L'angolo Nostradamus: Il DPEF e l'Italia

In questi giorni si sta approntando il cosiddetto DPEF (Documento di programmazione economica e finanziaria). Che cos’è? E’ un documento in cui lo Stato inserisce le sue previsioni per l’andamento dell’economia nel medio termine (di solito per i tre anni che seguono) e stabilisce gli obiettivi che intende raggiungere (debito pubblico, rapporto deficit/PIl, etc.)

Il documento appena presentato prevede, per il 2009, un calo del PIL di circa 5,2 punti percentuali ma è ottimista per il 2010, ipotizzando una ripresa economica con una crescita dello 0,5%.

Come sempre, quando vengono fatte delle previsioni, può essere interessante (e divertente) vedere che cosa era stato detto in passato in modo da valutare quanto siano affidabili i “modelli economici” sui quali si basano questi dati (a meno che Tremonti e Berlusconi tirino un grosso dado percentuale per stabilirli)

DPEF 2008-2001: Governo Prodi – Ministro Padoa Schioppa (2007)

Nel 2008 il tasso di crescita del prodotto interno lordo dovrebbe risultare pari all’1,9 per cento. Nel triennio successivo la crescita media annua del PIL si attesterebbe all’1,7 per cento.

DPEF 2009-20013: Governo Berlusconi – Ministro Tremonti (2008)

In base alle attuali proiezioni, nel 2009 il tasso di crescita del prodotto interno lordo risulterebbe pari allo 0,9 per cento. [..] Nel quadriennio successivo la crescita media annua del PIL si attesterebbe leggermente al di sotto dell’1,5 per cento.

Possiamo stare tranquilli!


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Vorrei lasciarti un link per sapere cosa ne pensi.
E' chiaramente un OT, ma credo solo in parte.
http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/256-llo-stranieror-intervista-a-walden-bello-deglobalizzare-il-pianeta.html

Fabrizio

Ashoka ha detto...

Partiamo da qui

Mi capita spesso di ricordare che la mia analisi è fortemente debitrice delle tesi sviluppate da Rosa Luxemburg in quel libro lucido ed essenziale che è L’accumulazione del capitale, dove si sostiene che per estendere i tassi di profitto il capitalismo abbia bisogno di incorporare nel sistema sempre nuove aree del mondo, che siano semi-capitalistiche, non-capitalistiche o pre-capitalistiche. In questo senso io credo che la globalizzazione e la continua integrazione nel sistema capitalistico di nuove parti del mondo sia da intendere come una risposta alla crisi da sovrapproduzione piuttosto che una nuova e qualitativamente più elevata fase del capitalismo.

Marx sosteneva che il saggio di profitto dei capitalisti era destinato irrimediabilmente a scendere a causa dell’utilizzo sempre maggiore del capitale (ricordati che il profitto veniva ricavato sfruttando il lavoratore e quindi se hai meno lavoratori = meno profitti). Quando questo non si è verificato, la seconda generazione di marxisti, tra cui Rosa Luxemburg, ha sostenuto che questo fosse avvenuto proprio grazie all’imperialismo ed a quel meccanismo che descrive Walden Bello. Ora è chiaro che questa tesi è in sé sbagliata (l’andamento del tasso di profitto non è destinato a scendere) e questa globalizzazione non è figlia del capitalismo ma di qualcos’altro.

Anche questa tesi, ovvero la crisi di sovrapproduzione, è figlia della teoria marxista

La crisi economica a cui stiamo assistendo da alcuni mesi può essere meglio compresa proprio se la intendiamo come crisi da sovrapproduzione, e deriva dalla straordinaria capacità produttiva del sistema capitalistico che supera e contraddice la limitata capacità di consumo e d’acquisto della popolazione, causata dalle continue e crescenti disuguaglianze nell’ambito della sfrenata competizione tra attori capitalisti.

In realtà, come spiega la teoria economica austriaca spiega molto bene quale sia la causa della crisi e non è il fatto che la popolazione abbia una limitata capacità di consumo e di acquisto….

Per Bello poi IMF, Banca Mondiale, etc. sono tutte istituzioni figlie del Capitalismo che cerca di espandere i mercati, controllare il mondo, etc. In realtà qui il Capitalismo non lo si vede da tempo mentre è ben visibile il Neocorporativismo in cui gli Stati favoriscono alcune grandi corporation e queste ultime remunerano bene i politici loro favorevoli.

Quando pensi al Capitalismo negli Stati Uniti pensi al pensiero di Ron Paul, non certo a quello di Cheney!

Nelle soluzioni poi Bello non dice cose tanto diverse da tanti altri… intervento dello Stato, chiusura dei mercati internazionali (ovvero protezionismo), etc.

Queste non sono soluzioni alla crisi…