disastri. La storia però, invece di essere magistra vitae, tende a ripetersi con sconcertante puntualità e così anche oggi assistiamo alle farneticazioni di ministri che reputano sbagliati i prezzi fissati dal mercato e vorrebbero intervenire con la longa manus del governo per stabilizzarli (il termine price fixing non piace più ed allora si è scelto price stabilizing) su livelli che ritengono ottimali.

G8 Energia/ Scajola: Serve prezzo barile equo per investimenti

Roma, 24 mag. (Apcom) - Un prezzo del barile troppo basso se da un lato può aiutare la crisi economica dall'altro però "scoraggia gli investimenti e quindi non garantisce un futuro di stabilità". Lo ha sottolineato il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, nella conferenza stampa al termine della prima sessione di lavori del G8 Energia. Per questo, ha detto Scajola "è necessario un prezzo equo e non volatile per la crescita economica globale e per garantire interventi sugli investimenti". Inoltre ha spiegato il ministro, ai lavori si è convenuto sulla necessità per i governi di fare "un quadro di regole certo su cui le imprese possano lavorare e garantire gli investimenti". L'avvio dei lavori, ha poi spiegato il ministro ha un titolo: "per superare la crisi è necessaria l'alleanza dei governi e delle imprese del mondo dell'energia". Attenzione dunque ha evidenziato Scajola, perchè la "diminuzione degli investimenti incide su quelle forme di energia e su quelle fonti in cui invece devono essere maggiori", come il nucleare e le fonti rinnovabili.

Vediamo di esaminare gli errori contenuti in questa breve intervista al ministro Scajola.

Il prezzo del greggio è troppo basso e quindi scoraggia gli investimenti

L’idea alla base di questo ragionamento è semplice. Ora la domanda di petrolio è bassa a causa della crisi ed il prezzo “troppo basso” che si è determinato sul mercato fa sì che investire in alcuni campi (energia nucleare, fonti rinnovabili o anche nuove trivellazioni) non sia profittevole. Nel prossimo futuro però , sostiene Scajola, la domanda di energia tornerà a salire e potremmo rimpiangere il fatto che questi investimenti sul nucleare e sulle fonti rinnovabili non sono stati fatti.

In sostanza il ministro chiede di fissare ora un prezzo del petrolio più alto di quello di mercato in modo da far tornare profittevoli altre fonti di energia (es. nucleare), vengano avviati investimenti in tal senso (es. si costruiscano centrali nucleari) e nel prossimo futuro questa produzione maggiore aiuti a diminuire il prezzo dell’energia.

Il ragionamento è equivalente a quello che viene fatto per mantenere alto il prezzo dei beni agricoli e che è stato analizzato criticamente da Henry Hazlitt più di 50 anni fa.

"Dichiarano di non volere alzare il prezzo del bene X permanentemente al di sopra del suo livello naturale. Questo, concedono, non sarebbe giusto per i consumatori. Ma oggi è ovvio che il prezzo sia molto al di sotto del suo livello naturale. I produttori non riescono a tirare avanti. A meno che non agiamo prontamente, verranno espulsi dal mercato. Allora ci sarà vera scarsità ed i consumatori dovranno pagare prezzi esorbitanti per quel bene. Lo sconto che ottengono ora costerà caro alla fine. Perché il “temporaneo” prezzo basso non può durare. Ma non ci possiamo permettere di aspettare che le cosiddette leggi naturali del mercato agiscano, o che la “cieca” legge della domanda e dell’offerta corregga la situazione. Perché per quel tempo i produttori saranno in rovina e ci sarà una grande scarsità. Il governo deve agire. Quello che vogliamo realmente fare è correggere queste fluttuazioni di prezzo, violente e senza senso. Non vogliamo alzare il prezzo ma solo stabilizzarlo."

Il sistema dei prezzi di mercato però, come mostrato da Hayek, svolge un ruolo fondamentale.

Nel mercato, infatti, le conoscenze sono locali, mutevoli e disperse tra milioni di individui e nessuno pianificatore centrale sarà mai in grado di raccoglierle. Serve un sistema decentrato e dinamico che raccolga le informazioni disperse e coordini l’azione degli individui, segnalando la disponibilità delle risorse, i desideri dei consumatori e quale sia la direzione profittevole degli investimenti.. Questo è precisamente ciò che avviene nell’ordine di mercato grazie al sistema dei prezzi relativi.

