Possiamo ancora evitare l'inflazione? (parte prima)

Il professor Krugman, dalle pagine del New York Times, fa sapere che tutte queste chiacchiere sull'inflazione sono prive di fondamento e che anzi sono solo un tentativo dei Repubblicani per gettare discredito sul grande programma di salvataggio del Presidente Obama.

Sarà, ma guardando i grafici dell'offerta di moneta negli Stati Uniti qualche dubbio mi viene.

Il saggio seguente è tratto da una lezione di Friedrich Hayek tenuta davanti al Trustees and guests of the Foundation for Economic Education a Tarrytown, New York. Era il 1970 ma potrebbe essere oggi.


Possiamo ancora evitare l’inflazione?

di Friedrich A. Hayek

In un senso la domanda posta nel titolo è puramente retorica. Spero che nessuno di voi abbia sospettato che io dubitassi, anche solo per un momento, che esistesse qualche sorta di problema tecnico per fermare l’inflazione. Se le autorità monetarie davvero volessero farlo e fossero preparate per le conseguenze, lo potrebbero sempre fare dall’oggi al domani. Loro controllano saldamente la base della piramide del credito ed un annuncio credibile di non voler più aumentare la quantità di banconote in circolazione e di depositi bancari e, se necessario, andare a ridurli, sarebbe sufficiente. Su questo non ci sono dubbi tra gli economisti. Ciò che mi preoccupa non sono le questioni tecniche ma quelle politiche.

Qui, davvero, dobbiamo affrontare un’impresa così difficile che più e più persone, anche altamente competenti, si sono rassegnate all’inevitabilità di una continua ed interminabile inflazione. Non conosco infatti nessun serio tentativo di mostrare come superare questi ostacoli che non sono nel campo monetario ma in quello politico. Ed io stesso non posso dire di possedere una medicina brevettata che ritenga applicabile ed effettiva nelle condizioni attuale. Ma non considero che sia un’impresa al di là delle possibilità dell’ingegno umano, una volta che l’urgenza del problema sia compresa in modo generale. Il mio principale scopo stanotte è di spiegare chiaramente perché dobbiamo fermare l’inflazione se vogliamo preservare un’effettiva società di uomini liberi. Una volta che questa necessità è pienamente compresa, spero che la gente raccoglierà il coraggio per afferrare le catene che devono essere abbattute se gli ostacoli politici devono essere rimossi e se vogliamo avere una possibilità di ripristinare un’economia di mercato funzionante.

Nei libri di testo scolastici di economia, e probabilmente anche nell’opinione generale, viene considerato seriamente solo un effetto dannoso dell’inflazione, ovvero la relazione tra debitori e creditori. Ovviamente un non previsto deprezzamento del valore della moneta danneggia i creditori e beneficia i debitori. Questo è un effetto importante ma sicuramente non il più importante dell’inflazione. E siccome sono i creditori ad essere danneggiati ed i debitori a beneficiare, la maggior parte delle persone non se ne preoccupa troppo, al meno fino a quando non realizza che nella società moderna la più numerosa ed importante classe di creditori sono i lavorator ed i piccoli risparmiatori, ed il più rappresentativo gruppo di debitori che approfitta subito dell’inflazione sono le imprese e le istituzioni di credito.

Ma non voglio soffermarmi troppo sull’effetto più famigliare dell’inflazione, che è anche quello che viene corretto più prontamente. Venti anni fa avevo ancora qualche difficoltà a convincere i miei studenti che se si fosse previsto un incremento del livello dei prezzi del 5% , allora potevamo aspettarci un tasso di interesse nell’ordine del 9-10 percento o anche più alto. C’è ancora qualcuno che sembra non aver capito che tassi di interesse di questo genere sono destinati a continuare sino a quando continua l’inflazione. Tuttavia, fin quando le cose vanno così, e fin quando i creditori comprendono che sono parte del loro guadagno è netto, almeno per quando riguarda i prestatori a breve termine c’è poco spazio per le lamentele, anche se i creditori a lungo termine, come i possessori di titoli di debito governativi, sono in parte espropriati.

C’è però un altro e più infido aspetto di questo processo che devo almeno brevemente menzionare a questo punto. E’ il fatto che tutte le pratiche di contabilità vengono stravolte e vanno a mostrare profitti in eccesso a quelli che sono i guadagni reali. Certamente, un manager saggio può tenere in considerazione anche questo particolare, almeno a livello generale, e considerare come profitto solo ciò che rimane dopo aver tenuto conto del deprezzamento del denaro in merito ai costi di mantenimento del capitale. Ma l’esattore delle tasse non gli permetterà di farlo ed insisterà invece nel tassare tutto lo pseudo-profitto. Questo metodo di tassazione si traduce in confisca di parte del capitale, ed in caso di rapida inflazione può diventare un problema molto serio.

