Una modesta proposta... di riforma del sistema pensionistico

L’Europa ci chiede nuovamente di adottare misure per la crescita e per la riduzione del debito. Queste misure, per essere efficaci, non possono che prevedere contemporaneamente un taglio vero e deciso della spesa pubblica accompagnato ad una riduzione delle tasse (tutto il contrario di quanto deciso fino ad ora).

Siccome uno dei tasti dolenti della spesa italiana è il sistema pensionistico, ecco una modestra proposta di riforma per tagliarne la spesa, senza danneggiare “i meno abbienti” e colpendo solo “le pensioni d’oro”. Dovrebbe piacere molto alla sinistra, insomma.

Ad oggi si va in pensione con tre metodi diversi: sistema retributivo, contributivo o misto.

Il primo riguarda una fetta di lavoratori che entro il 1992 avevano versato almeno 15 anni di contributi previdenziali e quindi ad oggi sono già in pensione o stanno per andarci. Per queste persone la pensione non viene calcolata sulla base dei contributi effettivamente versati (e rivalutati nel tempo) ma sulla base degli ultimi stipendi (80% della media degli ultimi stipendi).

Il sistema contributivo, invece, prevede che la pensione verrà calcolata sulla base di quanto effettivamente versato dal contribuente, rivalutato in base alla crescita del PIL. Questo è il sistema con cui noi andremo in pensione, se lo schema di Ponzi non crolla prima.

Il sistema misto invece prevede una pensione calcolata in parte con il primo sistema ed in parte col secondo.

La mia modesta proposta vuole riguardare tutti quelli che, andando in pensione con il sistema retributivo e misto, ottengono, o hanno ottenuto, una pensione mensile lorda superiore ai 4000 €. Si procede quindi nel seguente modo:

1) Si ricalcola la pensione utilizzando il sistema contributivo

2) Se questo valore è superiore ai 4000 € lordi mensili, la nuova pensione sarà questa

3) Altrimenti la nuova pensione sarà 4000 € lordi

Il risultato è di abbattere tutte quelle super pensioni che non sono il risultato diretto di contributi versati (se hai pagato è giusto che ora recuperi il maltolto) ma di diritti acquisiti di tipo parassitario.


Ah dimenticavo, già che ci siamo, vediamo di eliminare tutti i vitalizi dei parlamentari vecchi e nuovi.


Ingannados

Come sempre il trucco è nella semantica, perchè le parole, non dimentichiamolo mai, sono molto importanti. Nel romanzo 1984 di Orwell, gli alti funzionari del Socing avevano inventato la neolingua come strumento per limitare la capacità di elaborare un pensiero critico e libero: eliminando certe parole si eliminavano anche le idee corrispondenti.

Le neolingua moderna, figlia del politically correct, agisce diversamente e punta invece a costruire false associazioni di idee e suscitare determinate emozioni. Ad esempio non si elimina dal vocabolario il significato della parola “libertà” ma lo si ripete alla nausea in determinati contesti (Casa delle libertà, forum delle libertà, popolo delle libertà, etc.) fino a quando la massa non può fare a meno di associare, pavlovianamente, quel termine alla figura di Berlusconi.
Ma è una tecnica bipartisan e con lo stesso automatismo siamo portati ad associare il termine “liberismo” alle politiche corporativiste delle amministrazioni Bush, negli Stati Uniti, e Berlusconi, in Italia, e sostenere che il pensiero che fu di Einaudi ha oggi il suo principale interprete nel Ministro Tremonti.
Così quando in agosto i titoli di debito pubblico dello stato italiano sono stati “attaccati” dagli speculatori ed il loro rendimento è salito, ci siamo sentiti tutti automaticamente vittime. Lo Stato “siamo noi” e se attaccano “i titoli di Stato” allora attaccano i nostri risparmi! Poco importa che magari, qualche mese prima, ci lamentavamo al bar di quanto poco rendessero i bot, evocando una presunta età dell’oro in cui il tasso di interesse era al 15%.

“Attaccano i nostri risparmi! Dobbiamo difenderci! Dagli allo speculatore!”

Giungeva però poco dopo il soccorso della cavalleria. La BCE si offriva di comprare i nostri titoli a un prezzo di favore ma a condizione che si effettuassero tutta una serie di interventi, contenuti in una misteriosa lettera firmata da Claude Trichet e dal suo successore Mario Draghi.