Come fa quindi Scajola ad affermare che il prezzo del petrolio è troppo basso e che gli investimenti verso alcune fonti di energia devono essere maggiori? Ovviamente lo fa basandosi su criteri politici e non economici e non a caso è presente l’accenno all’energia nucleare su cui dovevamo investire obbligatoriamente quando il prezzo del petrolio “era troppo alto

"E' necessario che i paesi consumatori s' incontrino al più presto per trovare un accordo sul prezzo massimo e ragionevole del petrolio che non può essere superato: in alternativa, serve un massiccio programma di costruzione di centrali nucleari"

Fissare il prezzo per garantire un futuro di stabilità

Il secondo problema del mercato del petrolio, secondo Scajola, è che vi sono fluttuazioni di prezzo troppo marcate rispetto a quello che il ministro ritiene il “prezzo giusto”. Occorre quindi fissarlo in modo da garantire un futuro stabile e permettere alle imprese di “lavorare e garantire gli investimenti”.

In realtà il mercato offre già uno strumento non centralizzato per “stabilizzare” i prezzi ed è l’azione incessante di quegli attori economici i quali, anticipando le fluttuazioni di prezzi,, comprano un bene quando esso è abbondante e lo rivendono quando scarseggia, fanno salire il prezzo del bene quando questo è basso e lo fanno scendere quando è alto.

Sono i tanto vituperati speculatori, il cui ruolo è brillantemente descritto da Walter Block in “Difendere gli indifendibili”.

Riguardo infine l’incertezza del futuro, è nuovamente Hayek a spiegare come essa sia parte integrante dell’ordine di mercato. Se infatti non vi fosse incertezza e vi fosse perfetta conoscenza delle informazioni economiche rilevanti (ad es. i prezzi presenti e futuri), allora il mercato e la competizione sarebbero inutili e poco efficienti. La competizione di mercato “è importante solo perché i suoi risultati non sono prevedibili” ed il suo effetto benefico si può manifestare solamente “frustrando certe intenzioni e deludendo certe aspettative”.

L’incertezza è parte integrante della realtà ed è proprio ciò che crea le occasioni di profitto e spinge gli imprenditori ad agire. Pensare di poterla eliminare con il controllo dei prezzi fa solo parte di quell’atteggiamento di arroganza e di presunzione di conoscenza che da sempre contraddistingue i pianificatori.



L'ottimismo vola! (Il governo può ristabilire la fiducia degli investitori?)

E’ opinione generalmente condivisa dagli economisti che, per superare la crisi economica, sia necessario, ma anche sufficiente, riportare la “fiducia nei mercati”. Si dice anche che la spesa pubblica, oltre a beneficiare dell’effetto moltiplicatore keynesiano, generi anche qualcosa di analogo per quanto riguarda la fiducia degli agenti economici.

Gli agenti economici, durante una crisi, sono come un esercito in rotta ed il sopraggiungere della cavalleria (l’intervento statale) li rincuora e rinnova la loro volontà di combattere.

Ma funziona proprio così?Mario Rizzo dice di no.


La fiducia degli investitori: una scatola vuota?

di Mario Rizzo

In una recente discussione su Keynes, Roy Weintraub parla di un’idea che ha trovato in Keynes e che potrebbe essere chiamata moltiplicatore della fiducia. Il fatto di spendere in un particolare settore crea fiducia anche negli altri settori perché le imprese che lavorano in questi ultimi possono fare affidamento sulle spese complementari provenienti dal primo. Quindi può aver luogo una generalizzata crescita dei consumi e questa può risollevare l’economia da una recessione.

Quest’idea promossa da tanti keynesiani ha delle gravi pecche. Sotto le appropriate circostanza la spesa può richiamare altra spesa. E allora?

Queste risorse in attesa stanno aspettando che il cielo si rassereni, ovvero, sono la conseguenza di cercare di capire, in mezzo al processo di liquidazione delle risorse nei settori che si erano espansi troppo, quale sia l’area opportuna per nuovi investimenti. Il vero valore di queste risorse non impiegate è dato dal valore della migliore allocazione delle risorse che permettono.

