In una recente intervista
a Le Monde, il mio economista
preferito illustra la sua ricetta per scongiurare la crisi europea.
Indovinate un po’, la soluzione è stampare denaro! L’avreste mai detto?
Ecco uno stralcio
dell’intervista, riportato da Ticino
live
«L’Europa
ha bisogno di una politica monetaria più aggressiva di quella americana, è
l’unica maniera per portare i correttivi necessari. La BCE dovrebbe acquistare
un numero maggiore di debiti sovrani e favorire maggiormente l’espansione
monetaria.
Se
qualcuno mi dice che questo rischia di far scivolare i prezzi, io rispondo che
l’inflazione non è il problema, ma è la soluzione.
Per restaurare la competitività in Europa è
necessario, ad esempio, che per i prossimi cinque anni nei paesi europei meno
competitivi i salari diminuiscano. Con un poco di inflazione, questo
aggiustamento è più facile da realizzare, ossia lasciar crescere i prezzi senza
aumentare i salari».
Ricordatevi queste parole di
Krugman la prossima volta che si ergerà a paladino
dei più deboli, contro gli squali affamati di Wall Street. Per chi fosse
stato poco attento, il premio Nobel per l’economia nel 2008, sta dicendo che
per i prossimi cinque anni, in paesi come Italia e Grecia, i salari, tutti i salari, devono diminuire. Come
fare? Secondo Krugman il metodo più facile, e che provoca il minimo numero di
manifestazioni di piazza, è quello di provocare una crescita dei prezzi a
parità di salari.
Parafrasando un giudizio di Mises
su Keynes, Paul Krugman sta proponendo, scusate il francesismo, di fottere i lavoratori.
Perchè dico così? Ora ve lo
spiego.
Non è un segreto che in Italia,
così come in altri paesi europei, vi sia un divario enorme tra quanto un
lavoratore costa all’azienda, il cosiddetto “costo del lavoro”, e quanto
effettivamente prende in portafoglio, il suo stipendio netto.
«Per ogni 100 euro di
retribuzione lorda erogati a un dipendente, un’azienda italiana versa 32 euro
di contributi; il lavoratore, dal canto suo, subisce trattenute - sotto forma
di tasse e contributi - per altri 30 euro, e alla fine se ne trova solo 70 in
busta paga».
Usando numeri più familiari, se
vi arrivano 1200 euro netti mensili, in busta paga potrete leggere uno
stipendio lordo di circa 1714 euro ma all’azienda, in realtà, siete costati 2263
euro.
Quando un’impresa deve decidere se
assumere un lavoratore, questo è il numero che le interessa maggiormente (*),
perchè quelli sono i soldi che effettivamente si troverà a sborsare. Al
lavoratore invece interessa lo stipendio netto è contratta su quello, nemmeno
troppo consapevole che su 1200 euro che ottiene lui, lo Stato ne pretende 1063.
Si veda a questo proposito la sacrosanta battaglia di Giorgio Fidenato contro
il sostituto d’imposta.
Torniamo ora all’affermazione di
Krugman per cui in Italia e negli altri paesi meno competitivi dell’area euro
debbano diminuire i salari, cioè il
costo del lavoro. Una misura semplice per ottenere questo risultato senza
intaccare lo stipendio netto dei lavoratori sarebbe quella di andare a tagliare
la parte di salario di cui si appropria lo Stato, sotto forma di tasse e
contributi. Se nell’esempio precedente si riducesse di 200 euro il prelievo
contributivo, distribuendo equamente i benefici tra lavoratore e imprenditore, quest’ultimo
si ritroverebbe a pagare 100 euro in meno ed il primo, invece, otterrebbe 100
euro netti in più.
Questa manovra, la riduzione del
cosiddetto cuneo fiscale, avrebbe come beneficio quello di diminuire il costo
del lavoro e contemporaneamente aumentare il monte salari. Il costo, invece, è
quello di minore entrate fiscali, almeno nel breve termine (**), da bilanciare
con un corrispettivo taglio della spesa pubblica.
