Tutti contro Ron Paul

Fino a qualche anno fa, se escludiamo qualche accademico dimenticato che negli Stati Uniti seguiva gli insegnamenti economici di Mises e Rothbard, nessuno avrebbe mai neanche osato indicare la politica monetaria della Federal Reserve come causa dei cicli economici o anche solo mettere in dubbio la bontà delle decisioni di Alan Greenspan.

In realtà a livello politico negli Stati Uniti qualcuno c’era. Era un deputato repubblicano del Texas e da anni sfidava il Maestro durante le sue apparizionial Congresso, nel 2003 aveva previsto con straordinaria chiarezza ciò che sarebbe successo al mercato immobiliare negli anni seguenti e portato in primo piano il problema monetario durante la campagna presidenziale del 2008.

In Italia non si è praticamente mai parlato di Ron Paul, almeno fino alla scorsa settimana, in cui il Sole24ore lo ha brevemente nominato in un articolo di Alessandro Merli e sul sito Libertiamo.it Mario Seminerio gli ha dedicato un articolo.

Finalmente Ron Paul ha lo spazio che si merita? Ovviamente no, il problema è un altro.

In questi giorni il Financial Committee del Congresso ha approvato il disegno di legge Hr.1207, presentato proprio da Ron Paul, il cui obiettivo è rendere più trasparenti le azioni di politica monetaria della Fed.

Subito i giornali finanziari si sono affrettati a commentare la notizia, levando gli scudi in difesa della banca centrale americana e prospettando scenari apocalittici che si verificherebbero se il disegno di legge venisse approvato. I giornali di casa nostra si sono subito adeguati.

Non che ci fossero dubbi riguardo l’articolo del Sole24ore, che liquida il tutto in poche righe

«Dell'ostilità della politica sono conferma i progetti dell'influente senatore democratico Chris Dodd per ridimensionare i poteri della Fed, nonostante il parere opposto dell'amministrazione, e l'attacco frontale del populista republicano Ron Paul in Congresso, che vorrebbe addirittura tenere sotto controllo le decisioni sui tassi»

In periodo di due righe Merli riesce a scrivere due falsità.

Innanzitutto definisce Ron Paul come “populista”, non si sa su quale base ma sono evidenti le intenzioni denigratorie, e poi afferma che lo scopo del deputato del Texas sarebbe “mettere sotto controllo le decisioni sui tassi”.

Chiunque conosca bene Ron Paul sa che non c’è nulla di vero in ciò che Merli ha scritto ma in quanti, in Italia, ne hanno mai sentito parlare?

Sicuramente lo conoscono quelli di Libertiamo.it e soprattutto Mario Seminerio, che è stato editorialista di Libero Mercato ed ha collaborato con l’Istituto Bruno Leoni.

Arriva la cavalleria in difesa del principale difensore del libero mercato, quello vero, negli Stati Uniti? No.

Seminerio, infatti, riporta il pensiero di Alan Blinder, economista che ha lavorato alla Federal Reserve, il quale sottolinea i pericoli insiti nel disegno di legge 1207.

«L’emendamento sembra innocuo, dice Blinder: in definitiva, perché la Fed dovrebbe essere immune da revisione esterna della propria attività? Giusto, ma il punto è che la Fed non è priva di tali controlli e verifiche. Per dirla con Blinder, il presidente della Fed “non viaggia in jet privato né pasteggia a caviale”, oltre a doversi sottoporre ad audizioni parlamentari periodiche; i libri contabili della Fed sono già sottoposti a verifica da parte del GAO, che entra anche nella valutazione di importanti aspetti di operatività della Fed, come l’operazione AIG ed i salvataggi bancari, per fare un esempio di stretta attualità »

Il primo punto sollevato da Blinder è questo: la Fed è già controllata quindi perché aumentare i controlli? Il secondo invece si riferisce alle possibili “conseguenze inattese” del provvedimento

«Con ogni probabilità, il prossimo anno la Fed inizierà il processo di uscita dall’attuale politica monetaria iper-espansionistica. E’ del tutto prevedibile che quando ciò accadrà qualcuno al Congresso non ne sarà contento, o forse ne sarà furioso. Saremmo contenti di una revisione della politica monetaria della Fed per opera del GAO, che membri del Congresso userebbero per intimidire, fors’anche minacciare, membri dell’organismo della Fed che fissa i tassi d’interesse? Ci piacerebbe vedere membri del FOMC chiamati a deporre davanti al Congresso per spiegare perché “stanno uccidendo posti di lavoro”?»

Vediamo di affrontare i due punti in ordine.

La Fed è già controllata?

Il testo del disegno di legge 1207 lo trovate a questo link.

Il punto chiave è il primo:

(a) In General- Subsection (b) of section 714 of title 31, United States Code, is amended by striking all after ‘shall audit an agency’ and inserting a period.

Se andiamo a vedere il titolo il codice in esame, il paragrafo è il seguente:

(b) Under regulations of the Comptroller General, the Comptroller General shall audit an agency, but may carry out an onsite examination of an open insured bank or bank holding company only if the appropriate agency has consented in writing. Audits of the Federal Reserve Board and Federal reserve banks may not include

(1) transactions for or with a foreign central bank, government of a foreign country, or nonprivate international financing organization;

(2) deliberations, decisions, or actions on monetary policy matters, including discount window operations, reserves of member banks, securities credit, interest on deposits, and open market operations;

(3) transactions made under the direction of the Federal Open Market Committee; or

(4) a part of a discussion or communication among or between members of the Board of Governors and officers and employees of the Federal Reserve System related to clauses (1)–(3) of this subsection.

Dopo la trasformazione diventerebbe così:

(b) Under regulations of the Comptroller General, the Comptroller General shall audit an agency.

Sono quindi eliminate tutte quelle eccezioni che impediscono al Comptroller General di venire in possesso di tutte le informazioni veramente rilevanti. Ha diritto il contribuente americano di sapere dove sono finiti tutti i dollari nuovi di zecca che sono stati creati per salvare il sistema bancario? Conoscere quali banche hanno preso i soldi dalla Federal Reserve, quanto hanno preso, quali accordi sono stati presi con le altre banche centrali, quanto oro è presente nei forzieri, etc.

Ora come ora si possono conoscere tutte queste cose? Guardare per credere.








Ricordate ciò che diceva Blinder?

«i libri contabili della Fed sono già sottoposti a verifica da parte del GAO, che entra anche nella valutazione di importanti aspetti di operatività della Fed, come l’operazione AIG ed i salvataggi bancari, per fare un esempio di stretta attualità »

Certo, certo, come no!

Veniamo alla seconda questione.

Hr. 1207 permetterà al Congresso di controllare i tassi di interesse?