Sarebbe fantastico ovviamente se (1) non ci volesse del tempo per riallocare le risorse e (2) non importasse quali risorse vengono impiegate fintanto che vengono impiegate. Ma ognuna di queste frasi è chiaramente falsa.

Senza dubbio c’è una sorta di fenomeno “prima tu” al lavoro. Le attività economiche sono interdipendenti. Quindi quando un agente tenta di determinare dove allocare le risorse deve anche determinare dove gli altri vorranno allocare le proprie risorse. Più grande è l’incertezza riguardo a questo aspetto e più svantaggi saranno associati all’essere il primo a fare le mosse. D’altro canto, chi muovo per primo ed ha successo raccoglierà anche i profitti più grandi. Questo è un chiaro problema di coordinazione.

Il fatto di stimolare la “fiducia” generale avrà successo nell’alleviare questo problema di coordinazione?

Supponiamo che il governo, attraverso una politica di stimolo fiscale, tenti di stimolare la spesa aggregata. Non può farlo in modo neutrale. Deve spendere in particolari direzioni. E poi i primi a ricevere questi soldi li spenderanno anche loro in specifiche direzioni. In aggiunta, il governo deve rimanere all’interno di un certo recinto dichiarando in modo chiaro quali saranno gli specifici programmi di spesa lungo un periodo di tempo che deve corrispondere all’orizzonte di pianificazione degli agenti economici. Con tassi di interesse bassi, questo probabilmente sarà un orizzonte particolarmente lontano.

Lo stesso Keynes aveva riconosciuto il problema. Quindi aveva raccomandato che la maggioranza degli investimenti pubblici seguissero un direzione coerente e persistente. L’idea è che la fiducia verrà fuori dalla condizione di certezza creata quando gli agenti conoscono il livello e la direzione della spesa per investimenti e possono far conto su di essa per un lungo periodo di tempo.

Ma non viviamo nel mondo che Keynes voleva sia perché non si può contare sul governo per perseguire politiche di lungo periodo coerenti e sia perché Keynes non riconosceva che durante il boom le risorse erano state allocate male.

Nel nostro mondo un agente economico deve occuparsi di diverse condizioni di incertezza contemporaneamente.

  1. Come il sistema politico intende allocare le risorse nel concreto e per quanto tempo?

  1. In quali direzioni vorranno spendere coloro i quali riceveranno un reddito derivato dalla spesa del governo?

  1. Quale struttura sostenibile di spesa, risparmio ed investimento emergerà quando lo stimolo governativo andrà calando?

Gli investitori non investono in astratto o in aggregato; investono in settori specifici. Lo stimolo, per come funziona nel concreto, moltiplica le difficoltà di coordinamento che gli agenti devono fronteggiare. Ora devono predire il comportamento di agenti politici che non devono rispondere alle condizioni di mercato di domanda ed offerta. Che cosa si inventerà di nuovo Tim Geithner? Quali nuove condizioni per il mondo del lavoro Obama o i Congresso decideranno di stabilire. Tutto questo viene combinato nel tentativo di scoprire quali saranno i nuovi equilibri di mercato relativi al set di preferenze sostenibile. La qualità delle informazioni comunicate dai prezzi tende a deteriorarsi. (Roger Koppl ha importanti cose da dire riguardo a questi “big players” qui)

Generare semplicemente la fiducia che il governo spenderà dei soldi su qualcosa per un periodo di tempo indefinito non corregge i problemi strutturali. Ora c’è un doppio problema di coordinazione: la spesa deve essere coordinata con le altre spese ed anche con le preferenze sostenibili di consumatori e risparmiatori.

Ci sono tre tipi di fiducia che qui sono importanti.

La prima (“fiducia nel regime”) viene creata con programmi e politiche stabili. Gli agenti sanno che il governo non introdurrà nuove incertezze o rumore (relativo ai dati economici).. Quindi i prezzi non inganneranno inutilmente. La mancanza di questo tipo di fiducia può essere generato da cambiamenti imprevedibili di politica economica e dallo stimolo di linee di spesa e produzione non sostenibili.

