Krugman, Keynes ed Hayek. Perché la soluzione keynesiana alla crisi è sbagliata

Krugman

Il 15 Settembre Paul Krugman analizzava la situazione macroeconomica degli Stati Uniti

Per prima cosa guardiamo quanto è profonda la buca in cui siamo. Invece di entrare nei dettagli dei calcoli necessari a misurare il gap di produzione, lasciatemi presentare un calcolo molto semplice: confrontare il PIL, da quanto è iniziata la recessione, con quello che sarebbe stato se l’economia avesse continuato a crescere lungo il suo trend (dal 1999 al 2007)

Quindi siamo circa un otto per cento sotto a quello che dovrebbe essere. Questo si traduce in una perdita di produzione ad un tasso di più di mille miliardi di dollari all’anno (ed anche in disoccupazione di massa). E continueremo a soffrire queste perdite, anche se il PIL sta ora crescendo, fino a quando avremo abbastanza crescita per chiudere quel gap. Siccome non c’è nulla nei dati che suggerisca che il gap si sta chiudendo, questa è una tragedia che continuerà.

Che cosa vuol dire il professor Krugman (ma anche tutti i keynesiani)? Prendo in prestito il modello che Garrison usa in Time and Money (mutuato da Leijonhufvud) , per spiegare ciò che Keynes sosteneva nella sua Teoria Generale.

Keynes

Ripartiamo dalle conclusioni di Keynes sulle origini del ciclo economico:

«Ora, siamo stati abituati nello spiegare la crisi ad enfatizzare la tendenza del tasso di interesse a salire sotto l’influenza dell’aumento della domanda di moneta sia come intermediario degli scambi che per ragioni speculative. A volte questo fattore può certamente avere un ruolo aggravante e, forse occasionalmente, di scintilla. Ma suggerisco che una più tipica e spesso predominante spiegazione della crisi non è da ricercare nel rialzo del tasso di interesse ma nell’improvviso collasso dell’efficienza marginale del capitale»

Vediamo ora, servendoci da questo grafico riassuntivo, di capire che cosa significa.

Prima della crisi

L’economia si trovava al punto A. Vediamo brevemente che cosa ci indicano i sei pannelli (la lettera D indica la domanda aggregata mentre la S indica sempre l’offerta aggregata):

Pannelli 1,2,3 – Mercato del lavoro e reddito aggregato

Nel punto di piena occupazione vengono impiegate 20 ore di lavoro al salario nominale di 10$ l’ora (pannello 1), per un reddito totale da lavoro dipendente pari a 200$ (pannello 2). Poiché Keynes (Teoria Generale) sosteneva che «i costi dei fattori produttivi hanno un rapporto costante con quello dei salari», possiamo assumere (pannello 3) che i redditi totali siano in rapporto costante con i redditi da lavoro (nel nostro caso 300$/200$, ovvero 3/2).

Pannello 4 – Spese totali

Il pannello 4 è il cuore dell’analisi keynesiana e del suo modello circular flow. La spesa di uno è il reddito di un altro e quindi le spese aggregate saranno uguali ai redditi aggregati. Quali sono le componenti della spesa aggregata?

Vi sono i consumi (componente stabile) i quali dipendono dal reddito tramite quella che Keynes chiamava propensione al consumo (in pratica, se la nostra propensione al consumo è 0.6, per ogni 100$ che riceviamo andremo a spenderne 60$) e gli investimenti (componente instabile) i quali non dipendono dal reddito ma solo dalle aspettative del futuro. Nel nostro caso il livello dei consumi è di 210$ mentre gli investimenti sono di 90$.

Pannello 5 – Frontiera delle possibilità produttive

Normalmente questa figura viene omessa dall’analisi macroeconomica ma è molto importante perché mostra quelli che sono i livelli di produzione sostenibili dall’economia. Secondo l’analisi keynesiana, prima dell’insorgere della crisi, l’economia si trovava lungo la frontiera delle possibilità produttive.

Pannello 6 – Mercato dei fondi mutuabili

Questo pannello, infine, mette in correlazione la domanda e l’offerta di fondi mutuabili, ovvero mette in correlazione i risparmi (Savings) con gli investimenti (Investments) tramite il tasso di interesse di mercato.

Arriva la crisi

Come abbiamo scritto in precedenza Keynes individuava la causa della crisi principalmente in un collasso repentino dell’efficienza marginale del capitale, aggravata poi dall’aumento del tasso di interesse dovuto all’incremento della domanda di moneta (maggiore preferenza per la liquidità).

«Torniamo a cosa accade all’inizio della crisi. Finché il boom continuava, molti dei nuovi investimenti non mostravano di avere un rendimento corrente non soddisfacente. La disillusione arriva perché improvvisamente sorgono dubbi riguardo la plausibilità dei rendimenti futuri, forse perché il rendimento corrente mostra segni di calo man mano che lo stock di nuovi beni durevoli aumenta. Se si pensa che i costi di produzione correnti sono più alti di quanto saranno in futuro, allora c’è un’ulteriore ragione per una caduta dell’efficienza marginale del capitale. Una volta che i dubbi si manifestano poi si diffondono rapidamente. Perciò all’inizio della recessione vi sarà molto capitale la cui efficienza è diventata nulla o anche negativa». (Keynes, Teoria generale, cap.22)

Nel grafico questo movimento si traduce in uno spostamento verso sinistra della domanda di investimento da D a D’ che quale si traduce in un livello di investimenti I’ minore di quello di pieno potenziale. Siccome poi i salari sono, nell’ipotesi keynesiana, rigidi verso il basso, la domanda di lavoro si sposta anch’essa da D a D’ ed il nuovo livello di occupazione (che non è al punto di incontro tra domanda ed offerta) è di sole 15 ore invece di 20. Da notare che se anche si lasciassero calare i salari il livello di occupazione sarebbe minore di quello pre-crisi. Il minor reddito fa sì che anche l’offerta di credito si sposti verso sinistra da S ad S’, lasciando inizialmente invariato il tasso di interesse.