La questione sollevata da Blinder

«Saremmo contenti di una revisione della politica monetaria della Fed per opera del GAO, che membri del Congresso userebbero per intimidire, fors’anche minacciare, membri dell’organismo della Fed che fissa i tassi d’interesse? »

è puramente retorica. Nel disegno di legge non vi è infatti nessun riferimento alle decisioni di politica monetaria, che rimangono di competenza del board of directors della Fed!

E' semplicemente uno spauracchio agitato di fronte al lettore per dirgli: "lascia fare a noi oppure ci costringeranno ad inflazionare e non potremo difendere il potere d'acquisto dei tuoi soldi"

Ovviamente è pura propaganda. Infatti il disegno di legge non intacca minimamente l’indipendenza della Federal Reserve ma ne mina piuttosto la segretezza.

Ciò che Blinder vorrebbe è che i tecnocrati della Fed potessero effettuare i loro esperimenti monetari al riparo da occhi indiscreti. Si domanda il tecnocrate: come può sapere l’uomo comune qual è il livello dei tassi di interesse che massimizza la crescita economica e l’occupazione?

La risposta è che non solo l’uomo comune non può conoscere questo “livello ottimale” ma nemmeno il tecnocrate alla Fed!


Il tasso di interesse, infatti, dovrebbe essere un prezzo di mercato come tutti gli altri o altrimenti l’economia è destinata a soffrire cicli di espansione e depressione così come descritto da Mises ed Hayek.

Perché, piuttosto, quasi tutti i cosiddetti “difensori del libero mercato” sono a favore di privatizzazioni e liberalizzazioni in tutti i campi tranne che per la moneta ed il mercato del credito?


Prevedibile e inevitabile


Economisti,studiate la storia!

In un pezzo tradotto dal Sole 24 ore Bradford De Long accusa sostanzialmente i macroeconomisti di non conoscere la storia dell’economia moderna, che è costellata di bolle speculative seguite da recessioni.

«Se chiedeste a uno storico di economia moderna come il sottoscritto perché il mondo si trova attualmente nella morsa di una crisi finanziaria e di una grave flessione economica, vi direbbe che questo è soltanto l'ultimo episodio in ordine di tempo di una lunga sfilza di bolle, crack, crisi e recessioni simili risalenti quanto meno alla bolla dei primi anni Venti dell'Ottocento dovuta alla costruzione di canali, il fallimento nel 1825-1826 di Pole, Thornton & Co, e alla successiva prima recessione industriale in Gran Bretagna. Abbiamo assistito al medesimo fenomeno anche in altri momenti della storia, nel 1870, nel 1890, nel 1929, e nel 2000. »

De Long va avanti e sottolinea che

«Per qualche motivo, i prezzi degli asset vanno fuori controllo e salgono a livelli insostenibili. Talvolta ciò è da imputare agli scadenti controlli interni alle società che remunerano in maniera spropositata i propri dipendenti per correre dei rischi. Altre volte causa di tutto sono le garanzie governative. Infine, altre volte ancora ogni cosa è semplicemente da ricondurre a una lunga serie di avvenimenti propizi che lascia che il mercato cada in preda a un ottimismo per nulla realistico.
Poi, però, arriva il tracollo, e quando ciò accade crolla di conseguenza anche la ritenzione del rischio: tutti sanno che si verificano immense perdite negli asset finanziari di cui non si è consapevoli, ma nessuno ha la più pallida idea di dove siano. Al crollo fa seguito una vera e propria fuga per la salvezza, seguita a sua volta da una brusca caduta nella velocità della circolazione monetaria, a mano a mano che gli investitori accumulano contanti. E questa caduta nella velocità della circolazione monetaria provoca una recessione
»

Scadenti controlli, remunerazione eccessiva, garanzie governative, avvenimenti propizi che fanno sì che il mercato cada in preda ad un ottimismo non realistico… investitori che tesaurizzano moneta e provocano la recessione. Non manca qualcosa a questa storia?

Nel resto dell’articolo la critica di De Long colpisce i macroeconomisti mainstream ed è tutto sommato condivisibile ma vorrei sfruttare l’appello di De Long ad

«ascoltare e imparare da Dick Sylla la storia del salvataggio bancario di Alexander Hamilton del 1825; da Charlie Calomiris la storia di Overend, la crisi Gurney; da Michael Bordo la storia della prima bancarotta dei fratelli Baring; e da Barry Eichengreen, Christy Romer, e Ben Bernanke la storia della Grande depressione»

Proviamo però ad ascoltare la storia da un punto di vista diverso, che riesce a trovare un fattore comune a tutte queste sequenze di boom e bust.

Il panico del 1819

Per questa crisi, la prima negli Stati Uniti dovuta al fenomeno del ciclo economico , il nostro storico di riferimento è Murray Rothbard con il suo libro “The panic of 1819”.

Il panico del 1819 è stato la prima grande crisi economica degli Stati Uniti. Per la prima nella storia americana c’è stata una crisi di portata nazionale che non poteva essere semplicemente e direttamente attribuita a specifiche dislocazioni oppure a restrizioni come carestie o embarghi.

Rothbard ci racconta che questa crisi nacque come conseguenza dei provvedimenti presi durante la guerra del 1812, in cui il governo degli Stati Uniti si indebitò largamente per finanziare il conflitto. Questa grande richiesta di fondi fu soddisfatta dal sistema bancario che ne approfittò per emettere nuove banconote le quali però non erano garantite da nessun deposito di oro. Quando i possessori di banconote chiesero di convertire i propri pezzi di carta in moneta sonante questo provocò una crisi bancaria ed il governo autorizzò le banche a sospendere i pagamenti (ovvero a potersi rifiutare di convertire le banconote in oro).

Liberate dalla costrizione di mantenere una riserva aurea, le banche furono in grado di espandere ancora di più le loro emissioni di moneta cartacea, dando vita ad un boom creditizio. Quando nel 1816-1817 la situazione sembrava precipitare, il Congresso autorizzò la creazione di una banca nazionale (la Second Bank of United States) che aveva l’incarico di creare banconote garantite da riserva aurea e fornire al paese una moneta sana. In realtà questa banca nazionale, antenata della Fed, non fece altro che unirsi al coro inflazionista.

Dove finirono tutti questi soldi? Nel mercato immobiliare e ….. nel Mercato Azionario di Wall Street, che nasceva ufficialmente proprio nel 1817, nel bel mezzo della bolla speculativa!

Dopo il boom seguì la recessione, non ci fu nessun New Deal, nessuna Grande Depressione, il governo non fece nulla e nel 1821, liquidati i cattivi investimenti, l’economia ripartì.