Qui la confusione si è fatta totale: tra spread, default più o meno controllati e ricapitalizzazioni ci siamo trovati in balia di parole di cui non conoscevamo appieno il significato e quindi, in assenza di altri meccanismi interpretativi, non abbiamo potuto far altro che affidarci alle “lezioni” di un qualche maestro, che magari puntasse il dito verso quelli che istintivamente individuavamo come colpevoli, e alla reazione pavloviana che alcune parole “chiave”, le poche che comprendevamo, suscitavano nel nostro animo.

Partiamo da quest’ultimo aspetto. Dall’estero si dice che la crisi del debito pubblico italiano è dovuta al fatto che “avevamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” e che ora dovevamo applicare una politica di austerità per risanare i conti pubblici e ripagare il debito.

La parola austerità ha un significato ben preciso, specialmente in Italia, ed evoca la necessità di consumare di meno, di fare dei sacrifici, di “tirare la cinghia” insomma. Poiché “lo Stato siamo noi”, o almeno questa è la prima associazione che ci viene in mente quando diciamo “Stato”, quei sacrifici li avremmo dovuti sopportare noi, sotto forma di nuove tasse e tagli al wellfare (che significa “benessere”, come si può voler tagliare il benessere? ).

Ma come ha fatto lo Stato italiano ad accumulare un debito di 1900 miliardi di euro (nel 2000 erano 1300 miliardi) quando l’opinione comune è che in questi dieci anni di governo (quasi sempre) berlusconiano si sia via via smantellato lo stato sociale?

Ed ecco le lezioni dei maestri che lo spiegano.

Sono state le banche che hanno indebitato gli Stati, richiedendo salvataggi per migliaia di miliardi! Lo Stato si è accollato il loro debito ed ora sono gli stessi banchieri a chiederci di fare macelleria sociale per ripagarlo! Dobbiamo tagliare la spesa a Sanità ed Istruzione per ripagare il debito ai banchieri?

In sintesi il ragionamento è più o meno questo. Il debito lo hanno fatto “loro”, ovvero i banchieri con le loro speculazioni fallimentari, ed è stato preso in carico dallo Stato, cioè da noi, per salvarli. Ora questi stessi banchieri ci chiedono di tagliare il wellfare, ovvero la spesa per il nostro benessere, per ripagare questo debito verso di “loro”.

Soluzione: il debito non lo paghiamo, lo facciano evasori e i ricchi, mentre invece aumentiamo la spesa per il wellfare e diamo un reddito garantito a tutti! Ecco spiegati gli Indignados.

Il problema è che, tolte le associazioni pavloviane e i (cattivi) insegnamenti dei maestri, le cose non sono andate affatto così.

Innanzitutto il debito italiano, ma anche quello di Grecia, Spagna e Portogallo non sono stati originati da salvataggi e nazionalizzazioni di banche in difficoltà ma da decenni di spesa allegra e senza controllo.

Non è nemmeno vero che la spesa pubblica è stata ripetutamente tagliata da questo e dai precedenti governi: è anzi sempre aumentata, così come anche le entrate tributarie (ricordate lo slogan “pagare tutti per pagare meno” ? La realtà è diversa). Allo stesso modo sono sempre aumentate sia la spesa per l’istruzione che la spesa sanitaria, anche se con trend di crescita inferiori rispetto alla spesa aggregata.

Se c’è una percezione di “diminuzione del welfare” allora i problemi sono altri e non è pompando altri soldi (quelli sì nostri!) nel buco nero della spesa pubblica che li si risolve: lo Stato spende circa il 50% della ricchezza prodotta in Italia, come possiamo definire questo governo iperliberista?

Dobbiamo rimettere insieme il significato “vero” di quelle parole scritte in precedenza per capire veramente dove sia il problema.

Quasi si parla di austerità ci si riferisce quindi al governo, non ai cittadini. Ripensando il ruolo dello Stato e tagliando tutte quelle spese improduttive (grandi opere, missioni di pace, sussidi alle imprese, spese per la “casta”, etc.) si può tagliare in maniera efficacie la spesa senza fare “macelleria sociale”. E’ lo Stato che deve tirare la cinghia!

Il debito poi non è saltato fuori dal nulla né è frutto del salvataggio delle banche italiane: è stato creato da decenni di spesa pubblica attuata da politici di ogni schieramento che hanno sempre pensato al breve termine (le prossime elezioni) e mai al futuro (chi lo ripagherà questo debito?) perchè tanto, come diceva Keynes, nel lungo periodo saremo tutti morti). Prima di chiedere un default allora ragioniamo se qualcuno dei titoli di stato che vogliamo stracciare non è per caso in portafoglio ai nostri genitori (il 50% è detenuto da soggetti italiani) e come reagirebbero gli investitori esteri. Non è bello vedere evaporare i propri risparmi e chi aveva investito in tango bond lo sa bene.