Il secondo tipo di fiducia (“fiducia monetaria”) è un effetto indiretto del soddisfare un aumento nella domanda di detenere moneta (fatto dalle autorità monetarie o dal sistema bancario che aumentano l’offerta di moneta). Questo previene che i prezzi diminuiscano di un certo quantitativo. Quando gli imprenditori temono la deflazione è probabile che trattengano le risorse, ovvero, che non le indirizzino verso specifici impieghi nel mercato poiché non sono sicuro del futuro corso dei prezzi.

Il terzo tipo di fiducia (“fiducia nell’allocazione delle risorse”) è l’effetto della procedura di scoperta degli imprenditori, nel contesto creato dalle due forme di fiducia menzionate sopra, le linee di produzioni migliori, ovvero più profittevoli, alla luce delle precedenti distorsioni, E’ difficile capire in che modo lo Stato possa aiutare in modo diretto gli imprenditori a risolvere questo problema . Il mercato è un processo di scoperta. Specifici mercati richiedono imprenditori che abbiano una conoscenza dei fatti specifica, dettagliata e transitoria e che possano agire prontamente. Non conosco nessuno Stato che sia in grado di farlo.

Ora possiamo finalmente rispondere alla nostra domanda. Può una spesa di stimolo, aumentando la fiducia generale, alleviare il problema di coordinazione che gli agenti economici devono affrontare?

Una spesa di stimolo non aumenterà ma ridurrà la “fiducia di regime”. Le incertezze sui programmi di spesa aumenteranno. La “fiducia monetaria” non sarà modificata dalla politica fiscale. Tra l’altro sembra anche che la deflazione non sia una particolare minaccia ora come ora. Infine l’allocazione delle risorse non è proprio la specialità del governo.

Possiamo vedere che cosa c’è di sbagliato nel moltiplicatore della fiducia keynesiano. Moltiplica gli errori, moltiplica gli ostacoli nella strada delle correzioni del mercato e moltiplica il tempo che ci vorrà perché la vera ripresa avvenga.

Una volta che andiamo oltre il velo di macro-aggregazione, possiamo vedere la complessità dei problemi del mondo reale e quanto la natura delle politiche basate su stimoli economici e moltiplicazione della fiducia sia oltremodo semplicistica.


Vedo, prevedo e stravedo...

I pianificatori, dall’alto dei loro modelli sofisticatissimi, possono prevedere e gestire in modo puntuale ed efficace ogni eventualità.

La crisi economica dovrebbe durare in Europa fino a metà 2010. Poi probabilmente inizierà "una graduale ripresa che dovrà essere sostenuta da nuove misure di stimolo, soprattutto nel settore finanziario". La previsione è del Fondo monetario internazionale, nel suo Regional Economic Outlook diffuso oggi a Parigi. Per l'Italia il documento prospetta un pil in calo del 4,4% nel 2009 e dello 0,4% nel 2010; mentre l'inflazione dovrebbe assestarsi allo 0,7% nell'anno in corso e allo 0,6% in quello successivo.


Questa la previsione del modello economico del Fondo Monetario Internazionale e queste le misure suggerite come medicina per la crisi:

"Le misure prese sino ad ora per contrastare la grave recessione in Europa hanno fornito una buona base per una ripresa graduale - ha dichiarato Marek Belka, direttore del dipartimento europeo del Fondo - ma ora servono nuove azioni, specie nel settore finanziario, per ristabilire la fiducia dei mercati e per accelerare il passo della ripresa". Secondo Belka, queste misure dovrebbero includere un continuo sostegno al credito, ulteriore chiarezza nel riconoscere le perdite del sistema finanziario, la ricapitalizzazione, anche con denaro pubblico, delle istituzioni sane del settore privato, e la rimozione degli asset sofferenti, preferibilmente tramite la costituzione di bad bank gestite da privati ma con supporto e finanziamenti governativi.”


Vediamo cosa prevedeva non più tardi di un anno fa lo stesso, accuratissimo, modello


World Economic Outlook (Aprile 2008)

Usa (p.68)
Le proiezioni di base prospettano che l’economia incapperà in una modesta recessione nel 2008, seguita da una ripresa graduale a iniziare dal 2009, la quale, mentre vengono ripianati i bilanci finanziari e delle famiglie, sarà in qualche modo più lenta di quella che ha seguito la recessione del 2001. Su base annuale, la crescita scenderà allo 0,5% per il 2008 per poi crescere in modo modesto dello 0,6% nel 2009.