Il fallimento di Pole, Thornton & Co - 1825

Ci spostiamo ora in Inghilterra dove durante le guerre napoleoniche, per finanziare le enormi spese del conflitto, era stato abbandonato il gold standard e la Bank of England aveva potuto inflazionare a suo piacimento la moneta, tra il 1797 ed il 1821. Il ritorno al gold standard fu drastico perché l’intenzione era quella di ritornare al livello di parità tra sterlina ed oro che esisteva prima della guerra ma nel 1823 l’economia sembrava essersi rimessa in sesto. A questo punto, racconta Rothbard in “History of Economic Thought: Classical Economics”:

«L’espansione creditizia attuata dalla Bank of England fece da apripista in questo nuovo boom inflazionario, aumentando il totale di crediti concessi da 17,5 milioni di sterline nell’Agosto 1823 a 25,1 milioni di sterline due anni dopo, un enorme incremento del 43% o del 21,7% annuale. Gran parte del boom monetario e creditizio venne alla luce tramite investimenti in azioni altamente speculative di imprese minerarie in America Latina. [..] Entro la fine del 1824 i cambi internazionali divennero sfavorevoli e l’oro iniziò a defluire all’estero; entro l’anno seguente, i Britannici iniziarono a domandare oro dalle loro banche in maniera crescente. [..] Seguirono le corse agli sportelli ed il panico. [..] Pole, Thornton & Co. Andò sotto, nonostante il tentativo di salvataggio all’ultimo minuto tentato dalla Bank of England

Altro boom inflazionistico, altra recessione.

Il panico del 1837

Torniamo agli Stati Uniti dove la Second Bank of the United States non doveva aver imparato la lezione perché, come racconta Rothbard in “History of money and banking in the United States

«L’inflazione dei prezzi iniziò nei primi anni ’30 quando i prezzi all’ingrosso raggiunsero un livello di 82 nel Luglio 1830 per poi salire del 20,7% in tre anni e raggiungere un livello di 99 nell’autunno del 1833. La ragione di questa crescita è semplice: l’offerta di moneta era cresciuta da 109 milioni di dollari nel 1830 a 159 milioni nel 1833, un incremento del 45,9% o del 15,3% annuo. [..] Senza dubbio l’espansione monetaria fu condotta dalla Second Bank of United States che aumentò le sue banconote e depositi da 29 milioni di dollari a 42,1 milioni, una crescita del 45,2 per cento. »

In questi anni, intanto, si consuma la lotta tra il Presidente Jackson ed il banchiere Nicholas Biddle, che risulta in un progressivo svuotamento dei privilegi della Second Bank sino alla sua sparizione qualche anno più tardi. I prezzi, che nel frattempo erano calati, dopo il 1834 tornarono a salire:

«i prezzi all’ingrosso salirono da un livello di 84 nell’Aprile del 1834 a 131 nel Febbraio del 1837, un notevole incremento del 52% in poco meno di tre anni. »

Questo avvenne forse perché le banche, liberate dal “freno” della Second Bank of United States, iniziarono a creare moneta creditizia oltre ogni limite, come racconta la storia “ufficiale”? Scrive Rothbard che:

«Non c’è dubbio che l’inflazione dei prezzi fu dovuta alla rimarchevole inflazione monetaria di quegli anni. Infatti il totale dell’offerta di moneta salì da 150 milioni di dollari all’inizio del 1833 sino a 267 milioni all’inizio del 1837, uno spettacolare aumento dell’84%, o del 21% annuo»

Ma questo non avvenne perché le banche crearono credito addizionale sul denaro esistente: infatti il loro coefficiente di riserva non scese mai sotto il 16%, ovvero il livello che avevano mantenuto anche durante l’esistenza della Second Bank. Ciò che avvenne è che:

«A partire dal 1833, il totale di denaro contante (moneta metallica) nel paese si incrementò da 31 milioni di dollari a 73 milioni all’inizio del 1837, per una crescita del 141,9% o del 35,5% annuo. Quindi, anche se una crescente sfiducia nei confronti delle banche indusse il pubblico a ritirare parte del denaro dai loro conti, [..] le banche furono comunque in grado di aumentare le loro note ed i loro depositi allo stesso tasso in cui il denaro affluiva nelle loro casse».

.Le cause di questo afflusso di metallo furono «per prima cosa un largo flusso in ingresso di argento dal Messico ed inoltre un netto taglio delle usuali esportazioni di argento in Oriente».

Come spiega Rothbard:

«La vera causa [del flusso di argento negli Stati Uniti] fu l’inflazione monetaria in Messico causata dal regime di Santa Anna, che finanziò il suo deficit coniando monete di rame svilite. Poiché queste ultime erano molto sopravvalutate e le monete d’oro e d’argento, al contrario, erano sottovalutate (a causa del cambio fisso che non era stato cambiato), queste ultime sparirono velocemente via dal Messico fino a sparire. L’argento, ovviamente, e non l’oro, stava finendo negli Stati Uniti durante questo periodo. Quando il governo messicano fu obbligato nel 1837 a cambiare il tasso di cambio ad un livello appropriato, il flusso d’argento messicano in entrata negli Stati Uniti cessò».

Quando nel 1837 giunse il crollo, William Leggett osservò:

«Chiunque abbia osservato in modo obiettivo il corso degli eventi degli ultimi tre anni avrebbe potuto prevedere lo stato delle cose che si è verificato ora… Avrebbe visto che le banche .. avevano cercato con tutti i loro sforzi, ognuna emulando le altre, di forzare le loro banconote in circolazione, ed inondare la terra con i loro sostituti monetari. Avrebbe visto che esse hanno cercato con ogni atto di seduzione di convincere la gente ad accettare il loro supposto aiuto; tanto che in questo modo hanno gradatamente eccitato una sete di speculazione [..] che si è evoluta in febbre e la gente, come in preda ad un’epidemia o una mania del momento, si imbarcò in ogni sorta di avventura disperata. Scavarono canali dove nessun commerciò richiedeva mezzi di trasporto; aprirono strade dove nessun viaggiatore intendeva andare; costruirono città dove nessuno desiderava vivere»

Allora De Long, che cosa ci insegna la storia delle bolle speculative? Qual è il fattore che le accomuna tutte?


Corporatism: a love story

Il 29 Settembre scorso Michael Moore ha incontrato i giovani studenti della George Washington University per promuovere il suo nuovo film: "Capitalism, a love story". Sentite cosa risponde alla domanda di uno studente che gli chiede se si possa parlare davvero, per gli Stati Uniti, di libero mercato e se la condizione di potere delle corporazioni sia da attribuire al "mercato" oppure al fatto che queste ultime si possono avvalere del potere statale per favorire i propri interessi.

Ecco cosa risponde Moore



«Non abbiamo davvero un mercato libero e non abbiamo libere imprese anche se diciamo di averli. A questa gente, i ricchi e le corporazioni non piace la concorrenza. Non gradiscono che abbiamo la facoltà di scegliere, amano i monopoli, la loro visione di Nirvana è essere l’unica industria automobilistica o linea aerea ed è bizzarro che questa gente che dice di credere così tanto nel nostro modo di vivere, in realtà creda in un sistema dove noi non dovremmo avere facoltà di scelta e ammira il modo di fare nella vecchia Unione Sovietica »


Insomma lo dice anche Moore: "Questo non è il libero mercato, questo non è Capitalismo".