Nel pannello 5 possiamo infine notare come l’economia sia precipitata all’interno della frontiera delle possibilità produttive (vi sono impianti chiusi, catene produttive ferme, etc.).

Subentra poi il fattore aggravante, ovvero l’incremento della preferenza per la liquidità

«Inoltre lo sgomento e l’incertezza sul futuro che accompagnano un collasso nell’efficienza marginale del capitale hanno come naturale conseguenza un brusco aumento della preferenza per la liquidità, e quindi un aumento del tasso di interesse. Perciò il fatto che un collasso nell’efficienza marginale del capitale tenda ad essere associato con un aumento del tasso di interesse può seriamente aggravare il declino degli investimenti» (Keynes, Teoria Generale, Cap. 22)

La curva di offerta di credito si sposta ulteriormente verso sinistra al livello S’’. Questo si traduce in un aumento del tasso di interesse ed in un livello di investimenti I’’. Il risultato è un aggravarsi della situazione che si stabilizza solo al punto B.

Il gap nella produzione di cui parlava Krugman è rappresentato dalla distanza tra i due punti A e B.

La soluzione keynesiana consiste nel “colmare” questo gap tramite una coordinata politica monetaria e fiscale. Innanzitutto le autorità monetarie devono neutralizzare la fuga verso la liquidità rendendo disponibile del denaro attraverso il mercato del credito (ΔMc) e riportare quindi il tasso di interesse al livello pre-crisi (freccia azzurra).

«Se una riduzione del tasso di interesse, da sola, fosse in grado di essere un effettivo rimedio allora potrebbe essere possibile ottenere una ripresa in modo veloce sotto il controllo, più o meno efficace, delle autorità monetarie. Ma questo non è ciò che succede normalmente». (Keynes, Teoria Generale, Cap.22)

Deve poi intervenire l’autorità pubblica la quale, tramite un livello di spesa G (detto quindi “stabilizzante”) va a colmare il gap e riporta l’economia nel punto A di pieno.

Sembrerebbe in pratica che debito e spesa pubblica siano le soluzioni della crisi. Ma è corretta quest’analisi? Come fanno spesa e debito ad essere contemporaneamente cause della crisi e loro soluzione? Per capirlo dobbiamo tornare a cosa era successo prima della crisi, durante il boom.

Hayek

La teoria austriaca del ciclo economico spiega che la fase di boom è causata da una politica monetaria espansiva che abbassa il tasso di interesse al di sotto del suo livello naturale. Poiché il sistema dei prezzi è il modo in cui il mercato segnala le informazioni ai suoi attori e dal momento che il tasso di interesse è sicuramente il prezzo più importante dell’economia, poiché permette la coordinazione della produzione nel tempo, l’intervento delle autorità monetarie ha conseguenze distruttive.

Vediamo dunque cosa accade al sistema produttivo (che ipotizziamo essere sulla frontiera delle possibilità produttive) quando il sistema bancario immette nell’economia della nuova moneta ΔM sotto forma di credito. Per prima cosa possiamo notare che, nel pannello Saving-Investment, l’offerta di credito si sposta verso destra , intersecando la curva di domanda nel punto A, cui corrisponde un tasso di interesse minore (i’ <>

Vediamo quali sono le reazioni delle famiglie e degli imprenditori.

Per le famiglie il tasso di interesse indica anche il costo opportunità che ricevono quando devono scegliere se consumare oggi oppure risparmiare e comprare in futuro. Se è molto basso questo significa che sono molto incentivate a consumare e pochissimo a risparmiare (gli interessi sul conto corrente sono bassi, i titoli "sicuri" rendono poco e così via). Una politica monetaria espansiva cambia temporaneamente le preferenze temporali dei consumatori e le orienta verso un consumo anticipato, spesso finanziato attraverso il ricorso al credito: è il cosiddetto consumismo. Nel grafico possiamo notare questa tendenza osservando che al tasso i’ le famiglie, che seguono ancora la curva S, risparmiano meno e, di conseguenza, consumano di più (freccia azzurra sul pannello della frontiera delle possibilità produttive).

Il messaggio che ricevono gli imprenditori è invece diametralmente opposto.


Se aumenta il credito a disposizione, ragionano questi ultimi, ciò sta a segnalare che i consumatori stanno risparmiando e che quindi saranno propensi ad aumentare i loro consumi in futuro: vi è quindi spazio per aumentare la produzione futura. Inoltre un tasso di interesse basso fa diventare appetibile tutta una serie di investimenti, specialmente quelli a lungo termine, che prima era considerata svantaggiosa.

Se l'espansione del credito aumenta la quantità di denaro disponibile, l'abbassamento del tasso di interesse da pagare sui prestiti definisce la qualità dell'investimento. In sintesi non solo viene espanso il credito oltre i limiti del risparmio reale (overinvestment) ma esso viene anche indirizzato verso attività speculative e rischiose, che hanno scarse possibilità di successo (malinvestment). Sulla frontiera delle possibilità produttive possiamo notare l’overinvestment (la freccia azzurra, mentre il triangolo di Hayek mostra il malinvestment (l’allungamento temporale della struttura produttiva)

Il livello di consumo ed investimento che si manifesta durante il boom, rappresentato nel grafico dal punto A, non si trova affatto lungo la frontiera delle possibilità produttive, ma al di là di essa, e non è quindi un punto sostenibile per l’economia.