Europa (p.76)
Nelle proiezioni di base, la crescita nell’area euro è prevista decelerare all’1,4% nel 2008 ed all’1,2% nel 2009.

Giappone (p.78)
La crescita per il Giappone è proiettata all’ 1,4% per il 2008 ed all’1,5% per il 2009, scendendo dal 2,1% di crescita nel 2007.


C'era invece chi da tempo e senza "sofisticatissimi modelli" aveva previsto tutto:



Una lezione di economia.... dall'Iraq

Edward Gonzalez è un capitano dei Marines ed è stato in Iraq dal 2004 al 2008. Il suo saggio, pubblicato nel blog di Robert P. Murphy, descrive in modo splendido gli effetti fallimentari, ma pieni di illusioni, delle politiche di "stimolo dell'economia" in una situazione disperata come quella irachena e mette in luce come il mercato, quando è in grado di funzionare, può invece assicurare una crescita reale, anche laggiù.

L’effetto della spesa governativa in un villaggio

Di Edward Gonzalez

Ho speso diversi mesi come consigliere dell’esercito iracheno nella provincia di Al Anbar dal Luglio 2007 al Gennaio 2008. La natura del mio particolare incarico mi ha collocato in mezzo ai villaggi di contadini e pescatori lungo il fiume Eufrate. Nei villaggi c’erano contadini, pescatori e loro famiglie, gli anziani del villaggio e gli sceicchi locali, una compagnia dell’esercito iracheno ed una stazione di polizia irachena.

Ogni villaggio ha avuto un diverso quantitativo di attività ed attacchi da parte dei rivoltosi. I due villaggi in cui ho speso la maggior parte del mio tempo non erano messi bene. Come risultato della guerra e degli attacchi dei gruppi di rivoltosi, i mercati erano praticamente deserti e gli agricoltori ed i pescatori avevano poche persone con cui commerciare.

Il mio primo mese in una di questi villaggi è stato illuminante. Gli Americani ed gli Iracheni erano attaccati da cellule di rivoltosi che operavano nell’area. La maggioranza degli abitanti era riluttante a parlare con noi per paura di rappresaglie. I rivoltosi che abbiamo catturato, a differenza di quanto mi era stato detto, non assomigliavano per nulla a fanatici religiosi disposti a morire per la causa. Mentre sapevo che gli estremisti religiosi erano quelli che organizzavano la rivolta, tuttavia i ribelli che avevo catturato erano tutti giovani, arrabbiati, disoccupati ed ignoranti.

Quando venivano interrogati sputavano fuori molti degli slogan della jihad ma se si andava oltre si scopriva che la maggior parte era stata reclutata con promesse di una buona paga e di una migliore qualità della vita una volta che gli Americani fossero stati cacciati via.

Ho capito che avrei potuto combattere contro celle di ribelli per sempre e non combinare nulla finché loro fossero stati in grado di reclutare. Solo facendo funzionare l’economia gruppi di ribelli non sarebbero stati più in grado di reclutare giovani come soldati da mandare in prima linea.

Ho anche scoperto che alla maggioranza degli Iracheni non importa nulla degli ideali americani o di Al Qaeda. Vogliono una società funzionante dove posso avere un lavoro, dove i loro figli possono stare al sicuro ed avere una vita migliore della loro. La frase più significativa mi è stata detta da un contadino iracheno. Quando gli ho chiesto di cosa avesse bisogno mi ha risposto, “Voglio un posto sicuro dove mandare a scuola i miei bambini, un buon prezzo per il mio raccolto e voglio che il governo mi lasci in pace”.

Anche gli altri Marines avevano notato la stessa cosa ed avevano iniziato a fare esperimenti con piani economici. Fortunatamente, il consigliere dei Marines che era venuto prima di me mi aveva avvertito degli errori che avevano commesso in modo che non cadessi nella stessa trappola.