Ma tutto ciò è ben risaputo e ve lo volevo solo ricordare brevemente prima di passare ad un altro effetto meno apparente, ma per questo motivo più pericoloso, effetto dell’inflazione. Tutta l’analisi convenzionale dell’inflazione fatta nei testi scolastici procede come se ci fosse un aumento medio dei prezzi, intendendo che tutti i prezzi aumentano più o meno della stessa percentuale e che questo vale per tutti i prezzi determinati sul mercato, lasciando fuori solo pochi prezzi fissati per decreto o i contratti a lungo termine, come le tariffe dei beni pubblici, gli affitti ed altro. Ma questo non è né vero né possibile. Il punto cruciale è che fin tanto che il flusso di moneta spesa continua ad aumentare ed i prezzi di beni e servizi sono spinti verso l’alto, i singoli prezzi devono salire, non contemporaneamente ma in successione, e quindi, finché questo processo continua, i prezzi che aumentano per primi rimarranno sempre davanti agli altri. La distorsione della struttura dei prezzi sparirà soltanto un po’ di tempo dopo che il processo inflazionarlo si fermerà. Questo è un punto cruciale che il nostro maestro, Ludwig Von Mises, non si stancava mai di enfatizzare negli scorsi 60 anni. Sembra tuttavia necessario trattarlo in modo adeguato dal momento che recentemente ho scoperto, con stupore, che questa affermazione non era condivisa ed anzi esplicitamente negata da uno dei più famosi e distinti economisti viventi. [1]

Che l’ordine in cui un continuo aumento del flusso monetario alza i singoli prezzi sia cruciale per comprendere gli effetti dell’inflazione era chiaro già più di 200 anni fa a David Hume e prima di lui a Richard Cantillon. Era proprio per cercare di eliminare questo effetto che Hume ipotizzava, come prima approssimazione, che ogni mattino ogni cittadino di un paese si svegliasse trovando il suo stock di moneta miracolosamente raddoppiato. Ma anche così i prezzi non sarebbero tutti aumentati immediatamente della stessa percentuale. Ma non è così che avviene nella realtà. Il flusso della moneta addizionata al sistema avviene sempre in qualche punto particolare. Ci sono sempre persone che hanno più denaro da spendere prima degli altri. Chi sono queste persone dipende dal modo particolare in cui avviene l’aumento del flusso di moneta. Ad questo denaro può essere speso dal governo in opere pubbliche o aumentando i salari, oppure può essere prima speso dagli investitori che lo prendono in prestito, può essere spento in obbligazioni, in beni di investimento, in salari o in beni di consumo. Poi sarà speso in qualcosa di diverso dai primi destinatari della spesa originaria, e così via. Il processo prenderà molteplici strade a seconda della fonte (o delle fonti) iniziale della moneta addizionale e le sue ramificazioni saranno presto così complesse che sarà impossibile tenerne traccia. Ma una sola cosa sarà comune a tutte queste forme differenti di questo processo: che i singoli prezzi aumenteranno, non allo stesso tempo, ma in successione e che fin quando il processo continuerà alcuni prezzi saranno sempre avanti agli altri e tutta la struttura dei prezzi relativi sarà molto differente da quella che i teorici puri chiamano posizione di equilibrio. Ci sarà sempre quello che potremmo chiamare “gradiente dei prezzi” a favore dei beni e servizi che sono investiti per primi dal flusso monetario ed a sfavore dei successivi gruppi che sono raggiunti solo più tardi – con l’effetto che l’aumento, nel suo complesso, non sarà livellato ma come in un piano inclinato – se consideriamo normale il sistema dei prezzi che esisteva prima che l’inflazione iniziasse e che verrà ripristinato qualche tempo dopo la sua fine.

A questo cambiamento nella struttura dei prezzi, se è durato per qualche tempo e c’è aspettativa che continui, corrisponderà ovviamente un simile cambiamento nell’allocazione delle risorse: verrà prodotto di più, in termini relativi, di quei più beni e servizi il cui prezzo ora è comparabilmente più alto e di meno per quelli il cui prezzo è comparabilmente più basso. Questa redistribuzione delle risorse produttive persisterà fino a quando l’inflazione continuerà a quel tasso. Vedremo che questo stimolo a certe attività, o al volume di alcune attività, che viene continuato fintanto che l’inflazione continua, è uno dei modi in cui anche l’inflazione di oggi ci pone un dilemma, perché se smettiamo di inflazionare allora necessariamente alcuni dei posti di lavoro che l’inflazione ha creato saranno distrutti.

[1] [Vedi la critica di Hayek's a John Hicks nel suo articolo, "Three Elucidations of the Ricardo Effect," Journal of Political Economy (March-April 1969): 274 ed.]