Gli eccessi e le distorsioni che si sono verificate durante il boom non sono senza conseguenze. La nuova frontiera delle possibilità produttive, infatti, non solo è all’interno del punto A (non è quindi rappresentata dalla curva rossa tratteggiata), ma non è nemmeno più quella che si aveva all’inizio del boom (la curva blu). In realtà non possiamo dire molto riguardo la sua posizione ma ciò che raccomanda la scuola austriaca è che non si cerchi di interrompere il processo di liquidazione dei cattivi investimenti perché soltanto in questo modo l’economia può individuare la sua struttura sostenibile e ripartire.

Conclusioni

Alla luce delle analisi di Hayek è sbagliato e dannoso voler colmare il gap produttivo e cercare di riportare l’economia, a suon di stimoli fiscali e monetari, ai livelli che aveva prima dell’insorgere della crisi (tornare quindi al punto A). Non solo si impedisce al mercato di riscoprire qual è la sua struttura produttiva efficiente ma inevitabilmente si continuano a sprecare risorse proprio in quelle attività produttive che si sono sviluppate, durante il boom, in modo insostenibile, peggiorando ulteriormente la situazione generale.

Si pensi ad esempio al mercato dell’automobile: il biennio 2006-2007 ha visto un boom di automobili vendute (stimolato dagli incentivi alla rottamazione e dal credito facile). E’ forse lecito e ragionevole considerare il livello produttivo record del 2007 come l’obiettivo da raggiungere e rendere permanente a suon di sussidi, incentivi e rottamazioni forzate (si pensi alle limitazioni alla circolazione per le automobili più vecchie)?


Sorpresa! Ora la colpa della crisi è la moneta merce!

** Il post è stato modificato rispetto a suo testo iniziale **


Sul Sole 24 ore di qualche giorno fa, veniva presentato il libro di due docenti dell’Università Bocconi di Milano, Massimo Amato e Luca Fantacci, dal nome “La fine della Finanza”. Questo libro si propone di spiegare, sulla scia di quanto sosteneva Keynes, le ragioni della crisi finanziaria e di proporre una serie di rimedi per evitare che in futuro ce ne siano delle altre.

La tesi che traspare dall'intervista, ma non è detto che sia fedele a quanto contenuto nel libro, potrebbe far rabbrividire, viste le argomentazioni, chi segue la scuola austriaca di economia, ma dal momento che i due docenti sostengono di seguire la scia di Keynes può essere interessante (e divertente) vedere se hanno effettivamente seguito il pensiero dell’economista inglese oppure se ne hanno travisato completamente il contenuto.

Vediamo innanzitutto qual è, per Amato e Fantacci, la causa strutturale della crisi.

«Il vero nodo - dice Amato - è stato modificare la funzione stessa della finanza. Quest'ultima, in senso lato, riguarda l'apertura di un credito a favore di un soggetto cui viene anticipato del denaro per sviluppare, ad esempio, un'impresa. Una funzione essenziale per l'economia reale che presuppone, prima o poi, la chiusura del credito stesso». Non è un caso, quindi, che nel latino del tardo impero "Finantia" significasse «definizione amichevole di una controversia».

«È il "pagherò" della cambiale - fa notare Fantacci-, che, tuttavia, nel mercato finanziario si è trasformato in un "pagherò mai"» [..]«Grazie a tecniche come la cartolarizzazione, il creditore e il debitore sono stati "allontanati", non c'è più una relazione personale tra loro. È stato volutamente interrotto, scisso il rapporto tra le due parti. In questo modo il debitore ha potuto non solo posticipare il pagamento, ma rinviarlo all'infinito: il "pagherò" è stato, di fatto, trasformato in un "paghero mai". Una rivoluzione non solo economica ma, oserei dire, antropologica». Ma come è stato possibile arrivare a tanto? «È abbastanza facile da capire - risponde Fantacci - Il debito, magari subprime, è stato trasformato, anche grazie allo spacchettamento delle cartolarizzazioni, in un qualcosa comunque desiderabile, appetibile. Un titolo tanto più richiesto in quanto "gettato" nel fiume della liquidità che, per la sua stessa natura, ha la necessità di trovare una remunerazione, possibilmente sempre maggiore».

Non è affatto semplice riuscire a capire il pensiero di Amato e Fantacci. Viene infatti detto che:

- la finanza odierna si basa su debiti che non verranno mai pagati nella loro interezza

- la cartolarizzazione dei debiti ha separato debitori e creditori per cui questi ultimi non conoscono chi ha preso in prestito i loro soldi

- c’è un enorme fiume di liquidità alla ricerca di una remunerazione

- tutti i debiti, anche quelli subprime, sono diventati appetibili

Ma qual è l’ordine causale? Che cosa si intende per “fiume di liquidità” e chi lo ha creato? Ci sono state conseguenze nell’economia reale (qui si parla solo di finanza) oppure no? Come mai è insorta la crisi ad un certo punto? Nell'intervista non lo si spiega.

Si afferma soltanto che

Secondo quest'impostazione, quindi, la liquidità è uno dei problemi alla base della crisi...

La Scuola Austriaca di Economia propone anche una spiegazione approfondita di come mai un boom creditizio porti successivamente ad una crisi e di quale sia il ruolo della “liquidità”. Ma per Amato e Fantacci cosa significa “liquidità”?

«Sì. La liquidità, intesa come continua convertibilità di un titolo in moneta e viceversa, è la base strutturale di questo sistema»

Nel giro di due periodi si è passati dalla “liquidità” intesa come “fiume di denaro contante” a “liquidità” come “possibilità di convertire velocemente un asset finanziario in denaro contante”. Mi sembra di capire dunque che l’idea di Amato e Fantacci sia più o meno questa:

In questi ultimi anni si è avuto un aumento enorme dell’indebitamento di famiglie ed imprese. Una volta, quando due persone stipulavano una cambiale, il creditore rimaneva in possesso del titolo sino a scadenza, quando il debito veniva rimborsato. Ora invece i mercati finanziari permettono di impacchettare e rivendere i debiti e questi sono così appetibili da poter essere venduti (convertiti in moneta) in modo molto veloce sul mercato, cambiando di mano molte volte.