Allora forse avrebbe dovuto intitolare il film "Corporatism: A love story" ma così non avrebbe potuto far passare il messaggio che c'è nella seconda parte dell'intervista...

Vatti a fidare dei premi Nobel...

Visto che il 12 ad Oslo assegnano il premio Nobel per l’economia, vediamo cosa scriveva sul suo blog qualche giorno fa chi questo premio l’ha vinto due anni fa., ovvero Paul Krugman

Commentando la teoria del ciclo economico di Schumpeter

«E’ tutto qui: la disoccupazione di massa è necessaria perché bisogna spostare risorse via dai settori che si sono espansi troppo, lo stimolo è un male perché rallenta il necessario riaggiustamento. Ma oggi come allora tutta la teoria cade a pezzi non appena si chiede come mai, diciamo, un boom nel settore immobiliare – che richiede uno spostamento di risorse verso il settore degli immobili – non produce lo stesso tipo di disoccupazione di una recessione che sposta risorse fuori dal settore immobiliare»

Credeteci o meno, questo sono le parole del premio Nobel per l’economia Paul Krugman….

Questa è la risposta di Bob Murphy (la posto perché è divertente)

I lavoratori preferiscono lasciare il lavoro che essere licenziati

Immaginiamo di avere l’economia in equilibrio, con la disoccupazione diciamo al 2.5%, con poche persone che lasciano il lavoro o che sono licenziati, a causa del cambio di preferenze, tecnologia, etc.

A questo punto arriva qualcuno che inizia a stampare senza tregua nuove banconote da 100$. Questo tizio inizia a pubblicizzare il fatto che vuole assumere nuovi lavoratori nella sua fabbrica e si offre di pagare agli aspiranti qualificati il doppio di quello che stanno ricevendo ora. Ovviamente il numero di persone che lavora nella sua fabbrica è destinato a salire alle stelle nel giro di pochi mesi, mentre lui continua a stampare le sue banconote da 100$

Ora Paul Krugman vorrebbe sapere: perché il tasso di disoccupazione non sale al 10% visto che tutti questi lavoratori vengono spostati a lavorare nella fabbrica del falsario?

La risposta, ovviamente, è che alcune delle persone che prima erano disoccupati trovano lavoro alla fabbrica e tutti gli altri impiegati semplicemente lasciano il lavoro precedente, visto il salario più alto che ottengono ora. Il tasso di disoccupazione scende giù diciamo allo 0.3% per un anno o due.

Ma prima o poi qualcosa deve succedere. Non può essere possibile che lo stampare pezzi di carta verdi renda l’economia reale più produttiva. La gente ha pensato di essere più ricca per qualche anno, dopo che il processo di contraffazione era cominciato, mentre in realtà nel complesso non lo era. Tutto quello che era accaduto era un massiccio processo di redistribuzione della ricchezza ed un consumo di capitale che si è consumato mentre la gente era stata ingannata nel pensare che i suoi redditi reali erano cresciuti di molto.

Ad un certo punto la gente realizza che il proprietario della fabbrica non è altri che un falsario e spengono le macchine. Le banconote da $100 smettono di entrare in circolazione. Ognuno alla fabbrica viene licenziato istantaneamente e tutti quelli che rifornivano la fabbrica di materiali vedono il loro fatturato scendere del 50% (perché la fabbrica era un loro grosso cliente). Così anche loro devono licenziare un bel po’ di persone.

I lavoratori licenziati sono esterrefatti. Non possono credere di dover ora considerare lavori che pagano (in termini reali) la metà di ciò che prendevano la settimana prima. Decidono di aspettare un po’, mandando via curricula nella speranza di trovare un lavoro che paghi, diciamo, l’85% del loro vecchio salario. Ovviamente il tasso di disoccupazione non sta allo 0.3%. Infatti sale al di sopra del 2.5% e sta ad un livello eccezionalmente alto per molti mesi.

Davvero Paul Krugman non ci arriva? Certo forse questo non è un racconto veritiero di ciò che è successo negli Stati Uniti dal 2002 al 2007, ma non c’è nulla di logicamente sbagliato nella storia.


Inflazione malattia primaria




Questo nostro mondo è malato perché l'economia è stata fondata su principi sbagliati. La Moneta infatti non rappresenta ricchezza, ma viene creata dal debito e quindi può essere inflazionata arbitrariamente.

L'Inflazione non è uno strano e spiacevole accidente che piove dal cielo a disturbare un sistema che per il resto è ingegnerizzato in modo perfetto, ma al contrario è il pilastro portante sul quale i potenti hanno voluto costruire la macchina dell'economia. In pratica essa non è che una gigantesca rapina ai danni della popolazione, e oltre all'aumento inarrestabile dei prezzi, infligge danni strutturali molto difficili da sradicare all'economia e alla società.
L'Inflazione è la malattia primaria, da cui nascono a cascata molte altre malattie: impoverimento della popolazione, clientelismo, privilegio, arroganza dei potenti, criminalità, ingiustizia sociale, malfunzionamento dei servizi, rassegnazione e nichilismo della gioventù.

Filmato tratto dalla conferenza di presentazione del libro tenutasi al Politecnico di Torino il 10/6/2009. Per visionare il filmato completo e leggere il libro visita www.usemlab.com

Krugman, Keynes ed Hayek. Perché la soluzione keynesiana alla crisi è sbagliata

Krugman

Il 15 Settembre Paul Krugman analizzava la situazione macroeconomica degli Stati Uniti

Per prima cosa guardiamo quanto è profonda la buca in cui siamo. Invece di entrare nei dettagli dei calcoli necessari a misurare il gap di produzione, lasciatemi presentare un calcolo molto semplice: confrontare il PIL, da quanto è iniziata la recessione, con quello che sarebbe stato se l’economia avesse continuato a crescere lungo il suo trend (dal 1999 al 2007)

Quindi siamo circa un otto per cento sotto a quello che dovrebbe essere. Questo si traduce in una perdita di produzione ad un tasso di più di mille miliardi di dollari all’anno (ed anche in disoccupazione di massa). E continueremo a soffrire queste perdite, anche se il PIL sta ora crescendo, fino a quando avremo abbastanza crescita per chiudere quel gap. Siccome non c’è nulla nei dati che suggerisca che il gap si sta chiudendo, questa è una tragedia che continuerà.

Che cosa vuol dire il professor Krugman (ma anche tutti i keynesiani)? Prendo in prestito il modello che Garrison usa in Time and Money (mutuato da Leijonhufvud) , per spiegare ciò che Keynes sosteneva nella sua Teoria Generale.

