Economisti,studiate la storia!

In un pezzo tradotto dal Sole 24 ore Bradford De Long accusa sostanzialmente i macroeconomisti di non conoscere la storia dell’economia moderna, che è costellata di bolle speculative seguite da recessioni.

«Se chiedeste a uno storico di economia moderna come il sottoscritto perché il mondo si trova attualmente nella morsa di una crisi finanziaria e di una grave flessione economica, vi direbbe che questo è soltanto l'ultimo episodio in ordine di tempo di una lunga sfilza di bolle, crack, crisi e recessioni simili risalenti quanto meno alla bolla dei primi anni Venti dell'Ottocento dovuta alla costruzione di canali, il fallimento nel 1825-1826 di Pole, Thornton & Co, e alla successiva prima recessione industriale in Gran Bretagna. Abbiamo assistito al medesimo fenomeno anche in altri momenti della storia, nel 1870, nel 1890, nel 1929, e nel 2000. »

De Long va avanti e sottolinea che

«Per qualche motivo, i prezzi degli asset vanno fuori controllo e salgono a livelli insostenibili. Talvolta ciò è da imputare agli scadenti controlli interni alle società che remunerano in maniera spropositata i propri dipendenti per correre dei rischi. Altre volte causa di tutto sono le garanzie governative. Infine, altre volte ancora ogni cosa è semplicemente da ricondurre a una lunga serie di avvenimenti propizi che lascia che il mercato cada in preda a un ottimismo per nulla realistico.
Poi, però, arriva il tracollo, e quando ciò accade crolla di conseguenza anche la ritenzione del rischio: tutti sanno che si verificano immense perdite negli asset finanziari di cui non si è consapevoli, ma nessuno ha la più pallida idea di dove siano. Al crollo fa seguito una vera e propria fuga per la salvezza, seguita a sua volta da una brusca caduta nella velocità della circolazione monetaria, a mano a mano che gli investitori accumulano contanti. E questa caduta nella velocità della circolazione monetaria provoca una recessione
»

Scadenti controlli, remunerazione eccessiva, garanzie governative, avvenimenti propizi che fanno sì che il mercato cada in preda ad un ottimismo non realistico… investitori che tesaurizzano moneta e provocano la recessione. Non manca qualcosa a questa storia?

Nel resto dell’articolo la critica di De Long colpisce i macroeconomisti mainstream ed è tutto sommato condivisibile ma vorrei sfruttare l’appello di De Long ad

«ascoltare e imparare da Dick Sylla la storia del salvataggio bancario di Alexander Hamilton del 1825; da Charlie Calomiris la storia di Overend, la crisi Gurney; da Michael Bordo la storia della prima bancarotta dei fratelli Baring; e da Barry Eichengreen, Christy Romer, e Ben Bernanke la storia della Grande depressione»

Proviamo però ad ascoltare la storia da un punto di vista diverso, che riesce a trovare un fattore comune a tutte queste sequenze di boom e bust.

Il panico del 1819

Per questa crisi, la prima negli Stati Uniti dovuta al fenomeno del ciclo economico , il nostro storico di riferimento è Murray Rothbard con il suo libro “The panic of 1819”.

Il panico del 1819 è stato la prima grande crisi economica degli Stati Uniti. Per la prima nella storia americana c’è stata una crisi di portata nazionale che non poteva essere semplicemente e direttamente attribuita a specifiche dislocazioni oppure a restrizioni come carestie o embarghi.

Rothbard ci racconta che questa crisi nacque come conseguenza dei provvedimenti presi durante la guerra del 1812, in cui il governo degli Stati Uniti si indebitò largamente per finanziare il conflitto. Questa grande richiesta di fondi fu soddisfatta dal sistema bancario che ne approfittò per emettere nuove banconote le quali però non erano garantite da nessun deposito di oro. Quando i possessori di banconote chiesero di convertire i propri pezzi di carta in moneta sonante questo provocò una crisi bancaria ed il governo autorizzò le banche a sospendere i pagamenti (ovvero a potersi rifiutare di convertire le banconote in oro).