Chi presterebbe più denaro al governo italiano dopo un default da 1900 miliardi di euro?


Teoria e pratica


A New York si enuncia la teoria....














.... a Roma la si mette in pratica







"Pyramid-building, earthquakes, even wars may serve to increase wealth, if the education of our statesmen on the principles of the classical economics stands in the way of anything better"

J.M.Keynes, General Theory, cap.10

"It is, it seems, politically impossible for a capitalistic democracy to organize expenditure on the scale necessary to make the grand experiments which would prove my case — except in war conditions"

J.M.Keynes "The United States and Keynes plan", The New Republic, 29 luglio 1940


Indignados di ieri e di oggi...

La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Milano, le strade e le piazze brulicavano d’uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l’intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l’aveva proferito. Tra tanti appassionati, c’eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l’acqua s’andava intorbidando; e s’ingegnavano d’intorbidarla di più, con que’ ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell’acqua, senza farci un po’ di pesca. Migliaia d’uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe. Avanti giorno, le strade eran di nuovo sparse di crocchi: fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli altri applaudivano; questo faceva al più vicino la stessa domanda ch’era allora stata fatta a lui; quest’altro ripeteva l’esclamazione che s’era sentita risonare agli orecchi; per tutto lamenti, minacce, maraviglie: un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi.

Non mancava altro che un’occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò molto. Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de’ fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d’uno di que’ malcapitati ragazzi dov’era un crocchio di gente, fu come il cadere d’un salterello acceso in una polveriera. - Ecco se c’è il pane! - gridarono cento voci insieme. - Sì, per i tiranni, che notano nell’abbondanza, e voglion far morir noi di fame, - dice uno; s’accosta al ragazzetto, avventa la mano all’orlo della gerla, dà una stratta, e dice: - lascia vedere -. Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne. - Giù quella gerla, - si grida intanto. Molte mani l’afferrano a un tempo: è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza si diffonde all’intorno. - Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi, - dice il primo; prende un pan tondo, l’alza, facendolo vedere alla folla, l’addenta: mani alla gerla, pani per aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non era toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla facilità dell’impresa, si mossero a branchi, in cerca d’altre gerle: quante incontrate, tante svaligiate. E non c’era neppur bisogno di dar l’assalto ai portatori: quelli che, per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico, e via a gambe. Con tutto ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati poi con gli uni e con gli altri, c’eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co’ fiocchi. - Al forno! al forno! - si grida.

Nella strada chiamata la Corsia de’ Servi, c’era, e c’è tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome; nome che in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così salvatiche, che l’alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono (El prestin di scansc.). A quella parte s’avventò la gente. Quelli della bottega stavano interrogando il garzone tornato scarico, il quale, tutto sbigottito e abbaruffato, riferiva balbettando la sua trista avventura; quando si sente un calpestìo e un urlìo insieme; cresce e s’avvicina; compariscono i forieri della masnada.

Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere aiuto al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta la bottega, e appuntellano i battenti. La gente comincia a affollarsi di fuori, e a gridare: - pane! pane! aprite! aprite!

(continua)


Alessandro Manzoni - I promessi sposi, cap. XII


Eurolandia e la spazzatura

Il territorio di Eurolandia era costellata di una fitta serie di paesini più o meno grandi che nel tempo erano stati protagonisti di rivalità campanilistiche e dispute sui confini territoriali. Dopo l’ultima e più violenta di queste diatribe, i sindaci decisero che un progetto di integrazione dei servizi poteva servire per smorzare i campanilismi e consentire ai vari paesi di crescere in maggiore armonia.

Non sto a raccontarvi la storia completa di questo progetto ma vorrei soffermarvi sul problema della gestione dei rifiuti, perché è quello che maggiormente segnò il destino dell’Unione.

Ogni paesino, infatti, aveva il problema di gestire la raccolta rifiuti, alcuni si rivolgevano all’interno, altri ad agenzie esterne, pagando tariffe diverse e, bisogna dirlo, alcuni anche molto alte. Non era un caso: questi paesi producevano proprio tanta spazzatura e raccoglierla tutta diventava ogni giorno sempre più difficile.

Si decise quindi di integrare i servizi dei vari paesi creando l’Unione di Eurolandia e la raccolta rifiuti fu proprio il più importante dei servizi gestiti in comune.