Keynes

Ripartiamo dalle conclusioni di Keynes sulle origini del ciclo economico:

«Ora, siamo stati abituati nello spiegare la crisi ad enfatizzare la tendenza del tasso di interesse a salire sotto l’influenza dell’aumento della domanda di moneta sia come intermediario degli scambi che per ragioni speculative. A volte questo fattore può certamente avere un ruolo aggravante e, forse occasionalmente, di scintilla. Ma suggerisco che una più tipica e spesso predominante spiegazione della crisi non è da ricercare nel rialzo del tasso di interesse ma nell’improvviso collasso dell’efficienza marginale del capitale»

Vediamo ora, servendoci da questo grafico riassuntivo, di capire che cosa significa.

Prima della crisi

L’economia si trovava al punto A. Vediamo brevemente che cosa ci indicano i sei pannelli (la lettera D indica la domanda aggregata mentre la S indica sempre l’offerta aggregata):

Pannelli 1,2,3 – Mercato del lavoro e reddito aggregato

Nel punto di piena occupazione vengono impiegate 20 ore di lavoro al salario nominale di 10$ l’ora (pannello 1), per un reddito totale da lavoro dipendente pari a 200$ (pannello 2). Poiché Keynes (Teoria Generale) sosteneva che «i costi dei fattori produttivi hanno un rapporto costante con quello dei salari», possiamo assumere (pannello 3) che i redditi totali siano in rapporto costante con i redditi da lavoro (nel nostro caso 300$/200$, ovvero 3/2).

Pannello 4 – Spese totali

Il pannello 4 è il cuore dell’analisi keynesiana e del suo modello circular flow. La spesa di uno è il reddito di un altro e quindi le spese aggregate saranno uguali ai redditi aggregati. Quali sono le componenti della spesa aggregata?

Vi sono i consumi (componente stabile) i quali dipendono dal reddito tramite quella che Keynes chiamava propensione al consumo (in pratica, se la nostra propensione al consumo è 0.6, per ogni 100$ che riceviamo andremo a spenderne 60$) e gli investimenti (componente instabile) i quali non dipendono dal reddito ma solo dalle aspettative del futuro. Nel nostro caso il livello dei consumi è di 210$ mentre gli investimenti sono di 90$.

Pannello 5 – Frontiera delle possibilità produttive

Normalmente questa figura viene omessa dall’analisi macroeconomica ma è molto importante perché mostra quelli che sono i livelli di produzione sostenibili dall’economia. Secondo l’analisi keynesiana, prima dell’insorgere della crisi, l’economia si trovava lungo la frontiera delle possibilità produttive.

Pannello 6 – Mercato dei fondi mutuabili

Questo pannello, infine, mette in correlazione la domanda e l’offerta di fondi mutuabili, ovvero mette in correlazione i risparmi (Savings) con gli investimenti (Investments) tramite il tasso di interesse di mercato.

Arriva la crisi

Come abbiamo scritto in precedenza Keynes individuava la causa della crisi principalmente in un collasso repentino dell’efficienza marginale del capitale, aggravata poi dall’aumento del tasso di interesse dovuto all’incremento della domanda di moneta (maggiore preferenza per la liquidità).

«Torniamo a cosa accade all’inizio della crisi. Finché il boom continuava, molti dei nuovi investimenti non mostravano di avere un rendimento corrente non soddisfacente. La disillusione arriva perché improvvisamente sorgono dubbi riguardo la plausibilità dei rendimenti futuri, forse perché il rendimento corrente mostra segni di calo man mano che lo stock di nuovi beni durevoli aumenta. Se si pensa che i costi di produzione correnti sono più alti di quanto saranno in futuro, allora c’è un’ulteriore ragione per una caduta dell’efficienza marginale del capitale. Una volta che i dubbi si manifestano poi si diffondono rapidamente. Perciò all’inizio della recessione vi sarà molto capitale la cui efficienza è diventata nulla o anche negativa». (Keynes, Teoria generale, cap.22)

Nel grafico questo movimento si traduce in uno spostamento verso sinistra della domanda di investimento da D a D’ che quale si traduce in un livello di investimenti I’ minore di quello di pieno potenziale. Siccome poi i salari sono, nell’ipotesi keynesiana, rigidi verso il basso, la domanda di lavoro si sposta anch’essa da D a D’ ed il nuovo livello di occupazione (che non è al punto di incontro tra domanda ed offerta) è di sole 15 ore invece di 20. Da notare che se anche si lasciassero calare i salari il livello di occupazione sarebbe minore di quello pre-crisi. Il minor reddito fa sì che anche l’offerta di credito si sposti verso sinistra da S ad S’, lasciando inizialmente invariato il tasso di interesse.

Nel pannello 5 possiamo infine notare come l’economia sia precipitata all’interno della frontiera delle possibilità produttive (vi sono impianti chiusi, catene produttive ferme, etc.).

Subentra poi il fattore aggravante, ovvero l’incremento della preferenza per la liquidità

«Inoltre lo sgomento e l’incertezza sul futuro che accompagnano un collasso nell’efficienza marginale del capitale hanno come naturale conseguenza un brusco aumento della preferenza per la liquidità, e quindi un aumento del tasso di interesse. Perciò il fatto che un collasso nell’efficienza marginale del capitale tenda ad essere associato con un aumento del tasso di interesse può seriamente aggravare il declino degli investimenti» (Keynes, Teoria Generale, Cap. 22)

La curva di offerta di credito si sposta ulteriormente verso sinistra al livello S’’. Questo si traduce in un aumento del tasso di interesse ed in un livello di investimenti I’’. Il risultato è un aggravarsi della situazione che si stabilizza solo al punto B.

Il gap nella produzione di cui parlava Krugman è rappresentato dalla distanza tra i due punti A e B.

La soluzione keynesiana consiste nel “colmare” questo gap tramite una coordinata politica monetaria e fiscale. Innanzitutto le autorità monetarie devono neutralizzare la fuga verso la liquidità rendendo disponibile del denaro attraverso il mercato del credito (ΔMc) e riportare quindi il tasso di interesse al livello pre-crisi (freccia azzurra).

«Se una riduzione del tasso di interesse, da sola, fosse in grado di essere un effettivo rimedio allora potrebbe essere possibile ottenere una ripresa in modo veloce sotto il controllo, più o meno efficace, delle autorità monetarie. Ma questo non è ciò che succede normalmente». (Keynes, Teoria Generale, Cap.22)

Deve poi intervenire l’autorità pubblica la quale, tramite un livello di spesa G (detto quindi “stabilizzante”) va a colmare il gap e riporta l’economia nel punto A di pieno.

Sembrerebbe in pratica che debito e spesa pubblica siano le soluzioni della crisi. Ma è corretta quest’analisi? Come fanno spesa e debito ad essere contemporaneamente cause della crisi e loro soluzione? Per capirlo dobbiamo tornare a cosa era successo prima della crisi, durante il boom.