Liberate dalla costrizione di mantenere una riserva aurea, le banche furono in grado di espandere ancora di più le loro emissioni di moneta cartacea, dando vita ad un boom creditizio. Quando nel 1816-1817 la situazione sembrava precipitare, il Congresso autorizzò la creazione di una banca nazionale (la Second Bank of United States) che aveva l’incarico di creare banconote garantite da riserva aurea e fornire al paese una moneta sana. In realtà questa banca nazionale, antenata della Fed, non fece altro che unirsi al coro inflazionista.

Dove finirono tutti questi soldi? Nel mercato immobiliare e ….. nel Mercato Azionario di Wall Street, che nasceva ufficialmente proprio nel 1817, nel bel mezzo della bolla speculativa!

Dopo il boom seguì la recessione, non ci fu nessun New Deal, nessuna Grande Depressione, il governo non fece nulla e nel 1821, liquidati i cattivi investimenti, l’economia ripartì.

Il fallimento di Pole, Thornton & Co - 1825

Ci spostiamo ora in Inghilterra dove durante le guerre napoleoniche, per finanziare le enormi spese del conflitto, era stato abbandonato il gold standard e la Bank of England aveva potuto inflazionare a suo piacimento la moneta, tra il 1797 ed il 1821. Il ritorno al gold standard fu drastico perché l’intenzione era quella di ritornare al livello di parità tra sterlina ed oro che esisteva prima della guerra ma nel 1823 l’economia sembrava essersi rimessa in sesto. A questo punto, racconta Rothbard in “History of Economic Thought: Classical Economics”:

«L’espansione creditizia attuata dalla Bank of England fece da apripista in questo nuovo boom inflazionario, aumentando il totale di crediti concessi da 17,5 milioni di sterline nell’Agosto 1823 a 25,1 milioni di sterline due anni dopo, un enorme incremento del 43% o del 21,7% annuale. Gran parte del boom monetario e creditizio venne alla luce tramite investimenti in azioni altamente speculative di imprese minerarie in America Latina. [..] Entro la fine del 1824 i cambi internazionali divennero sfavorevoli e l’oro iniziò a defluire all’estero; entro l’anno seguente, i Britannici iniziarono a domandare oro dalle loro banche in maniera crescente. [..] Seguirono le corse agli sportelli ed il panico. [..] Pole, Thornton & Co. Andò sotto, nonostante il tentativo di salvataggio all’ultimo minuto tentato dalla Bank of England

Altro boom inflazionistico, altra recessione.

Il panico del 1837

Torniamo agli Stati Uniti dove la Second Bank of the United States non doveva aver imparato la lezione perché, come racconta Rothbard in “History of money and banking in the United States

«L’inflazione dei prezzi iniziò nei primi anni ’30 quando i prezzi all’ingrosso raggiunsero un livello di 82 nel Luglio 1830 per poi salire del 20,7% in tre anni e raggiungere un livello di 99 nell’autunno del 1833. La ragione di questa crescita è semplice: l’offerta di moneta era cresciuta da 109 milioni di dollari nel 1830 a 159 milioni nel 1833, un incremento del 45,9% o del 15,3% annuo. [..] Senza dubbio l’espansione monetaria fu condotta dalla Second Bank of United States che aumentò le sue banconote e depositi da 29 milioni di dollari a 42,1 milioni, una crescita del 45,2 per cento. »

In questi anni, intanto, si consuma la lotta tra il Presidente Jackson ed il banchiere Nicholas Biddle, che risulta in un progressivo svuotamento dei privilegi della Second Bank sino alla sua sparizione qualche anno più tardi. I prezzi, che nel frattempo erano calati, dopo il 1834 tornarono a salire:

«i prezzi all’ingrosso salirono da un livello di 84 nell’Aprile del 1834 a 131 nel Febbraio del 1837, un notevole incremento del 52% in poco meno di tre anni. »

Questo avvenne forse perché le banche, liberate dal “freno” della Second Bank of United States, iniziarono a creare moneta creditizia oltre ogni limite, come racconta la storia “ufficiale”? Scrive Rothbard che:

«Non c’è dubbio che l’inflazione dei prezzi fu dovuta alla rimarchevole inflazione monetaria di quegli anni. Infatti il totale dell’offerta di moneta salì da 150 milioni di dollari all’inizio del 1833 sino a 267 milioni all’inizio del 1837, uno spettacolare aumento dell’84%, o del 21% annuo»

Ma questo non avvenne perché le banche crearono credito addizionale sul denaro esistente: infatti il loro coefficiente di riserva non scese mai sotto il 16%, ovvero il livello che avevano mantenuto anche durante l’esistenza della Second Bank. Ciò che avvenne è che:

«A partire dal 1833, il totale di denaro contante (moneta metallica) nel paese si incrementò da 31 milioni di dollari a 73 milioni all’inizio del 1837, per una crescita del 141,9% o del 35,5% annuo. Quindi, anche se una crescente sfiducia nei confronti delle banche indusse il pubblico a ritirare parte del denaro dai loro conti, [..] le banche furono comunque in grado di aumentare le loro note ed i loro depositi allo stesso tasso in cui il denaro affluiva nelle loro casse».

.Le cause di questo afflusso di metallo furono «per prima cosa un largo flusso in ingresso di argento dal Messico ed inoltre un netto taglio delle usuali esportazioni di argento in Oriente».

Come spiega Rothbard:

«La vera causa [del flusso di argento negli Stati Uniti] fu l’inflazione monetaria in Messico causata dal regime di Santa Anna, che finanziò il suo deficit coniando monete di rame svilite. Poiché queste ultime erano molto sopravvalutate e le monete d’oro e d’argento, al contrario, erano sottovalutate (a causa del cambio fisso che non era stato cambiato), queste ultime sparirono velocemente via dal Messico fino a sparire. L’argento, ovviamente, e non l’oro, stava finendo negli Stati Uniti durante questo periodo. Quando il governo messicano fu obbligato nel 1837 a cambiare il tasso di cambio ad un livello appropriato, il flusso d’argento messicano in entrata negli Stati Uniti cessò».

Quando nel 1837 giunse il crollo, William Leggett osservò:

«Chiunque abbia osservato in modo obiettivo il corso degli eventi degli ultimi tre anni avrebbe potuto prevedere lo stato delle cose che si è verificato ora… Avrebbe visto che le banche .. avevano cercato con tutti i loro sforzi, ognuna emulando le altre, di forzare le loro banconote in circolazione, ed inondare la terra con i loro sostituti monetari. Avrebbe visto che esse hanno cercato con ogni atto di seduzione di convincere la gente ad accettare il loro supposto aiuto; tanto che in questo modo hanno gradatamente eccitato una sete di speculazione [..] che si è evoluta in febbre e la gente, come in preda ad un’epidemia o una mania del momento, si imbarcò in ogni sorta di avventura disperata. Scavarono canali dove nessun commerciò richiedeva mezzi di trasporto; aprirono strade dove nessun viaggiatore intendeva andare; costruirono città dove nessuno desiderava vivere»

Allora De Long, che cosa ci insegna la storia delle bolle speculative? Qual è il fattore che le accomuna tutte?


1 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Marco,
articolo molto interessante. Mi chiarisce le idee su quello che è successo durante il capitalismo. Ho bisogno però di un chiarimento definitivo: il capitalismo può essere semplicemente definito come "libero mercato dei capitali" oppure la sua caratteristica essenziale è appunto il progressivo attenuarsi del legame tra la moneta e l'oro? Se ho ben capito la prima accezione è quella in cui viene usato in Usemlab, ma io la contesto. Secondo me il termine corretto è "liberalismo".
Nel secondo caso avrei agio a dimostrare quello che ho sempre sostenuto, cioè che il capitalismo generi il comunismo per via degli squilibri cha accumula e che fa ricadere sulla classe lavoratrice.
Sto scrivendo un saggio che mira a dimostrare che gli Stati moderni sono tutti regimi comunisti, e le loro differenze non modificano in alcun modo la loro natura fondamentale.
Complimenti per i tuoi articoli. Semplici e ben documentati.
Davide71