Quando però aumenta la preferenza per la liquidità ed in tanti vogliono convertire i loro asset in denaro contante, il prezzo dei titoli scende (quindi si alza il loro tasso di interesse) ed insorge la crisi. Questa spiegazione è, in un certo qual modo, l’interpretazione del pensiero keynesiano data da Krugman, ma Keynes aveva le idee un po’ diverse riguardo le cause del ciclo economico (Teoria Generale, Cap. 22)

«Ora, siamo stati abituati nello spiegare la crisi ad enfatizzare la tendenza del tasso di interesse a salire sotto l’influenza dell’aumento della domanda di moneta sia come intermediario degli scambi che per ragioni speculative. A volte questo fattore può certamente avere un ruolo aggravante e, forse occasionalmente, di scintilla. Ma suggerisco che una più tipica e spesso predominante spiegazione della crisi non è da ricercare nel rialzo del tasso di interesse ma nell’improvviso collasso dell’efficienza marginale del capitale»

Ma la “liquidità” da sola non sarebbe stata sufficiente senza il ruolo della moneta come “riserva di valore”

«La moneta intesa come riserva di valore -risponde Fantacci -. Com è noto, la currency attualmente è: unità di conto, mezzo di scambio e, per l'appunto, riserva di valore. Ecco, quest'ultima caratteristica è imprescindibile nel mercato finanziario: la moneta dev'essere una merce il cui prezzo è il saggio d'interesse. Se non ci fosse questo aspetto chi cede moneta non dovrebbe, né potrebbe, essere remunerato con il saggio d'interesse, per l'appunto».

Secondo Amato e Fantacci la moneta odierna sarebbe una “moneta merce il cui prezzo è il saggio di interesse” e questo a causa del fatto che la moneta è “riserva di valore”. A parte l'affermazione per cui la moneta odierna sia una “commodity money”, (una moneta di carta a corso legale può essere una moneta merce?) vale la pena di commentare l’assurdo secondo cui “il tasso di interesse è il prezzo della moneta”, che deriva da una errata interpretazione di quanto scritto da Keynes nella Teoria Generale.

Nella capitolo XIII, che si intitola “La teoria generale del tasso di interesse” Keynes dichiara che l’individuo, quando percepisce un reddito, si trova di fronte ad una doppia decisione:

«Le preferenze temporali di un individuo richiedono due momenti decisionali distinti per essere portate a termine. Il primo riguarda quell’aspetto della preferenza temporale che io chiamo propensità al consumo, che determina per ogni individuo quanto del suo reddito consumerà e quanto terrà a riserva sotto qualche forma per destinarlo a consumi futuri.

Ma dopo aver preso questa decisione, ce n’è una ulteriore che lo attende, ovvero, in quale forma detenere questo “diritto ad un consumo futuro” che si è riservato, sia che esso provenga dal suo reddito corrente o dai suoi risparmi passati. Vuole tenerlo sotto forma liquida (es. moneta o un suo equivalente)? Oppure è preparato a separarsi di questo suo diritto per un periodo specifico o indefinito, lasciando che siano le condizioni future di mercato a determinare in quali termini potrà, se necessario, convertire questo diritto a consumi futuri in immediata possibilità di consumo in generale? »

E quindi: il tasso di interesse, per Keynes, è la ricompensa per separarsi dalla liquidità per un dato periodo, ovvero è il costo opportunità del detenere denaro in forma liquida.

E’ ciò che sostengono Amato e Fantacci? No, ed infatti subito dopo Keynes scrive:

Il tasso di interesse è niente più che l’inverso della proporzione tra una somma di denaro e quanto può essere ottenuto separandosene per un determinato periodo di tempo in cambio di un titolo di debito.

Bisogna stare attenti a non confondere “costo opportunità” con “prezzo” in quanto se è vero che per prestare moneta (e percepire un interesse) l’individuo deve separarsene per un certo periodo, tuttavia la cessione della proprietà delle moneta non è definitiva. Allo stesso modo se affitto una casa ne cedo la proprietà per la durata del contratto ma nessuno si sognerebbe di affermare che l’affitto costituisce il prezzo della casa!

Poco più avanti Amato afferma:

«La prova si è avuta quando le banche centrali hanno inondato il mercato con "denaro frusciante". Ebbene, se fossero prevalse le caratteristiche di unità di conto e mezzo di scambio, la moneta sarebbe circolata tra gli istituti finanziari. Invece, le banche hanno tesaurizzato la liquidità. L'hanno considerata una merce, l'hanno messa "in magazzino", tenendo a mente essenzialmente la funzione di riserva di valore»

Si riferisce al fatto che quando la Fed, dallo scorso Ottobre, ha inondato le banche di denaro, queste ultime hanno aumentato le loro riserve presso la Federal Reserve invece di “far circolare la moneta nel mercato del credito”. Secondo Amato questo è avvenuto perché la caratteristica di “riserva di valore” della moneta ha prevalso sulle caratteristiche di “mezzo di scambio ed unità di conto”.