Hayek

La teoria austriaca del ciclo economico spiega che la fase di boom è causata da una politica monetaria espansiva che abbassa il tasso di interesse al di sotto del suo livello naturale. Poiché il sistema dei prezzi è il modo in cui il mercato segnala le informazioni ai suoi attori e dal momento che il tasso di interesse è sicuramente il prezzo più importante dell’economia, poiché permette la coordinazione della produzione nel tempo, l’intervento delle autorità monetarie ha conseguenze distruttive.

Vediamo dunque cosa accade al sistema produttivo (che ipotizziamo essere sulla frontiera delle possibilità produttive) quando il sistema bancario immette nell’economia della nuova moneta ΔM sotto forma di credito. Per prima cosa possiamo notare che, nel pannello Saving-Investment, l’offerta di credito si sposta verso destra , intersecando la curva di domanda nel punto A, cui corrisponde un tasso di interesse minore (i’ <>

Vediamo quali sono le reazioni delle famiglie e degli imprenditori.

Per le famiglie il tasso di interesse indica anche il costo opportunità che ricevono quando devono scegliere se consumare oggi oppure risparmiare e comprare in futuro. Se è molto basso questo significa che sono molto incentivate a consumare e pochissimo a risparmiare (gli interessi sul conto corrente sono bassi, i titoli "sicuri" rendono poco e così via). Una politica monetaria espansiva cambia temporaneamente le preferenze temporali dei consumatori e le orienta verso un consumo anticipato, spesso finanziato attraverso il ricorso al credito: è il cosiddetto consumismo. Nel grafico possiamo notare questa tendenza osservando che al tasso i’ le famiglie, che seguono ancora la curva S, risparmiano meno e, di conseguenza, consumano di più (freccia azzurra sul pannello della frontiera delle possibilità produttive).

Il messaggio che ricevono gli imprenditori è invece diametralmente opposto.


Se aumenta il credito a disposizione, ragionano questi ultimi, ciò sta a segnalare che i consumatori stanno risparmiando e che quindi saranno propensi ad aumentare i loro consumi in futuro: vi è quindi spazio per aumentare la produzione futura. Inoltre un tasso di interesse basso fa diventare appetibile tutta una serie di investimenti, specialmente quelli a lungo termine, che prima era considerata svantaggiosa.

Se l'espansione del credito aumenta la quantità di denaro disponibile, l'abbassamento del tasso di interesse da pagare sui prestiti definisce la qualità dell'investimento. In sintesi non solo viene espanso il credito oltre i limiti del risparmio reale (overinvestment) ma esso viene anche indirizzato verso attività speculative e rischiose, che hanno scarse possibilità di successo (malinvestment). Sulla frontiera delle possibilità produttive possiamo notare l’overinvestment (la freccia azzurra, mentre il triangolo di Hayek mostra il malinvestment (l’allungamento temporale della struttura produttiva)

Il livello di consumo ed investimento che si manifesta durante il boom, rappresentato nel grafico dal punto A, non si trova affatto lungo la frontiera delle possibilità produttive, ma al di là di essa, e non è quindi un punto sostenibile per l’economia.

Gli eccessi e le distorsioni che si sono verificate durante il boom non sono senza conseguenze. La nuova frontiera delle possibilità produttive, infatti, non solo è all’interno del punto A (non è quindi rappresentata dalla curva rossa tratteggiata), ma non è nemmeno più quella che si aveva all’inizio del boom (la curva blu). In realtà non possiamo dire molto riguardo la sua posizione ma ciò che raccomanda la scuola austriaca è che non si cerchi di interrompere il processo di liquidazione dei cattivi investimenti perché soltanto in questo modo l’economia può individuare la sua struttura sostenibile e ripartire.

Conclusioni

Alla luce delle analisi di Hayek è sbagliato e dannoso voler colmare il gap produttivo e cercare di riportare l’economia, a suon di stimoli fiscali e monetari, ai livelli che aveva prima dell’insorgere della crisi (tornare quindi al punto A). Non solo si impedisce al mercato di riscoprire qual è la sua struttura produttiva efficiente ma inevitabilmente si continuano a sprecare risorse proprio in quelle attività produttive che si sono sviluppate, durante il boom, in modo insostenibile, peggiorando ulteriormente la situazione generale.

Si pensi ad esempio al mercato dell’automobile: il biennio 2006-2007 ha visto un boom di automobili vendute (stimolato dagli incentivi alla rottamazione e dal credito facile). E’ forse lecito e ragionevole considerare il livello produttivo record del 2007 come l’obiettivo da raggiungere e rendere permanente a suon di sussidi, incentivi e rottamazioni forzate (si pensi alle limitazioni alla circolazione per le automobili più vecchie)?


Sorpresa! Ora la colpa della crisi è la moneta merce!

** Il post è stato modificato rispetto a suo testo iniziale **


Sul Sole 24 ore di qualche giorno fa, veniva presentato il libro di due docenti dell’Università Bocconi di Milano, Massimo Amato e Luca Fantacci, dal nome “La fine della Finanza”. Questo libro si propone di spiegare, sulla scia di quanto sosteneva Keynes, le ragioni della crisi finanziaria e di proporre una serie di rimedi per evitare che in futuro ce ne siano delle altre.

La tesi che traspare dall'intervista, ma non è detto che sia fedele a quanto contenuto nel libro, potrebbe far rabbrividire, viste le argomentazioni, chi segue la scuola austriaca di economia, ma dal momento che i due docenti sostengono di seguire la scia di Keynes può essere interessante (e divertente) vedere se hanno effettivamente seguito il pensiero dell’economista inglese oppure se ne hanno travisato completamente il contenuto.

Vediamo innanzitutto qual è, per Amato e Fantacci, la causa strutturale della crisi.

«Il vero nodo - dice Amato - è stato modificare la funzione stessa della finanza. Quest'ultima, in senso lato, riguarda l'apertura di un credito a favore di un soggetto cui viene anticipato del denaro per sviluppare, ad esempio, un'impresa. Una funzione essenziale per l'economia reale che presuppone, prima o poi, la chiusura del credito stesso». Non è un caso, quindi, che nel latino del tardo impero "Finantia" significasse «definizione amichevole di una controversia».

«È il "pagherò" della cambiale - fa notare Fantacci-, che, tuttavia, nel mercato finanziario si è trasformato in un "pagherò mai"» [..]«Grazie a tecniche come la cartolarizzazione, il creditore e il debitore sono stati "allontanati", non c'è più una relazione personale tra loro. È stato volutamente interrotto, scisso il rapporto tra le due parti. In questo modo il debitore ha potuto non solo posticipare il pagamento, ma rinviarlo all'infinito: il "pagherò" è stato, di fatto, trasformato in un "paghero mai". Una rivoluzione non solo economica ma, oserei dire, antropologica». Ma come è stato possibile arrivare a tanto? «È abbastanza facile da capire - risponde Fantacci - Il debito, magari subprime, è stato trasformato, anche grazie allo spacchettamento delle cartolarizzazioni, in un qualcosa comunque desiderabile, appetibile. Un titolo tanto più richiesto in quanto "gettato" nel fiume della liquidità che, per la sua stessa natura, ha la necessità di trovare una remunerazione, possibilmente sempre maggiore».