I consiglieri dei Marines avevano tentato dei programmi di spesa per stimolare l’economia ma questi non erano andati secondo i piani. I Marines avevano reclutato dei locali per fare il lavoro che avrebbero potuto fare loro stessi, ma questa era solo una scusa per dare agli Iracheni dei soldi e tentare di far partire l’economia.

I risultati di breve periodo sembravano molto buoni. I giovani Iracheni avevano finalmente un lavoro e gli attacchi contro le forze delle coalizione erano in calo. Tuttavia si creò un problema molto peggiore. I giovani Iracheni e l’economia del villaggio iniziarono a dipendere dagli Americani come fonte di lavoro e di denaro. Prendevano dollari dagli Americani e viaggiavano in città per spenderli ma nel villaggio la produzione di beni reali non stava crescendo per nulla. In realtà, siccome gli Americani pagavano bene, gli uomini che prima si dedicavano alla pesca ed all’agricoltura avevano smesso di farlo per poter andare a lavorare da loro.

Come risultato la produzione del villaggio crollò. Quando i Marines interruppero i programmi di spesa questi giovani si ritrovarono ancora una volta senza lavoro e la produttività del villaggio intanto era scesa a livelli ancora più bassi. L’economia peggiorò rispetto a prima degli interventi e gli attacchi ricominciarono. Il risultato dei programmi di spesa per stimolare l’economia fu un guadagno a breve termine ma grossi problemi a lungo termine, peggiori di quelli originari.

La mia soluzione, e quella di molti altri Marines che hanno imparato dai nostri errori, è stata di concentrarsi sulla nostra missione primaria, ovvero la sicurezza. Questo significa che i Marines ed i soldati iracheni dovevano assicurare che la gente del villaggio avesse la libertà di muoversi e condurre il primo lavoro senza ostacoli.

Ciò richiese costanti pattugliamenti del villaggio per assicurareche la gente non venisse attaccata nelle loro case, costanti pattugliamenti e guardie dei mercati per assicurare che le normali attività del villaggio potessero prosperare e pattugliamenti delle strade per assicurare che fossero prive di ordigni esplosivi. Quando gli agricoltori ed i pescatori realizzarono che potevano lavorare duro senza paura di essere assassinati o di perdere i frutti del loro duro lavoro, l’economia del villaggio iniziò a riprendersi sul serio. Gli agricoltori tornarono a lavorare i propri campi, un numero maggiore di barche da pesca uscì sul fiume e molte persone che avevano lasciato i villaggi allo scoppio della guerra iniziarono a tornare nelle loro case perché avevano sentito che erano sicure. Il mercato fu riaperto e le attività di compravendita aumentarono. Anche persone di altri villaggi iniziarono a giungere al mercato per vendere i propri prodotti.

Con i forestieri arrivarono i ribelli e gli attacchi. Tuttavia con un mercato fiorente, la gente del villaggio era più decisa a combattere i rivoltosi piuttosto che i Marines. In una occasione, alle 3 di notte sentimmo degli spari e notammo lampi di luce ad un chilometro dal nostro posto di guardia. Quando investigammo la gente del villaggio ci disse che tre uomini erano stati visti mentre tentavano di piazzare un ordigno esplosivo lungo un percorso che pattugliavano regolarmente. Gli abitanti del villaggio li avevano fatti scappare. In un’altra occasione un ordigno era stato piazzato lungo un percorso su cui viaggiavamo e, mentre stavamo camminando, uno degli anziani del villaggio ci corse di fronte, rifiutandosi di farci passare. Quando l’interprete fu portato lì, l’anziano ci disse dell’ordigno e di chi l’aveva piazzato.

La lezione che ho imparato più e più volte è che agli Iracheni importa poco del nostro ideale di democrazia, ma un mercato funzionante e la speranza di vivere in pace ha dato ai singoli abitanti tutti gli incentivi per assisterci nel combattere la rivolta violenta. In aggiunta hanno dimostrato che ogni volta che siamo stati disposti a rischiare la vita per loro, loro hanno fatto lo stesso per noi. Ogni ordigno impiantato nel villaggio in cui ho lavorato ci è stato segnalato dai locali e questo sebbene i rivoltosi avessero chiaramente minacciato di morte chiunque avesse dato informazioni agli Americani.