Che qui Amato e Fantacci abbiano abbandonato Keynes al suo destino e stiano seguendo una strada diversa e oramai fuori di dubbio. Keynes, per descrivere questa situazione, avrebbe infatti parlato di trappola della liquidità (Teoria Generale, Cap. XV)

«C’è la possibilità che dopo che il tasso di interesse è sceso ad un certo livello, la preferenza per la liquidità può diventare virtualmente assoluta nel senso che quasi tutti preferiscono il denaro contante rispetto ad un titolo di debito che offre un tasso di interesse così basso. In questo eventualità l’autorità monetaria avrebbe perso il controllo effettivo del tasso di interesse. »

In questa eventualità la soluzione di Keynes non è “eliminare la caratteristica di riserva di valore della moneta” ma

«Se questa situazione dovesse manifestarsi questo comporterebbe che l’autorità pubblica potrebbe prendere in prestito in maniera illimitata dal sistema bancario al tasso di interesse nominale. »

Detta in parole povere: se la politica monetaria non è efficace allora deve intervenire l’autorità pubblica per colmare il gap di output produttivo e ristabilire la piena occupazione.

Invece per Fantacci ed Amato la soluzione è

«eliminare la moneta-merce, in modo che gli istituti di credito tornino a focalizzarsi su quello che dovrebbe essere il loro reale core business, cioè svolgere l'attività d'intermediazione per garantire prestiti al mondo dell'economia reale».

Ovvero eliminare dalla moneta la caratteristica di “riserva di valore” pur mantenendo la sua funzione di mezzo di scambio ed unità di conto.

Questa idea, che ha tristemente tanti sostenitori, si fonda sull’assunto per cui la moneta non è altro che un lubrificante degli scambi e che quando questi avvengono essa sparisce e ciò che rimane è soltanto uno scambio di beni e servizi. Vediamo un esempio.

Gino il pizzaiolo ha appena sfornato una pizza margherita e desidera acquistare una birra. In un’economia di baratto dovrebbe cercare qualcuno che possiede la birra ed è disposto a scambiarla con la pizza ma in un’economia monetaria il tutto è molto più semplice:

Gino vende la pizza a Giorgio (che la desidera) per 4€ e poi si reca al bar dove usa i 4€ per comprare una bottiglia di birra. Alla fine degli scambi la moneta sparisce in quanto prima Gino possedeva la pizza mentre ora ha la birra.

E’ davvero così? Assolutamente no!

Infatti non è sparito nessun euro durante le transazioni (prima Giorgio aveva 4€ mentre ora li ha il barista)! Infatti, come scriveva Mises, non è corretto parlare di moneta “in circolazione” perché in qualsiasi momento tutta la moneta è nel portafogli o nel conto di qualcuno.

Il fatto che gli individui accettino di scambiare beni contro moneta (e che quindi la moneta sia mezzo di scambio) è dovuto al fatto che essi sanno che nel futuro potranno utilizzare quella moneta per ottenere altri beni (ed ecco la funzione di riserva di valore). Se questa aspettativa cessa, perché ad esempio le autorità monetarie iperinflazionano la moneta distruggendone il valore, allora gli individui cercheranno di disfarsi della moneta in loro possesso per acquistare beni reali (come è successo a Weimar, Zimbabwe, etc.) e quest’ultima cesserà anche di essere mezzo di scambio.

E questa è più o meno l’obiezione che lo stesso Keynes, pur condividendone i principi, faceva all’idea di Gesell di “far costare la tesaurizzazione della moneta” (Teoria Generale, Cap. 23)

«In particolare [Gesell] non sapeva che la moneta non è l’unica cosa a possedere un premio per la liquidità, diverso dagli altri beni soltanto per la sua grandezza, e che deriva la sua importanza per il fatto di avere il più grande premio per la liquidità rispetto agli altri articoli. Quindi se le banconote fossero deprivate del loro premio per la liquidità, una lunga serie di sostituti ne avrebbero preso il posto» (Es. oro, moneta straniera, metalli preziosi)

Insomma neanche Keynes, pur volendo provocare «l’eutanasia del rentier» ed «abolire la scarsità di capitale» (Teoria Generale, Cap. 22) non si sarebbe mai sognato di suggerire di privare la moneta della sua funzione di riserva di valore!

Ma quanti sono i keynesiani, che magari insegnano economia all’università, a non avere mai letto, né capito, Keynes?


Meglio o peggio del previsto?

Lo scorso gennaio, mentre l’Amministrazione Obama presentava al Congresso il piano di stimolo fiscale, i politici ed i media ci bombardavano con messaggi allarmanti e prevedevano una imminente catastrofe se il governo non avesse fatto qualcosa per impedirla.

Nancy Pelosi urlava che gli Stati Uniti stavano perdendo 500 milioni di posti di lavoro al mese, Obama avvertiva che non potevamo “permetterci di attendere e vedere se le cose miglioreranno” ma che dovevamo “agire subito”. Il team economico presidenziale inoltre aveva appena sfornato un rapporto in cui prevedeva i movimenti del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti con e senza il piano di stimolo.


Ora siamo a settembre ed i messaggi sono invece positivi e volti all’ottimismo:


La crisi è quasi finita”, annuncia Obama. Bernanke rilancia: “La crisi sta per finire”. Il Pil si sta comportando meglio del previsto (traduzione: rallenta il calo del PIL), gli Stati Uniti continuano a perdere posti di lavoro ma se ne perdono meno (traduzione: non è un corso di analisi matematica ma non sapevamo come addolcire la pillola. Intanto studiate che a settembre potremmo sfoderare la derivata terza)

Evviva! La crisi è finita, la locomotiva si sta rimettendo in moto, grazie al piano di stimolo di Obama!

Ed i posti di lavoro? Se l’economia va meglio del previsto questo vorrà ben dire che anche la disoccupazione avrà seguito il trend più favorevole, no?


Confrontiamo i dati previsti con quelli reali.


OOPS!


Non solo i dati sulla disoccupazione negli Stati Uniti sono peggiori delle previsioni del rapporto di gennaio ma questo è anche vero per entrambi gli scenari, con o senza stimolo fiscale!