Non è affatto semplice riuscire a capire il pensiero di Amato e Fantacci. Viene infatti detto che:

- la finanza odierna si basa su debiti che non verranno mai pagati nella loro interezza

- la cartolarizzazione dei debiti ha separato debitori e creditori per cui questi ultimi non conoscono chi ha preso in prestito i loro soldi

- c’è un enorme fiume di liquidità alla ricerca di una remunerazione

- tutti i debiti, anche quelli subprime, sono diventati appetibili

Ma qual è l’ordine causale? Che cosa si intende per “fiume di liquidità” e chi lo ha creato? Ci sono state conseguenze nell’economia reale (qui si parla solo di finanza) oppure no? Come mai è insorta la crisi ad un certo punto? Nell'intervista non lo si spiega.

Si afferma soltanto che

Secondo quest'impostazione, quindi, la liquidità è uno dei problemi alla base della crisi...

La Scuola Austriaca di Economia propone anche una spiegazione approfondita di come mai un boom creditizio porti successivamente ad una crisi e di quale sia il ruolo della “liquidità”. Ma per Amato e Fantacci cosa significa “liquidità”?

«Sì. La liquidità, intesa come continua convertibilità di un titolo in moneta e viceversa, è la base strutturale di questo sistema»

Nel giro di due periodi si è passati dalla “liquidità” intesa come “fiume di denaro contante” a “liquidità” come “possibilità di convertire velocemente un asset finanziario in denaro contante”. Mi sembra di capire dunque che l’idea di Amato e Fantacci sia più o meno questa:

In questi ultimi anni si è avuto un aumento enorme dell’indebitamento di famiglie ed imprese. Una volta, quando due persone stipulavano una cambiale, il creditore rimaneva in possesso del titolo sino a scadenza, quando il debito veniva rimborsato. Ora invece i mercati finanziari permettono di impacchettare e rivendere i debiti e questi sono così appetibili da poter essere venduti (convertiti in moneta) in modo molto veloce sul mercato, cambiando di mano molte volte.

Quando però aumenta la preferenza per la liquidità ed in tanti vogliono convertire i loro asset in denaro contante, il prezzo dei titoli scende (quindi si alza il loro tasso di interesse) ed insorge la crisi. Questa spiegazione è, in un certo qual modo, l’interpretazione del pensiero keynesiano data da Krugman, ma Keynes aveva le idee un po’ diverse riguardo le cause del ciclo economico (Teoria Generale, Cap. 22)

«Ora, siamo stati abituati nello spiegare la crisi ad enfatizzare la tendenza del tasso di interesse a salire sotto l’influenza dell’aumento della domanda di moneta sia come intermediario degli scambi che per ragioni speculative. A volte questo fattore può certamente avere un ruolo aggravante e, forse occasionalmente, di scintilla. Ma suggerisco che una più tipica e spesso predominante spiegazione della crisi non è da ricercare nel rialzo del tasso di interesse ma nell’improvviso collasso dell’efficienza marginale del capitale»

Ma la “liquidità” da sola non sarebbe stata sufficiente senza il ruolo della moneta come “riserva di valore”

«La moneta intesa come riserva di valore -risponde Fantacci -. Com è noto, la currency attualmente è: unità di conto, mezzo di scambio e, per l'appunto, riserva di valore. Ecco, quest'ultima caratteristica è imprescindibile nel mercato finanziario: la moneta dev'essere una merce il cui prezzo è il saggio d'interesse. Se non ci fosse questo aspetto chi cede moneta non dovrebbe, né potrebbe, essere remunerato con il saggio d'interesse, per l'appunto».

Secondo Amato e Fantacci la moneta odierna sarebbe una “moneta merce il cui prezzo è il saggio di interesse” e questo a causa del fatto che la moneta è “riserva di valore”. A parte l'affermazione per cui la moneta odierna sia una “commodity money”, (una moneta di carta a corso legale può essere una moneta merce?) vale la pena di commentare l’assurdo secondo cui “il tasso di interesse è il prezzo della moneta”, che deriva da una errata interpretazione di quanto scritto da Keynes nella Teoria Generale.

Nella capitolo XIII, che si intitola “La teoria generale del tasso di interesse” Keynes dichiara che l’individuo, quando percepisce un reddito, si trova di fronte ad una doppia decisione:

«Le preferenze temporali di un individuo richiedono due momenti decisionali distinti per essere portate a termine. Il primo riguarda quell’aspetto della preferenza temporale che io chiamo propensità al consumo, che determina per ogni individuo quanto del suo reddito consumerà e quanto terrà a riserva sotto qualche forma per destinarlo a consumi futuri.

Ma dopo aver preso questa decisione, ce n’è una ulteriore che lo attende, ovvero, in quale forma detenere questo “diritto ad un consumo futuro” che si è riservato, sia che esso provenga dal suo reddito corrente o dai suoi risparmi passati. Vuole tenerlo sotto forma liquida (es. moneta o un suo equivalente)? Oppure è preparato a separarsi di questo suo diritto per un periodo specifico o indefinito, lasciando che siano le condizioni future di mercato a determinare in quali termini potrà, se necessario, convertire questo diritto a consumi futuri in immediata possibilità di consumo in generale? »

E quindi: il tasso di interesse, per Keynes, è la ricompensa per separarsi dalla liquidità per un dato periodo, ovvero è il costo opportunità del detenere denaro in forma liquida.

E’ ciò che sostengono Amato e Fantacci? No, ed infatti subito dopo Keynes scrive:

Il tasso di interesse è niente più che l’inverso della proporzione tra una somma di denaro e quanto può essere ottenuto separandosene per un determinato periodo di tempo in cambio di un titolo di debito.

Bisogna stare attenti a non confondere “costo opportunità” con “prezzo” in quanto se è vero che per prestare moneta (e percepire un interesse) l’individuo deve separarsene per un certo periodo, tuttavia la cessione della proprietà delle moneta non è definitiva. Allo stesso modo se affitto una casa ne cedo la proprietà per la durata del contratto ma nessuno si sognerebbe di affermare che l’affitto costituisce il prezzo della casa!

Poco più avanti Amato afferma:

«La prova si è avuta quando le banche centrali hanno inondato il mercato con "denaro frusciante". Ebbene, se fossero prevalse le caratteristiche di unità di conto e mezzo di scambio, la moneta sarebbe circolata tra gli istituti finanziari. Invece, le banche hanno tesaurizzato la liquidità. L'hanno considerata una merce, l'hanno messa "in magazzino", tenendo a mente essenzialmente la funzione di riserva di valore»

Si riferisce al fatto che quando la Fed, dallo scorso Ottobre, ha inondato le banche di denaro, queste ultime hanno aumentato le loro riserve presso la Federal Reserve invece di “far circolare la moneta nel mercato del credito”. Secondo Amato questo è avvenuto perché la caratteristica di “riserva di valore” della moneta ha prevalso sulle caratteristiche di “mezzo di scambio ed unità di conto”.