Quando ho lasciato quell’area dell’Iraq, i mercati del villaggio erano aperti e gli attacchi all’interno dei due villaggi in cui ero stato erano praticamente ridotti a zero. Un po’ ovunque gli attacchi erano in calo, ma erano ancora riportati casi di rapina ed assassini lungo le extraurbane tra i villaggi e le città. Tuttavia quando ho lasciato la zona, l’esercito e la polizia iracheni cominciavano ad espandere le loro operazioni di sicurezza anche alle strade extraurbane. Molti dei checkpoint e degli avamposti nei villaggi che erano necessari quando ero arrivato, ora venivano chiusi. Gli abitanti, con una piccola forza di polizia locale, erano in grado di proteggersi da soli dai rivoltosi. I mercati erano una fonte di commercio ed i report dell’intelligence ci hanno informato che i gruppi di ribelli stavano avendo sempre più problemi a reclutare giovani.

La lezione di economia che io e molti altri Marines abbiamo imparato è che spendere per stimolare l’economia dà una falsa impressione di successo mentre la spesa continua. Quando questa finisce, diventa manifesto che la produzione reale è calata e che le persone stanno peggio di prima. La soluzione è proteggere le loro vite e le proprietà del villaggio e lasciare che le naturali attività del villaggio fioriscano da sole.

Edward M. Gonzalez è laureato presso la New York University ed ha servito ins servizio attivo nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti dal Gennaio 2004 all’Agosto 2008. Ora è un Capitano nelle riserve e lavora per una scuola privata a San Jose, Ca. I punti di vista espressi in questo articolo non sono necessariamente condivisi dal Corpo dei Marines degli Stati Uniti.



Gli inflazionisti all'assalto (parte seconda)

Nell'articolo su Bloomberg viene fatta anche un'altra affermazione riguardo l'inflazione.

L’inflazione fa aumentare la domanda aggregata e quindi aiuta l’economia ad uscire dalla crisi

[L’inflazione] potrebbe anche aiutare l’economia incoraggiando gli Americani a spendere ora invece che più tardi, quando i prezzi saliranno.


La base teorica è quella keynesiana: la crisi è provocata da un calo della domanda aggregata ovvero da un calo dei consumi. La gente non spende ed aumenta i suoi risparmi per ripagare i debiti oppure per salvaguardarsi da un futuro incerto. I keynesiani però avvertono che questo comportamento, a causa del paradosso del risparmio, getta l’economia in una spirale negativa.

L’unica soluzione è quindi stimolare la domanda aggregata e l’inflazione è uno dei mezzi per farlo.

Nel 1912 Ludwig Von Mises aveva però già analizzato quali sono le tappe di una politica inflazionistica sostenuta (1) e soprattutto qual è il suo punto di arrivo.

Prima tappa

"L'ignoranza del pubblico è un fattore necessario per il buon funzionamento di una politica inflazionistica. Lo stimolo inflazionistico funziona fintanto che la casalinga pensa: "ho un disperato bisogno di una padella, però i prezzi sono troppo alti, aspetterò che scendano"


Se diamo uno sguardo alla situazione attuale ci troviamo proprio in questa fase.

La Fed, a partire dall’agosto scorso, ha inondato di carta il sistema bancario, a suon di salvataggi, facendo schizzare alle stelle la base monetaria.


I prezzi però non sono ancora aumentati (o sono aumentati di poco) proprio perché le persone stanno riducendo i consumi. Nel frattempo gli economisti, come Mankiw e Rogoff, continuano a strillare del pericolo deflazione e chiedono alla Fed di impegnarsi a produrre una significativa inflazione, perché

“se gli Americani fossero convinti delle intenzioni della Fed, comprerebbero e prenderebbero in prestito molto di più oggi”


Ma questo è precisamente ciò che ci porta alla seconda tappa
"[lo stimolo inflazionistico] cessa invece di funzionare quando la gente scopre che la politica inflazionistica continuerà, causando una forte accelerazione dei prezzi. La fase critica comincia quindi quando la casalinga pensa: "oggi non ho bisogno di una padella, però potrebbe servirmi tra un anno o due. Meglio comprarla subito perchè dopo mi costerà molto di più."