Riassumendo: a gennaio è stato presentato un rapporto economico in cui il team economico di Obama faceva delle previsioni sul tasso di disoccupazione con o senza piano di stimolo fiscale. Queste previsioni si sono rivelate sbagliate ed il tasso di disoccupazione è oggi peggiore di quanto fosse previsto a gennaio in assenza di intervento del governo.

Come al solito gli "austriaci" avevano spiegato già a gennaio perché lo stimolo fiscale non avrebbe funzionato.



Scegli la tua "-flazione"

In mezzo a tutti gli "ottimisti" che sostengono che la crisi sia finita e che la ripresa è dietro l'angolo, ecco una "Cassandra" che ci avverte di cosa potrebbe accadere in futuro...

Scegli la tua -flazione

di Gary North

Una ci toccherà. Questo se le cose ci andranno di lusso. Se invece andranno secondo quanto precide la teoria austriaca del ciclo economico allora ce ne sorbiremo due o tre.

Gli Americani hanno vissuto sinora nell’occhio del ciclone monetario. I prezzi sono rimasti stabili. A luglio sia il Consumer Price Index che il Median CPI erano piatti rispetto a Giugno.

Dobbiamo considerare cinque –flazioni:

Deflazione

Inflazione

Stagflazione

Inflazione di massa

Iperinflazione

E’ meglio che le consideriamo tutte una per volta.

-flazione: monetaria o dei prezzi?

Dobbiamo sempre tenere a mente che ci sono due modi di definire una –flazione: (1) come un’alterazione dell’offerta di moneta; (2) come un’alterazione del livello dei prezzi.

Queste definizioni ci fanno considerare altre due questioni: (1) il poter definire accuratamente che cos’è la moneta; (2) il poter definire accuratamente che cos’è il livello dei prezzi. Entrambe le questioni sono problematiche.

La Federal Reserve tre anni fa ha messo da parte M3. Ci è stato detto che M3 è inutile come indicatore dei prezzi futuri. Ce n’è voluto di tempo. La Fed aveva ragione. M3 era la più ingannevole di queste M: M1, M2, M3, MZM. Ha sempre sovrastimato la possibilità di un’impennata nel CPI. Non c’è dubbio su quale sia la migliore M per effettuare queste previsioni: M1. Per leggere la mia analisi dettagliata sui perché, andate qui.

Inoltre ci sono molte più informazioni in una “M” che il solo prevedere i futuri prezzi al consumo. C’è anche il problema di prevedere il ciclo economico. Non c’è accordo su questo tra gli economisti.

Poi c’è il livello dei prezzi. Quale paniere di beni e servizi dovrebbero usare gli statistici? Quale rilevanza dovrebbero dare a ciascuno bene e servizio, tra le centinaia presenti? Questi pesi cambieranno col cambiare dei gusti del consumatore. Nessun indice rimane intatto col passare del tempo. Sono tutti revisionati quando ci sono dei grandi cambiamenti, dal CPI all’indice Dow Jones.

Io cerco i trend. Uso quindi M1 ed il Median CPI.

Il problema cruciale è la politica monetaria. Secondo la teoria austriaca del ciclo economico, esso viene determinato dalla politica monetaria decisa dalla banca centrale. I periodi di boom e bust sono il risultato dell’inflazione monetaria creata dalla banca centrale, seguita da un’espansione più ridotta. Le altre scuole di pensiero rigettano questa teoria. Beh, si sbagliano. Per una introduzione al soggetto potete leggere il quindi capitolo del mio mini-libro Mises on Money.

Deflazione

Molti di coloro i quali prevedono la deflazione hanno in mente la deflazione dei prezzi. Un numero ristretto pensa che possa avvenire una deflazione monetaria causata dalla bancarotta delle banche, ma è una posizione molto difficile da difendere. L’FDIC (fondo di garanzia sui depositi) può tenere le porte delle banche aperte. Non ci sono corse agli sportelli per ritirare denaro contante. Ci sono soltanto “corse” che riguardano il trasferimento di moneta elettronica verso altre banche. Questo non cambia l’offerta di moneta.

La deflazione dei prezzi può avvenire all’interno del mercato libero. E’ il risultato di un aumento della produzione in un’economia in cui c’è una moneta stabile. Da qui il mio slogan: “Più beni dietro la stessa quantità di moneta.” Un’economia in cui la moneta è l’oro fornisce questo mondo, almeno finché le banche centrali non proteggono le banche insolventi. La stessa cosa avviene in un sistema bancario con riserva al 100%, cosa che non abbiamo mai avuto. Questo non è lo scenario offerto dai deflazionasti.

Questo è il loro scenario. Le banche creano credito. La moneta di carta abbassa il tasso di interesse. La gente prende in prestito. E fin qui la descrizione è consistente con la scuola austriaca. Questa struttura del credito non è sostenibile. Anche qui ci siamo.

Ma ecco dove le opinioni divergono. I deflazionasti dicono che in generale la gente non può pagare i suoi debiti. Fanno bancarotta. I prezzi cadono. Non solo i prezzi nei settori in cui si è sviluppata una bolla ma tutti i prezzi.

C’è un problema con questo argomento. Se metà delle cose che compri normalmente costano meno, tu continui a comprarne la stessa quantità, o anche qualcosa di più, e poi compri anche qualcos’altro. Questo vale anche per i beni capitali.

Non metti i soldi nel materasso. Con quel denaro compri qualcosa che i prezzi in discesa ti han permesso di comprare. Compri di più di B quando il prezzo di A scende… o compri più di A.

E’ semplice, no? Ma quelli che si definiscono deflazionasti non lo capiscono o non lo credono.