Per Krugman, però, questa non è
la soluzione ma anzi un modo per aggravare ulteriormente la crisi; per il
premio Nobel la soluzione è invece stampare denaro e fregare i lavoratori.
«Una
politica monetaria meno severa e un’inflazione più alta, attorno al 4%,
offrirebbero alla Zona euro una parte di quella flessibilità che le manca».
Quattro o cinque anni di
inflazione al 4%, con stipendi fermi. Meno male che lui è il paladino dei
poveri e degli oppressi!
Ma come generare questa
inflazione?
«La
BCE dovrebbe acquistare un numero maggiore di debiti sovrani e favorire
maggiormente l’espansione monetaria».
Tanti soldi alle banche (non a caso
Krugman elogia Mario Draghi) e monetizzazione del debito pubblico, in modo che
lo Stato possa spendere e spandere senza problemi, la moneta entri in
circolazione (e non rimanga nelle banche zombie a ripianare le perdite), ed i
prezzi di beni e servizi salgano alle stelle.
E così, mentre negozianti ed autonomi possono
aumentare prezzi e tariffe, mentre tutto diventa più caro, gli stipendi dei
lavoratori dipendenti (quelli netti!) rimangono fermi, perdendo
progressivamente potere d’acquisto: chi faticava ad arrivare a fine mese ora si
ritroverà direttamente in mutande, senza nemmeno capire troppo il perché. Per l’uomo
della strada la colpa sarà dei negozianti ladri che speculano sulla povera
gente ed aumentano i prezzi!
Dal momento che il gioco monetario è
sostanzialmente a somma zero, ciò che perdono i salariati viene trasferito a
qualcun altro ovvero i primi che ricevono la moneta nuova. Devo ricordarvi chi
sono?
Inoltre l’idea di poter promettere
cinque anni di inflazione dei prezzi costante al 4% è semplicemente folle. Il
meccanismo inflazionistico non
si controlla facilmente ed è molto facile che una volta aperto il vaso di
Pandora poi non lo si riesca a richiudere tanto facilmente.
Ma lo sapete, vero, perchè Krugman
vuole l’inflazione? Perchè i lavoratori dipendenti non sono gli unici a
prendersi la fregatura, sono in buona compagnia. L’inflazione dei prezzi,
infatti, favorisce i debitori a scapito dei creditori e lo sappiamo tutti chi è
il più grosso debitore del paese, no?
(*) C’è poi tutto il contesto
giuridico che va a regolare il contratto di lavoro e che in Italia ha
sicuramente un gran peso nel determinare la disoccupazione giovanile, ma di
questo Krugman non parla (probabilmente perchè non conosce la situazione
europea)
(**) Nel medio termine le aziende
assumeranno di più, aumentando quindi la base imponibile, e quindi non è detto
che alla fine lo Stato incasserà meno tasse. Inoltre bisogna tener conto della
riduzione automatica di spesa negli ammortizzatori sociali dovuta alle nuove
assunzioni. Si tratta esattamente di quella austerity espansiva di cui parlavo
in questo
post.
4 commenti:
Una domanda, cosa ne pensi dei tagli alle tasse dei ricchi fatti da parte di Reagan? Hanno portato alla fine un maggior benessere per tutti o no?
UN saluto, ildubbioso.
La spesa pubblica durante gli anni di Reagan è cresciuta molto, quindi il taglio delle tasse accompagnato ad un aumento della spesa ha generato un bel debito pubblico sulle spalle delle generazioni future.
So che chiedo molto, ma non potresti fare un articolo su questo argomento? In fondo di solito è l'argomento più usato da chi sostiene che il liberismo non funzioni.
Ildubbioso (studente di economia al primo anno)
La semantica creativa di Reagan è stata già prontamente demolita da Rothbard. Guarda qui.
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