Verrebbe da dire: Attenti a che cosa desiderate, Mankiw e Rogoff, perché potrebbe avverarsi

Se l’obiettivo della Fed è quello di distruggere i risparmi e spingere gli Americani a consumare a debito, la politica di mirare ad un’inflazione del 6% suggerita da Rogoff, è sicuramente destinata al successo, ma è un successo destinato ad avere gravi conseguenze.

L’aspettativa di prezzi in perenne ascesa (e quindi di una moneta che si deprezza velocemente) non può far altro che condurci alla terza e finale tappa del nostro viaggio ovvero la distruzione della moneta.

"La catastrofica fine della politica inflazionistica si avvicina. Nell'ultima fase la casalinga pensa: "non ho bisogno di un altro tavolo, probabilmente non mi servirà mai. Ma è meglio comprarne uno adesso che tenere per qualche altro minuto questi pezzi di carta che il governo chiama moneta".


Nelle parole di Mises: è il Crack up boom, Zimbabwe style.

Vi sono infine altre due affermazioni che meritano di essere confutate.

L’inflazione fa aumentare i salari

“Anche dopo tutto quello che la Fed ha fatto per stimolare l’economia, alcuni economisti ritengono che debba fare di più e mirano deliberatamente ad un livello di inflazione ancora più alta che aumenterebbe anche i salari”
“Con la disoccupazione all’8,9 per cento, livello record per gli ultimi 25 anni, i lavoratori vengono spremuti. I salari sono aumentati solo dello 0,3% nei primi tre mesi, il valore più basso registrato, secondo il Dipartimento del Lavoro”

Anche questa affermazione deriva dalla teoria keynesiana.

Keynes (General Theory, Cap. 2) sosteneva infatti che

"Siccome c’è imperfetta mobilità del lavoro ed i salari non tendono ad avere gli stessi vantaggi netti nelle differenti occupazioni, ogni individuo o gruppo di individui che consentisse ad una riduzione del suo salario monetario rispetto agli altri soffrirebbe anche di una riduzione relativa del suo salario reale, che è una giustificazione sufficiente per resistergli. D’altro canto sarebbe impraticabile resistere ad ogni riduzione dei salari reali dovuti ad un cambiamento del potere d’acquisto della moneta e che colpisce allo stesso modo tutti i lavoratori; ed infatti le riduzioni dei salari reali che avvengono in questo modo non trovano resistenza a meno che non avvengano in modo drastico."


Quindi per ridurre il salario reale dei lavoratori e, di conseguenza, la disoccupazione, Keynes proponeva proprio la strada inflazionistica . Il fatto che in termini nominali i salari siano saliti non significa affatto che lo abbiano fatto anche in termini reali, come il recente studio della CGIL sui salari italiani dimostra.




L’inflazione fa aumentare le entrate fiscali

Un aumento inflazionario dei salari – e le tasse sul reddito più alte che genereranno – renderanno più facile pagare il debito a tutti i livelli.



Questa affermazione è vera ma non è una buona notizia per i lavoratori. Infatti le tasse più alte sul reddito sono generate da salari reali in discesa, a causa del cosiddetto fiscal drag.

Sempre dal report della CGIL

Dalle buste paga dell’intero periodo lasciati al fisco 6.738 euro cumulati (in termini di potere d’acquisto) per lavoratore dipendente, poiché le retribuzioni nette sono cresciute 3,5 punti in meno (4,2 punti in meno per un lavoratore senza carichi familiari) delle retribuzioni di fatto lorde.
Lo Stato ha beneficiato di circa 112 miliardi di euro, tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag.


Conclusione

Gli stessi economisti che non avevano previsto né la bolla immobiliare, né la crisi ora ci propongono una via di uscita facile, veloce e che non danneggerà quasi nessuno: la via inflazionistica.

Come abbiamo visto questa strada è appetibile solo per alcuni gruppi di persone e soltanto a breve termine. Tutti i supposti benefici si trasformano in tragedie non appena applichiamo la lezione di economia suggerita da Henry Hazlitt.


(1) Dall’articolo “Le tappe del crack up boom” pubblicato da Usemlab.com

Link alla prima parte