Nel sistema c’è la stessa quantità di moneta. Ognuno ne possiede una porzione. Anche tu ed io. Entrambi ne vorremmo di più… a qualche prezzo. Ma la contrazione del credito di un mercato dopo lo scoppio di una bolla non va a colpire l’offerta di moneta se la banca centrale o il Tesoro o l’FDIC intervengono ed impediscono che il sistema bancario a riserva frazionaria imploda e si porti con sé tutta la moneta digitale creata.

Questa è logica economica. Se la logica non è corretta allora dovrebbe esistere una critica teorica dettagliata. O, vista la debolezza del pensiero umano, forse la logica non corrisponde alla realtà. Gli economisti sono famosi per costruire teorie dettagliate che non si conformano alla realtà. Ma la teoria dei prezzi in un’economia di mercato come risultato della domanda ed offerta di moneta in relazione alla domanda ed offerta di beni e servizi è lineare. E’ la base di tutta la teoria economica. Se la buttiamo via che cosa ci rimane della teoria economica?

Se una banca centrale crea un boom con la moneta di carta e poi cessa di inflazione, può creare deflazione. Come? Rifiutandosi di salvare le banche implose. Questo permette che l’offerta di moneta si contragga in seguito alla sparizione dei depositi delle banche commerciali fallite. Un sistema bancario a riserva frazionaria può implodere. Questo creerebbe una depressione deflazionarla. Non abbiamo visto niente di tutto questo sin dal 1934, quando è stato creato l’FDIC.

Non contate che avvenga una cosa simile. Almeno non ancora.

Inflazione

L’inflazione monetaria produce inflazione di prezzi. Su questo sia i monetaristi della scuola di Chicago sia gli austriaci sono d’accordo.

Se la banca centrale espande l’offerta di moneta, i prezzi saliranno. Questo processo impiega tempo. Gli economisti dibattono su quale sia il ritardo: 6 mesi, un anno, 18 mesi. Ma in ogni caso l’espansione monetaria farà salire i prezzi. La moneta nuova deve finire da qualche parte, deve andare nel conto in banca di qualcuno.

Se la banca centrale espande la base monetaria comprando degli asset, crea la moneta con cui li acquista. Chi possedeva quegli asset spende quei soldi. Se è invece il Tesoro a essere il destinatario, è il Congresso a spenderla. (sia nella teoria che nella pratica, se il Congresso mette le sue mani collettive su del denaro, lo spende. Tutti gli economisti sono d’accordo su questo punto)

L’espansione monetaria prodotta dalla banca centrale è la causa del boom economico e delle bolle speculative. L’espansione economica riduce temporaneamente il tasso di interesse. Qualcuno prende in prestito la moneta appena creata.

Gli Stati Uniti hanno sofferto l’inflazione monetaria dal 1914 al 1930. Quindi, dopo un triennio di pausa dato dal collasso delle banche, ne abbiamo sofferto di nuovo dal 1934 ad oggi. Il dollaro ha perso il 95% del suo potere d’acquisto dal 1914. No, non penso che il CPI ci dica esattamente questo. Ma posso seguire il trend. Ed il trend ci dice che i prezzi vanno sù ed il potere d’acquisto della moneta va giù.

Finché avremo la Federal Reserve che crea moneta, avremo inflazione dei prezzi. L’unica cosa che può ritardare questo processo è se la Fed aumenta il coefficiente di riserva o se le banche commerciali inviano le riserve in eccesso nei loro conti presso la Fed. L’effetto monetario è lo stesso: aumentano le riserve. Questo riduce il moltiplicatore dei depositi.

L’inflazione dei prezzi sotto al 10% annuo è ciò che chiamo inflazione. Ma prima che arriviamo a questo punto, soffriremo la stagflazione.

Stagflazione

Questo è il peso degli anni ’70. C’è stata una massiccia espansione monetaria accompagnata da enormi deficit pubblici. Il deficit federale nel 1970 era di 25 miliardi di dollari e lo stesso fu l’anno seguente. Impensabile!

La teoria keynesiana che era allora dominante sosteneva che i deficit federali avrebbero sconfitto le recessioni. La banca centrale doveva soltanto inflazionare abbastanza per coprire parte del deficit. Ma ci furono due grandi recessioni negli anni ’70. La disoccupazione salì ed i prezzi insieme a lei. La combinazione di questi due eventi fu chiamata stagflazione.

Che possiamo avere stagnazione economica nel mondo di oggi è ovvio. Quasi tutti gli economisti mainstream prevedono una lenta crescita per il prossimo anno. Prevedere la familiare ripresa a V non è più di moda al giorno d’oggi.Più tipica è la previsione di Muhammed El-Erian, CEO di PIMCO, il più grande fondo obbligazionario del mondo. L’ha chiamata “la nuova normale”.

La crescita economica sarà mitigata per un po’ e la disoccupazione alta; la pesante mano del governo sarà evidente in molti settori; il cuore del sistema globale sarà meno coeso e, con il modello anglosassone che perde sostenitori, alla finanza non verrà più accordato un ruolo preminente nelle economie post industriali. Inoltre il bilancio del rischio si sposterà nel tempo verso il rischio paese, aspettative di inflazione e la stagflazione.

Questo scenario è una combinazione di lenta crescita ed aumento dei prezzi. Oggi abbiamo nessuna crescita e prezzi stabili. Quindi una lenta crescita e prezzi in aumento non è niente di concettualmente troppo diverso.

Penso che la stagflazione sia probabile una volta che la ripresa arriverà Ma stiamo assistendo ad un enorme deficit federale. Ross Perot nel 1992 parlava di un forte suono di risucchio. Diceva che quel suono erano i posti di lavoro persi verso il Messico. Penso invece che quello sia il suono del governo federale che risucchia tutto il capitale in eccesso negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Questo denaro non andrà al settore privato.