Venne inviata Angela, il borgomastro di Allemandia, in modo che utilizzasse la sua reputazione (il suo paese era quello con meno sporcizia per le strade) per negoziare tariffe più vantaggiose per tutti. Si pensava poi che i vari comuni, avendo meno spese per la raccolta rifiuti, avrebbero sfruttato i risparmi per incentivare la raccolta differenziata, promuovere politiche a “rifiuti zero” e così via.

Non fu così, fu l’opposto.

Il basso costo per la raccolta rifiuti eliminò anche quelle poche e limitate remore che vi erano state fino ad allora. Non preoccupatevi della spazzatura, di diceva, non è un problema! Buttatela pure per strada, tanto finché esiste l’Unione passeranno a raccoglierla e costerà poco!

Per un po’ andò davvero così ma ad un certo punto in alcuni paesi vi erano così tanti rifiuti per strada che i netturbini si rifiutavano di passare a raccoglierli, almeno al salario che veniva loro pagato fino a quel momento! Volevano almeno il doppio o il triplo per passare in Lusitania o Esperia, mentre di andare a raccogliere i rifiuti in Acaia non ne volevano proprio sapere!

Alcuni cittadini, specialmente quelli di Allemandia, suggerirono che la gestione unificata dei servizi era un disastro e bisognava uscirne finché si era in tempo ma i sindaci erano tutti d’accordo nel continuare l’esperimento.

Si decise allora di procedere in questo modo: durante la notte squadre scelte di Bonificatori Derattizzatori di Eurolandia, da tutti chiamati Euro Bond, prelevavano immondizia dai paesi più disastrati per spargerla in quelli più “puliti”. In questo modo si uniformava un po’ la situazione, facendo aumentare la tariffa per tutti ma permettendo alla raccolta integrata di continuare.

Ovviamente gli abitanti dei quartieri più “virtuosi” non furono affatto felici di ritrovarsi spazzatura non loro per le strade e pagare tariffe più alte per salvare quegli irresponsabili dei paesi “sporcaccioni”.

Dai piani alti però si disse chiaramente che oramai non si poteva più tornare indietro e che i problemi erano dovuti al fatto che la gestione dei servizi era centralizzata ma ogni paese aveva una propria amministrazione; se invece si fosse gestito tutto a livello centrale le cose sarebbero di molto migliorate....

Siamo sicuri di voler conoscere il finale di questa storia?


Diritti acquisiti

Una piccola locuzione, sono due semplici parole, eppure così densa di significato, sia politico che economico, formidabile veicolo di emotività, oggetto di attacchi feroci e difese spassionate.

“I diritti acquisiti vanno eliminati! Non si può! Eliminate quelli degli altri, non i miei!”

Questo è in sintesi il dibattito politico italiano su come tagliare la spesa pubblica, evidentemente senza uscita, ed è fondato tutto su quella piccola maledetta locuzione citata in apertura.

Diritto. Il richiamo è alla Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789 dove curiosamente, però, non si trovano accenni a pensioni di anzianità e vitalizi dei parlamentari. Come mai? La risposta è semplice: nella dichiarazione del 1789 si parlava dei diritti negativi (diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà, etc.), così chiamati perchè lo Stato ha il dovere di non impedirne l’esercizio ai suoi cittadini.

Ma non son questi i diritti acquisiti per cui s’azzuffano in Parlamento e nei dibattiti televisivi, sono altri. Sono quei diritti a cui corrisponde una prestazione da parte di tutti gli altri: se un politico ha diritto ad un vitalizio, qualcuno lo dovrà pur pagare: noi. Siamo quelli che William Graham Sumner chiamava “gli uomini dimenticati”, costretti ad accollarci prestazioni che altri hanno deciso e su cui non abbiamo alcun potere decisionale effettivo.

Ogni tanto però siamo anche dalla parte “giusta” del processo redistributivo, siamo noi a ricevere, e quindi ci sembra che i nostri “diritti” siano sacrosanti ed intoccabili.

Ne avevamo..... diritto! Guai a chi ce li tocca!

Se poi il “processo di acquisizione” di questi diritti sia stato poco limpido e questi ultimi siano privilegi parassitari poco importa. Ormai sono nero su bianco, acquisiti appunto, e quindi non si possono più toccare!

E così ci cadon dentro tutti e con il “tagliate agli altri ma non a me” si finisce per non tagliare un bel niente: altre tasse sulle spalle dell’uomo dimenticato.

Proviamo a sostituire “diritti” con “privilegi” ed “acquisiti” con “concessi dalla Casta” e vedrete che, chiamandoli così, sarà molto più semplice eliminarli.