Che qui Amato e Fantacci abbiano abbandonato Keynes al suo destino e stiano seguendo una strada diversa e oramai fuori di dubbio. Keynes, per descrivere questa situazione, avrebbe infatti parlato di trappola della liquidità (Teoria Generale, Cap. XV)

«C’è la possibilità che dopo che il tasso di interesse è sceso ad un certo livello, la preferenza per la liquidità può diventare virtualmente assoluta nel senso che quasi tutti preferiscono il denaro contante rispetto ad un titolo di debito che offre un tasso di interesse così basso. In questo eventualità l’autorità monetaria avrebbe perso il controllo effettivo del tasso di interesse. »

In questa eventualità la soluzione di Keynes non è “eliminare la caratteristica di riserva di valore della moneta” ma

«Se questa situazione dovesse manifestarsi questo comporterebbe che l’autorità pubblica potrebbe prendere in prestito in maniera illimitata dal sistema bancario al tasso di interesse nominale. »

Detta in parole povere: se la politica monetaria non è efficace allora deve intervenire l’autorità pubblica per colmare il gap di output produttivo e ristabilire la piena occupazione.

Invece per Fantacci ed Amato la soluzione è

«eliminare la moneta-merce, in modo che gli istituti di credito tornino a focalizzarsi su quello che dovrebbe essere il loro reale core business, cioè svolgere l'attività d'intermediazione per garantire prestiti al mondo dell'economia reale».

Ovvero eliminare dalla moneta la caratteristica di “riserva di valore” pur mantenendo la sua funzione di mezzo di scambio ed unità di conto.

Questa idea, che ha tristemente tanti sostenitori, si fonda sull’assunto per cui la moneta non è altro che un lubrificante degli scambi e che quando questi avvengono essa sparisce e ciò che rimane è soltanto uno scambio di beni e servizi. Vediamo un esempio.

Gino il pizzaiolo ha appena sfornato una pizza margherita e desidera acquistare una birra. In un’economia di baratto dovrebbe cercare qualcuno che possiede la birra ed è disposto a scambiarla con la pizza ma in un’economia monetaria il tutto è molto più semplice:

Gino vende la pizza a Giorgio (che la desidera) per 4€ e poi si reca al bar dove usa i 4€ per comprare una bottiglia di birra. Alla fine degli scambi la moneta sparisce in quanto prima Gino possedeva la pizza mentre ora ha la birra.

E’ davvero così? Assolutamente no!

Infatti non è sparito nessun euro durante le transazioni (prima Giorgio aveva 4€ mentre ora li ha il barista)! Infatti, come scriveva Mises, non è corretto parlare di moneta “in circolazione” perché in qualsiasi momento tutta la moneta è nel portafogli o nel conto di qualcuno.

Il fatto che gli individui accettino di scambiare beni contro moneta (e che quindi la moneta sia mezzo di scambio) è dovuto al fatto che essi sanno che nel futuro potranno utilizzare quella moneta per ottenere altri beni (ed ecco la funzione di riserva di valore). Se questa aspettativa cessa, perché ad esempio le autorità monetarie iperinflazionano la moneta distruggendone il valore, allora gli individui cercheranno di disfarsi della moneta in loro possesso per acquistare beni reali (come è successo a Weimar, Zimbabwe, etc.) e quest’ultima cesserà anche di essere mezzo di scambio.

E questa è più o meno l’obiezione che lo stesso Keynes, pur condividendone i principi, faceva all’idea di Gesell di “far costare la tesaurizzazione della moneta” (Teoria Generale, Cap. 23)

«In particolare [Gesell] non sapeva che la moneta non è l’unica cosa a possedere un premio per la liquidità, diverso dagli altri beni soltanto per la sua grandezza, e che deriva la sua importanza per il fatto di avere il più grande premio per la liquidità rispetto agli altri articoli. Quindi se le banconote fossero deprivate del loro premio per la liquidità, una lunga serie di sostituti ne avrebbero preso il posto» (Es. oro, moneta straniera, metalli preziosi)

Insomma neanche Keynes, pur volendo provocare «l’eutanasia del rentier» ed «abolire la scarsità di capitale» (Teoria Generale, Cap. 22) non si sarebbe mai sognato di suggerire di privare la moneta della sua funzione di riserva di valore!

Ma quanti sono i keynesiani, che magari insegnano economia all’università, a non avere mai letto, né capito, Keynes?


Meglio o peggio del previsto?

Lo scorso gennaio, mentre l’Amministrazione Obama presentava al Congresso il piano di stimolo fiscale, i politici ed i media ci bombardavano con messaggi allarmanti e prevedevano una imminente catastrofe se il governo non avesse fatto qualcosa per impedirla.

Nancy Pelosi urlava che gli Stati Uniti stavano perdendo 500 milioni di posti di lavoro al mese, Obama avvertiva che non potevamo “permetterci di attendere e vedere se le cose miglioreranno” ma che dovevamo “agire subito”. Il team economico presidenziale inoltre aveva appena sfornato un rapporto in cui prevedeva i movimenti del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti con e senza il piano di stimolo.


Ora siamo a settembre ed i messaggi sono invece positivi e volti all’ottimismo:


La crisi è quasi finita”, annuncia Obama. Bernanke rilancia: “La crisi sta per finire”. Il Pil si sta comportando meglio del previsto (traduzione: rallenta il calo del PIL), gli Stati Uniti continuano a perdere posti di lavoro ma se ne perdono meno (traduzione: non è un corso di analisi matematica ma non sapevamo come addolcire la pillola. Intanto studiate che a settembre potremmo sfoderare la derivata terza)

Evviva! La crisi è finita, la locomotiva si sta rimettendo in moto, grazie al piano di stimolo di Obama!

Ed i posti di lavoro? Se l’economia va meglio del previsto questo vorrà ben dire che anche la disoccupazione avrà seguito il trend più favorevole, no?


Confrontiamo i dati previsti con quelli reali.


OOPS!


Non solo i dati sulla disoccupazione negli Stati Uniti sono peggiori delle previsioni del rapporto di gennaio ma questo è anche vero per entrambi gli scenari, con o senza stimolo fiscale!

Riassumendo: a gennaio è stato presentato un rapporto economico in cui il team economico di Obama faceva delle previsioni sul tasso di disoccupazione con o senza piano di stimolo fiscale. Queste previsioni si sono rivelate sbagliate ed il tasso di disoccupazione è oggi peggiore di quanto fosse previsto a gennaio in assenza di intervento del governo.

Come al solito gli "austriaci" avevano spiegato già a gennaio perché lo stimolo fiscale non avrebbe funzionato.