Quale sono le basi si una ripresa economica sostenibile? Un incremento del capitale. Ma noi stiamo assistendo ad una distruzione del capitale.

Per un po’ soffriremo la stagflazione. Non sarà stagdeflazione ma staginflazione.

Che cosa mi aspetto? Crescita economica sotto il 2% annuo con i prezzi che aumentano del 5% o più all’anno.

Inflazione di Massa

Questo fenomeno apparirà quando il deficit federale non potrà essere più coperto dagli investimenti dei privati e dagli acquisti delle banche centrali straniere. E’ quasi certo che questo accadrà entro dieci anni. Penso che probabilmente potrebbe verificarsi prima della fine del prossimo incarico presidenziale. Penso che il fondo della Social Security cesserà di avere un surplus che oggi viene usato per comprare titoli del Tesoro. I gestori del fondo dovranno anzi vendere alcuni di questi titoli di debito al Tesoro e quest’ultimo dovrà emettere altri titoli per coprire queste restituzioni.

Questo stadio sarà l’indicatore che il modello odierno “prendi in prestito e spendi” è fallito. La FED dovrà intervenire per fornire la differenza tra i titoli di debito comprati dal pubblico ed i prestiti richiesti dal governo. Quando ciò accadrà il tasso di inflazione aumenterà e con esso anche i prezzi.

Definisco inflazione di massa come inflazione a due cifre sopra al 20% ma sotto al 40%. Gli americani non l’hanno mai avuti. Nessuna nazione industrializzata ha visto una cosa del genere se non dopo una grave sconfitta militare.

I mercati dei capitali saranno distrutti. Il governo assorbirà virtualmente tutto il nuovo capitale formato. Non ci sarà nessun incremento netto di capitale. Ci sarà solo consumo del capitale.

Il valore internazionale del dollaro cadrà. Ma le altre nazioni occidentali staranno seguendo politiche simili. Non è chiaro fino a quanto cadrà il dollaro. Dipende dal livello di competizione che le varie nazioni avranno nel distruggere la propria moneta. Ogni paese occidentale dovrà affrontare il giorno della resa dei conti: la bancarotta del sistema pensionistico/sanitario.

A quel punto la FED dovrà fare una scelta: premere sul freno o distruggere il dollaro.

Iperinflazione

Lo scenario peggiore è l’iperinflazione. Ludwig Von Mises ha chiamato questo stadio “crack-up boom”. Conduce alla distruzione della moneta. L’economia si muoverà verso il baratto o una moneta alternativa. La divisione del lavoro collasserà.

Nessuna nazione industriali moderna ha sofferto questo dopo la seconda guera mondiale. L’Occidente non è lo Zimbabwe. Non è un’arretrata nazione agricola che possiede ancora un sistema tribale funzionante per aiutare i suoi membri.

Pensa alle implicazioni del fatto che i tuoi soldi non possono comprare nulla. Come potresti vivere? Abiti in città. Sei dipendente da un complesso sistema di previsioni computerizzate e dalla distribuzione. Tutto questo è governato dal sistema dei profitti e delle perdite. Questo sistema cesserà di funzionare ad un certo punto. Ed è lì che l’economia passa ad un sistema monetario alternativo.

Questo significa distruzione di ricchezza di scala comparabile a quello di una guerra. Creerebbe un nuovo ordine sociale.

Non penso che la Federal Reserve lo permetterà. Questo distruggerebbe il nostro sistema bancario. Lo scopo non ufficiale della Fed, ma che è il suo incarico primario, è preservare le banche più grandi nel sistema bancario. Se l’alternativa è tra provvedere moneta di carta per finanziare il debito governativo e la distruzione del dollaro, la Fed cesserà di comprare titoli di debito.

Quello sarà il punto di svolta.

Deflazione

Ed allora avremo il crash. La Fed proteggerà le banche più grandi, che inghiottiranno tutti gli asset delle banche più piccole. Un sacco di piccole banche andranno sotto e con esse i loro depositi.

Avremo corse agli sportelli. La gente vorrà denaro contante. L’FDIC andrà in bancarotta. Le banche pure. E con esse il denaro dei correntisti. Sarà come in “It’s a Wonderful Life” ma senza la scappatoia delle 6 di sera (orario di chiusura).

E’ meglio che quel giorno tu abbia i tuoi soldi nella banca di Harry Potter piuttosto che nella Bedford Falls Building & Loans.

La contrazione della moneta digitale sarà accompagnata da una recessione molto seria. I fallimenti saranno diffusi. La disoccupazione potrebbe non salire ma solo perché era già salita tanta durante le fasi finali dell’inflazione di massa.

Ci sarà poi un periodo di ripresa. Il costo della ripresa dipenderà da quanto saranno state cattive le dislocazioni durante il periodo di inflazione di massa. Se saranno molto serie, come mi aspetto, il periodo della recessione sarà tollerabile solo se avrai del denaro ed un lavoro. Ma le strategie di investimento per salvaguardasi contro l’inflazione di massa produrranno delle perdite. Un set opposto di strategie apparirà. Essere un debitore durante l’inflazione di massa. Essere un creditore nella ripresa dopo l’inflazione.

Se la Federal Reserve interverrà nuovamente, si ripeterà il ciclo dall’inizio. Ma i numeri saranno più grandi.

Conclusione

Scegli la tua –flazione. Puoi provare a batterla ma ogni successiva –flazione minaccia il tuo capitale.

Stiamo entrando in un periodo di consumo di capitale negli Stati Uniti. Penso che questo problema affliggerà tutto l’Occidente. Le stesse promesse politiche sono state fatte. Saranno tradite.

Chi manterrà il suo tenore di vita durante queste –flazioni sarà davvero benedetto. Chi diventerà ricco avrà fatto un miracolo